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L’Opere i Strazzulle

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L’Opere i Strazzulle (Il Teatro dei pupi Parisi-Maldera)

Pupari all'opera

Pupari all’opera

La Puglia non ha mai avuto una tradizione di pupari, cosa di cui potevano ricavare vanto la Sicilia e il Napoletano. A Foggia e in provincia, a ravvivare il desiderio di avventura e di gesta eroiche, ci hanno pensato Achille Parisi e la famiglia della figlia, Ida Parisi, cioè i Maldera (originari di Napoli).

Achille Parisi, a Napoli, aveva completato le scuole superiori, era figlio di un ammiraglio dell’Immacolatella di Napoli, dal quale fu cacciato di casa quando iniziò a frequentare Gaetana Ferrante, la figlia di un puparo e probabilmente pupara lei stessa. Per vivere praticò l’arte dei pupari. Un grosso aiuto l’ebbe quando la figlia Ida Parisi sposò Francesco Maldera, di Trani, perché ebbe numerosi figli.

Erano 12 fratelli a lavorare ai pupi e in più c’erano i due genitori e il nonno. I figli grandi nacquero tutti a Napoli, gli altri in provincia di Foggia ed ebbero tutti i nomi dei personaggi delle loro storie.

Le storie che rappresentavano erano: I Paladini di Francia, La Gerusalemme Liberata, Fioravanti e Rizieri, Guerin Meschino, Guido Santo. C’erano poi la storia della Repubblica Partenopea, dei Carbonari, episodi di malavita di alcuni quartieri di Napoli, Masaniello. Alle fine delle storie impegnate venivano rappresentate delle farse di Pulcinella, di Scartellato e con i fantocci “numeri equestri” molto divertenti, di cui parleremo dopo.

Il palcoscenico era 4 x 4 m. Muovevano i pupi dall’alto, poggiando le braccia su un ponte. Erano 150 i posti, 100 per gli adulti, nella sala, e 50 per i bambini su un palchetto (la “piccionaia”). Ognuno poteva muovere un pupo alla volta. Sei magari stavano sul ponte per la manovra dei pupi e sei giù, chi a suonare il tamburo, chi a mettere i pupi nell’ordine di uscita, ecc.

Il pubblico che sosteneva con assidua frequentazione le recite dei pupi era quello dei terrazzani, ma anche gli altri popolani non disdegnavano quella forma di teatro popolare. I terrazzani, però, erano i più assidui, non mancavano mai, con anche i figli e i nipoti. Conoscevano a memoria le storie e quando i “malderini” saltavano qualche parte rimproveravano don Achille, il quale, a sua volte, rimproverava i nipoti severamente. C’era un detto, che il popolo amava ripetere: “Allàrme, allàrme, allàrme, pùpe de lègne e pùpe de stàgne e màste Achìlle se màgne a càrne!” (“Allarme, allarme, allarme, pupi di legno e pupi di stagno e mastro Achille si mangia la carne!”). Cioè si voleva dire che con il teatro costituito da poveri pupi di legno e di stagno, don Achille guadagnava abbastanza per permettersi un tenere di vita migliore di quello dei popolani foggiani.

Il teatro veniva chiamato “LOpera degli Strazzulli”. Secondo me per due facili motivi:

1) Nel locale dove rappresentavano le storie, prima di loro, operava un artigiano, costruttori di carretti, un certo Strazzulli.

2) Sul Gargano, e forse anche in altri paesi della provincia di Foggia, i pupi venivano chiamati “strattudde” (“strattulli”). Non dimentichiamo che tra il pubblico dei Maldera c’erano anche persone che venivano dalla provincia di Foggia.

Il padre dei Maldera, Francesco, costruiva le attrezzature per fare produrre le armature. I grandi, Achille, Rinaldo ed altri due fratelli realizzavano e disegnavano gli scenari. C’era uno dei fratelli che era specializzato nella costruzione delle corazze, delle mani, dei piedi e delle teste dei pupi. Chiara si dedicava ai vestiti. Ida Parisi, la madre, recitava insieme ai figli. C’era chi vestiva le marionette e le sistemava nell’ordine di uscita. I pupi erano di 80 cm di altezza. Achille era l’organizzatore del teatro ed era lui che prendeva le decisioni più importanti.

Lavoravano con i copioni che avevano portato da Napoli: era quella la loro tradizione. Quando giunsero in Capitanata si spostavano col treno per delle tappe durature o di un’unica giornata. Quando arrivavano alla stazione le cassette dei pupi venivano trasportate con i carretti fino al luogo della rappresentazione. Solo le cassette dei vestiti erano una ventina, poi c’erano quelle dei pupi, degli scenari, che viaggiavano smontati, ecc. Sono stati tre, quattro anni a San Severo, tre, quattro a Lucera e poi hanno preso fissa dimora a Foggia.

