18 Aprile 1905 – L’eccidio di Foggia
Il braccio di ferro fra Governo e ferrovieri dura già da un po’ di tempo; a Foggia si attuano forme di ostruzionismo da parte delle maestranze e degli impiegati, e già alcuni giorni prima dell’eccidio, molti ferrovieri, appartenenti ai vari servizi, si erano riuniti nella locale Camera del Lavoro, dove parlò per primo Rodolfo Asdrubali, socialista, applicato ferroviario, chiedendo agli intervenuti se intendevano riprendere l’ostruzionismo o proclamare lo sciopero generale nel caso il Governo non intendesse apportare alcun miglioramento alla classe, ovvero se intendesse applicare leggi restrittive per i ferrovieri. “SCIOPERO GENERALE!!!” deliberò all’unanimità l’assemblea. Prese poi la parola il segretario della Camera del Lavoro, prof. Masciotta, che consigliò la calma, dicendo che il ministro Fortis, in continuità con gli atteggiamenti del precedente Giolitti, non temeva le minacce, nè gli ordini del giorno, quindi era necessario stare in guardia per non lasciarsi sopraffare, ed essere pronti per la battaglia.
In previsione del giorno di paga dei ferrovieri, era stato chiesto che tale operazione fosse svolta in locali diversi dalla stazione, in Prefettura o altrove, al fine di evitare assembramenti e possibili disordini. La Società ferroviaria non volle tener conto di questo consiglio, perchè sperava di indurre ciascun ferroviere a riprendere il lavoro, al momento della paga. Anzi, l’amministrazione ferroviaria aveva diramato un invito stampa a tutti gli scioperanti, perchè alle ore 18 ognuno si fosse fatto trovare pronto a casa sua, da dove sarebbe stato rilevato da pattuglie armate e scortato alla stazione. Ma già dalla sera precedente, pattuglioni di Pubblica Sicurezza e Guardia di Finanza, sulla scorta di una lista di nomi appositamente predisposta e fornita, si erano recati da molti ferrovieri per invitarli a seguirli dicendo loro che erano desiderati dalla Direzione.
Risultati inutili i consigli di prudenza, già alle 5,30 del mattino, una massa di circa 500 ferrovieri e di altrettanti curiosi, si era radunata innanzi ai cancelli della stazione aspettando ognuno il proprio turno. Nel frattempo, fra due fratelli, tali Russi, uno ferroviere frenatore scioperante e l’altro in servizio, si accese una discussione che degenerò in un tafferuglio terminato con l’arresto di due contadini. Gli scioperanti, immediatamente, reclamarono la liberazione degli arrestati, ma le autorità vi si opposero, e mentre dal lato opposto all’assembramento avanzava la cavalleria, i carabinieri, sguainate le sciabole, cominciarono a tirare piattonate.
Fattasi largo, la cavalleria aggirò la folla e la spinse verso il viale principale della stazione. Incominciò un fuggi fuggi generale, la maggior parte delle persone scappò verso la città e solo un centinaio restarono nel piazzale della stazione. La massa di gente, incanalata nel viale , che restava limitato dai cancelli dei giardini della stazione, seguì un percorso in linea retta, ma giunta al termine dei predetti cancelli, nei pressi della barriera daziaria, si sbandò a destra e a sinistra per i campi. In quel mentre dalla stazione giunse un picchetto di fanteria, guardia di finanza e carabinieri che prese posizione formando un cordone da un angolo del giardino all’altro. I carabinieri sciabolarono la folla e ferirono una persona. Volò qualche sasso e pare che dalla massa di gente partisse un colpo di rivoltella che ferì un soldato ad una gamba. All’improvviso, senza alcun preavviso di squillo di tromba, senza invito ad allontanarsi e pare anche senza il comando di far fuoco, i carabinieri e la cavalleria, parte rivolti verso la stazione, parte verso la città, aprirono il fuoco. Nel conseguente sbandamento generale restarono ferite tre persone, un tale Raho Michele, ferito al torace, si trascinò carponi dietro l’Opera Pia Scillitani dove morì.
E’ difficile oggi immaginare lo stato dei luoghi dell’epoca, la stazione non è attaccata alla città, c’è un vuoto che la separa.
La folla giunta in città si disperse in tutte le direzioni, la cavalleria, schierata avanti alla Villa comunale, avanzò, e un cavalleggero, disarcionato dal proprio cavallo che si era impennato, cadde, risalì in sella, puntò il fucile e fece fuoco ferendo una donna. Due carabinieri, uno all’angolo dello stabilimento Rocco e La Capria, l’altro al riparo del Politeama, vicino ai giardini comunali, incominciarono a sparare all’impazzata. Il primo crivellò di colpi il palazzo Vaccarella, poi colpì a morte tale Gaetano Pinto, barbiere, che trovavasi sul marciapiede del palazzo e ferì gravemente il calzolaio Occhiochiuso Giovanni. L’altro carabiniere ferì gravemente una donna con tre colpi di moschetto, uno al braccio e due alla schiena, uno studente della scuola professionale, tale dario Fares colpito alla gola, ed altri fra cui un ragazzo.
Nel frattempo da un cordone di soldati schierati all’imbocco del viale della stazione partirono dei colpi, e un proiettile ferì la cameriera del Sig. Siniscalchi la quale si era affacciata ad un balcone del palazzo Vaccarella. Altri carabinieri spararono nella direzione di Corso Vittorio Emanuele ferendo altra gente fra cui il pizzicagnolo Francesco Conte colpito di striscio al capo dall’indietro in avanti, e Foglio Vincenzo, sarto, con un proiettile che dalla spalla fuoriuscì davanti perforandogli il polmone.
