Crollo di viale Giotto
La mattina dell’11 novembre una notizia tuonò drammatica e sconvolgente in tutto il mondo: l’emittente CNN, attraverso i suoi cronisti, raccontava così:
– Le autorità hanno riferito che circa 80 persone potrebbero essere intrappolate dopo il crollo prima dell’alba nella città meridionale di Foggia.
I corpi di due vittime sono stati recuperati, un altro corpo è stato identificato tra le macerie; altre dichiarazioni ufficiali dicono che si aspettano molti altri corpi da recuperare. E’ stata una pesante tragedia per Foggia, una città di 150mila abitanti situata a 200 miglia a sud est di Roma, nella regione della Puglia.
Nove sopravvissuti, compresi due ragazzi, sono stati recuperati vivi dalle macerie e sono stati trasportati velocemente all’ospedale. I sopravvissuti sono stati trovati in buone condizioni.
E’ stato riferito che i sopravvissuti evacuati erano gli abitanti dei piani alti del palazzo. Una famiglia ha sentito il palazzo cigolare ed è scappata prima che crollasse. L’agenzia di stampa ANSA ha riferito che la famiglia che è sfuggita ha suonato i citofoni dei vicini, cercando di avvisarli del pericolo. Ma il palazzo si è ridotto ad una nuvola di polvere prima che qualcun’altro riuscisse a uscire.
Le ambulanze risuonavano sul palazzo crollato mentre i soccorritori lavoravano alla ricerca di altri sopravvisuti.
Il sindaco Paolo Agostinacchio ha dichiarato che i tecnici sospettano della presenza di problemi strutturali nel palazzo di 26 appartamenti che aveva circa 30 anni.
Nessuna esplosione è stata riferita prima del crollo, ha detto il sindaco. Per questo motivo le autorità stanno considerando la possibilità che il crollo sia stato causato da problemi strutturali. «Qualcuno dovrà spiegare che cosa è accaduto» ha detto il sindaco.
Gli ingegneri sono sul posto. I tecnici stanno anche ricercando sul luogo con cani da fiuto e strumenti in grado di “ascoltare” i sopravvissuti seppelliti sotto le macerie. Il ministro degli Interni Rosa Russo Iervolino sta arrivando a Foggia per verificare l’efficienza dei soccorsi. Le autorità hanno detto che saranno esaminate le concessioni edilizie al fine di verificare se siano state fatte alterazioni o modifiche al palazzo.
Le autorità hanno riferito che le scavatrici non hanno fatto irruzione sul sito; avevano timore che le pesanti macchine potessero causare ulteriori danni, diminuendo la possibilità di recupero di ulteriori sopravvissuti.
I soccorritori stanno tenendo d’occhio anche le condizioni atmosferiche. Sebbene durante i precedenti due giorni abbia piovuto, il cielo, giovedì, rimane nuvoloso, ma non sono state segnalate pesanti precipitazioni.
Il corrispondente Gayle Young e The Associated Press hanno contribuito a questa notizia. –
Diciannove secondi. Tanto è durata l’implosione del palazzo di Viale Giotto a Foggia, secondo i sismografi della “Specola Nigri”. Diciannove secondi per cancellare vite umane e pilastri, letti matrimoniali e calcestruzzo, salotti e tramezzi. Si disse all’inizio che il crollo era stato causato dai lavori di allargamento dei box, dall’eventuale taglio di pilastri sempre nei sotteranei ma poi, tra carte, archiviazioni e ricorsi si è giunti alla conclusione che un palazzo costruito negli anni ’70 può cadere perchè mal costruito o meglio costruito con materiali scarsi. Questa purtroppo la amara verità per chi, magari, aveva speso i sacrifici di una vita per vivere in una casa dignitosa e proprio quella casa lo seppelliva in soli e maledetti 19 secondi: fosse successo di giorno forse la tragedia avrebbe avuto dimensioni minori ma comunque rimane il fatto che a Foggia venne giù un palazzo abbastanza recente e non una catapecchia fatisciente.
Quella notte giunsero i Vigili del fuoco, i volontari organizzati e quei semplici cittadini che si misero a disposizione per cercare di salvare vite: scavarono tutta la notte, con le pale, con i picconi, o semplicemente con le mani. Erano tanti gli uomini che cercarono di estrarre dai detriti di un intero palazzo venuto giù come un castello di sabbia asciutta le 71 persone che ci abitavano.
Le ricerche continuarono con i cani alla ricerca di un odore, con le sonde elettroniche, i geofoni, nella speranza di captare qualche rumore, qualche sospiro, qualche segno di vita. Andranno avanti ancora: c’era troppa gente, viva o morta, sotto quelle rovine.
L’unica avvisaglia era stata uno scricchiolio: ma solo pochi hanno avuto l’impressione di un cedimento. L’amministratore dello stabile Luigi Lacontana, avvertito da un inquilino, si precipitò al citofono. “Scendete, qui sta per venire giù tutto”, gridò, dopo aver allertato i Vigili del Fuoco. Ma era ormai troppo tardi per avvisare i condomini, per dare l’allarme.