Oltre ai pupi normali usavano i draghi, i centauri, gli uomini mostro, che erano presenti nelle storie o che comparivano in seguito ad incantesimi di fate.

A Foggia nel periodo estivo, quando cioè non c’era il teatro, vendevano i sacchi per i cereali e per altri prodotti dell’agricoltura e della pastorizia. Durante il periodo fascista dovevano accontentarsi dei pupi di stagno. Col tempo potettero usare anche metalli migliori. Quando furono chiamati dall’Amministrazione Podestarile a rappresentare “Gli Orazi e i Curiazi”, i pupi avevano le armature d’argento.

Trattato l’argomento in generale esponiamo, entrando rapidamente nei dettagli, l’uso dei fantocci. I fantocci erano i pupi da circo equestre, cioè aveva le movenze degli esercizi da circo. Il fantoccio era diverso dal pupo, perché lo scheletro era diviso. Vicino alla stoffa era vuoto, non c’era lo scheletro come nella marionetta normale e questo per creare snodamenti fantasiosi e ridicoli. I fili comandavano le mani, la testa e i piedi, tutto il resto era vuoto, perché i movimenti dovevano essere quelli del clown. C’era sempre la musica di sottofondo. C’era il marinaio che lavorava sul trapezio, sulla corda della nave, c’erano i clown sulla pista coi campanelli in mano. Si alzavano (a fisarmonica) e diventavano giganti, si abbassavano e diventavano nanetti. C’era la morte il cui corpo si divideva in una cinquantina di pezzi (di ossa) e poi magicamente si ricomponeva. Gli spettacoli con i fantocci si facevano d’inverno per incrementare il pubblico. Era un’antica tradizione del loro teatro. C’era la “Danza araba”, coi moretti coi tamburelli e con la loro regina, che suonava le nacchere. Oltre alle storie con i fantocci, ricorda Chiara, allestivano farse di Pulcinella, di Arlecchino; a Natale riproponevano la storia del pastore che scendeva a Napoli, seguito dallo zampognaro. C’era la rappresentazione della pacchiana e del contadino.

Ricorda Ruggero che il Provveditorato agli studi mandava ai loro spettacoli intere scolaresche per assistere alle rappresentazioni dell’Ariosto.

Hanno tenuto il teatro fino alla seconda guerra mondiale e poi per un altro po’ di tempo, ma poi tutto passò nel dimenticatoio, perché il loro teatro non fu sostenuto da nessuno e a Foggia non ci si deve stupire se succedono queste cose.

Quello dei Parisi-Maldera era un grande teatro dei pupi, con una radicata tradizione culturale. Ci lavoravano 15 persone. Era uno dei più importanti del Sud. Hanno educato intere generazioni di foggiani ai valori della cavalleria (difesa dei deboli, degli indifesi, delle donne), ad avere coraggio nelle situazioni della vita, ad essere generosi, ecc., quando le istituzioni educative non aveva ancora affinato i propri strumenti. Che tutto questa grandiosità finisse nel dimenticatoio e nell’oblio assoluto stupisce. Dei Maldera non si è più parlato, ci si è dimenticati: mi riferisco soprattutto alle istituzioni. E’ ora che si intesti una via al teatro Parisi-Maldera per rimediare, almeno in piccolissima parte, al torto fatto. E questo ora che gli ultimi due rampolli della gloriosa famiglia sono ancora vivi. (Angelo Capozzi)

Leggiamo ora cosa scriveva Vincenzo Salvato ne “La storia sui muri” (ed. del Rosone) a proposito del teatro dei pupi:

Il luogo dove una volta esisteva questo teatro

Il luogo dove una volta esisteva questo teatro

Antico locale terraneo oblungo, tutt’ora esistente in vico Teatro, all’estremo margine del centro storico e prossimo a via della Repubblica, che già nel 1914 la famiglia Maldera aveva destinato a “sala teatrale” per marionette. Gli spettacoli, ideati organizzati e realizzati dagli stessi Maldera (specialmente Achille), avevano costantemente per oggetto l’epopea cavalleresca medioevale, e quindi per “primi attori” gli eroi Orlando, Rinaldo ed altri minori che popolarono quel mondo spesso troppo fantasioso. Un ampio tabellone, arricchito da disegni vistosi, era esposto sulla facciata d’ingresso e annunciava giornalmente lo spettacolo serotino al quale assisteva quasi esclusivamente povera gente di ogni età, spesso avvinta dalle ingenue trame e dalle popolaresche battute. Le marionette, prodotte in loco, erano di legno e vestite con stracci (ossia “strazzulli”) adattati alla meglio. L’opera durò fino al 1943, quando si dovette interrompere per i gravi eventi bellici occorsi durante l’estate.