Come si vede si spara con determinazione ed intenzione, ad altezza d’uomo, in posti vitali, molti vengono colpiti alle spalle poichè stanno scapppando in cerca di riparo.
Il terrore invase tutti, i feriti continuarono a lamentarsi per terra, la notizia si diffuse per la città e i militari continuarono a sparare.
I MORTI
Pinto Gaetano, barbiere di anni 30
Raho Michele, contadino
Ponziano Raffaele, muratore, sposato da appena un mese
I FERITI
Iarussi Nicola, contadino di anni 39
Ricucci Pasquale, contadino di anni 25
Giampietro Giuseppe, stagnino ferroviario
Longo Umberto, studente di anni 18
Nuzzoli Luigi di anni 12
Occhiochiuso Giovanni, calzolaio di anni 32
Buonarota Rosaria di anni 50, coinvolta perchè alla ricerca dei due figli
Salemme Pasquale, vetturino di anni 35
Foglia Vincenzo, sarto di anni 20
Lioci Salvatore, carrozziere di anni 17
Fares Pellegrino, studente
Conti Francesco, pizzicagnolo
Cameriera casa Siniscalchi (se ne ignora il nome)
ARRESTATI: Quattro
MILITARI FERITI: Quattro, di cui uno per caduta da cavallo.
Nei giorni successivi furono rintracciati altri feriti, che per paura di essere arrestai si erano tenuti nascosti: Francesco Sereno ferroviere, Ruggero Curci contadino, Raffele Marella consigliere della Lega di Foggia, Giuseppe Pennella contadino.
IL DOPO ECCIDIO
Ad evitare altri incidenti, il Sindaco Valentini ottenne che la paga ai ferrovieri avvenisse in un locale del municipio, nel quale, per misure d’ordine pubblico, fu messo un buon numero di soldati e agenti della forza pubblica.
Il 19 aprile, il Prefetto, Comm. Baldovino, fece affiggere manifesti con i quali si vietavano assembramenti e riunioni nelle piazze e negli altri luoghi pubblici, mentre il Sindaco, Comm. Valentini, con altro manifetso, dopo aver deplorato i luttuosi fatti verificatisi, invitava la cittadinanza alla calma.
Lo stesso giorno, presso la Camera del Lavoro, stracolma di intervenuti, l’avvocato Domenico Maiolo tenne un breve discorso invitando i lavoratori a tenersi calmi e tranquilli e promettendo che il Partito socialista avrebbe subito iniziato una rigorosa inchiesta.
Il deputato di Foggia, On. Pietro Castellino, deplorando i fatti accaduti, presentò apposita interrogazione al Governo. Infatti, alla Camera, nella seduta del 19 aprile, interrogarono il Ministro dell’Interno sull’eccidio di Foggia i deputati Salandra, Castellino, De Felice, Colaianni, Badaloni e De Andreis. Il Salandra denunziò i contadini della Lega di Foggia e i capi socialisti come i “veri delinquenti” e li additò con parole velenose alla vendetta del Ministro dell’Interno e della Magistratura inquirente.
Da “il Foglietto” di Lucera n. 31 del 27 aprile 1905 si riprendono le ulteriori seguenti notizie:
“Ricucci Pasquale e Foglia Vincenzo, che erano stati ricoverati in grave stato all’ospedale, sono morti in seguito alle ferite riportate. Gravi preoccupazioni desta lo stato del giovanetto Lioce.” Quindi i morti per l’eccido salgono a cinque.
Dichiarazione-testimonianza rilasciata dal dott. Giuseppe Manacorda, insegnante di lettere italiane nel Regio Ist. Tec. Giannone di Foggia. Dichiarazione scritta e già pubblicata da l’Avanti!:
“Ancora inorridito da tanto misfatto ritengo mio dovere dichiarare che la seconda carica di cavalleria avvenuta presso il mulino La Capria ebbe principio improvvisamente senza squilli nè alcun altro preavviso. Io mi trovavo vicinissimo al cordone delle truppe e posso testificare con sicura coscienza che nessuno dei venti ragazzi o poco più, che si trovavano abbastanza lontano dalla truppa, in quel momento inveiva contro i sodati o comunque li offendeva. I pochi adulti che si trovavano con i ragazzi su ricordati ascoltavano tranquillamente i consigli che io loro davo di ritirarsi a casa. Debbo ancora aggiungere che i colpi sparati furono più di venti e che la truppa, sia avanzando, sia ferendo più d’uno al capo, mostrò di avere una efferata e inspiegabile sete di sangue. Per finire segnalo ancora che prima dell’eccidio a me ed a una povera donna che volevamo per interessi nostri recarci alla stazione nessun altra risposta fu data da un carabiniere se non un rapido e muto spianar di fucile.”
La P.S. ha negato il permesso della progettata recita al Dauno a beneficio delle famiglie dei morti e dei feriti. La mattina del 24 l’on. Castellino giunto a Foggia, offrendo di suo 200 lire, diede inizio ad una sotoscrizione a favore delle famiglie delle vittime dei tumulti del 18. Poi si recò all’ospedale Umberto I a visitare i feriti ivi ricoverati
Notizie collegate da Roma:
“Fra gli avvenimenti più caratteristici dello sciopero ferroviario testè cessato vi è questo. A Roma si riunirono un migliaio circa di donne, mogli e sorelle dei ferrovieri scioperanti, per discutere intorno allo sciopero. L’assemblea riuscì relativamente ordinata e l’adunanza si sciolse dopo aver approvato un ordine del giorno con cui si affermava la completa solidarietà delle donne cogli uomini nella resistenza ad oltranza”.
(a cura di Raffaele De Seneen)