Sin dall’ agosto precedente alcuni degli inquilini dello stabile di viale Giotto avevano avvertito strani scricchiolii della struttura. È quanto sostenne Giacinto De Pasquale, cognato di Mario Guidone, estratto dalle macerie «In agosto – disse De Pasquale – ho raggiunto mio cognato da Milano ed ho soggiornato per una settimana circa in casa sua. Mario mi raccontò in diverse occasioni che durante il giorno avvertiva strani scricchiolii all’ interno dell’ abitazione. Salimmo sulla terrazza per sostituire un vetro ad una finestra e mi accorsi che la tapparella non scendeva regolarmente attraverso le guide. Non diedi molto peso a quello che mi disse mio cognato, ma gli consigliai comunque di fare verificare la struttura. Siamo distrutti per la tragedia perchè non abbiamo mai visto uno spettacolo simile. Mario mi ha raccontato di non essersi accorto di nulla al momento del crollo perchè è stato subito risucchiato da un vortice che lo ha scaraventato tra le macerie. Ma era da due anni che si parlava di problemi alla struttura del palazzo. Mario mi ha anche raccontato che nel palazzo c’ era stata la visita di un perito, al termine della quale non era emerso nulla di grave. E invece le tapparelle ed alcuni infissi che non si chiudevano bene erano il segnale che il palazzo stava subendo gravi danni».
A complicare le operazioni di soccorso si sviluppò,in un deposito di materassi situato nei sotteranei dello stabile, un incendio di forte intensità e un fumo alto e acre avvolse tutta la zona dei soccorsi. A quel punto la possibilità che il fuoco avesse colpito qualche eventuale superstite o avesse contribuito a togliergli l’ossigeno necessario si fece sempre più alta
Fu anche accertato che la maggior parte delle persone travolte dal crollo del palazzo morirono per asfissia, nel giro di un paio di minuti: il responsabile del servizio di medicina legale dell’ospedale foggiano, Alberto Pedone, ispezionò i cadaveri e dichiarò “una compressione toracica dall’ esterno che ha provocato l’impossibilità all’attività respiratoria”. Poi la polvere e il fumo hanno fatto il resto.
Tra le tante tristi storie di quelle ore ci fu quella di attesa e di dolore da parte di ragazzi e ragazze della quarta F e della quinta C dell’istituto tecnico Rosati che vegliarono davanti agli Ospedali Riuniti di Foggia, nella speranza che la loro compagna di scuola, Angela Alessandrino, di 18 anni, rappresentante di istituto, venisse estratta dalle macerie. Nella notte loro stessi videro arrivare il cadavere della giovane all’ospedale successivamente identificato dai familiari: “Abbiamo sperato fino all’ultimo – dissero in lacrime i ragazzi – ma non ce l’abbiamo fatta”. La città rimase attonita, stordita, si seguivano i telegiornali, si cercava di avvicinarsi quanto più possibile alla zona del crollo non per semplice curiosità ma per condividere un dolore, per riuscire a mettere la mano sulla spalla a qualcuno, per aspettare di veder salvare una vita umana, per sentirsi “foggiani”: ecco in quei giorni ci siamo sentiti uniti, solidali, abbiamo capito la precarietà della vita, abbiamo forse imparato a volerci bene. Purtroppo quelle macerie, come era facile e terribile intuire restituirono solo cadaveri e da quel maladetto mese di novembre in poi si continuò a parlare delle varie ipotesi sulle cause del crollo.Si parlò anche della eventuale presenza di una falda acquifera sotto lo stabile ma con il tempo si fece sempre più strada l’ipotesi di una approssimazione riguardo i materiali e le tecniche utilizzate all’epoca del boom edilizio. Si veniva fuori dalla guerra, la città era stata praticamente “rasa al suolo”; i cantieri si moltiplicavano; muratori, carpentieri e cottimisti si trasformavano in costruttori; le case si vendevano appena messe le recinzioni e la qualità spesso andava a farsi benedire, non sempre per negligenza ma piuttosto per approssimazione. Antonio Delli Carri, il costruttore dell’edificio di Viale Giotto, era uno di questi: ci abitava, all’attico, insieme al fratello. Ex muratori che, nel ’68, tirarono su tre edifici “gemelli” e poi abbandonarono l’attività. Anche l’ingegnere Inglese, all’epoca direttore dei lavori era morto prima che avvenisse la tragedia . Nessuno di loro, dunque, potè dire o essere chiamato a dire con quali tecniche e materiali costruirono. Ma si può giurare fossero le stesse che utilizzarono tutti i “pionieri” di una stagione dove lo sviluppo edilizio fu esplosivo. «Il “livello” era l’occhio; lo “squadro” era l’incrocio dei piedi», disse un geometra in quei giorni, alludendo alla precisione e all’economia che caratterizzava le attività edilizia fino agli anni ’70. Il controllo dei pochissimi ingegneri dell’epoca non poteva che essere scarso: impegnati in 15-20 cantieri alla volta, non potevano seguire tutto lo stato di avanzamento dei lavori.
Subito dopo il crollo giunse a Foggia anche il Presidente della Repubblica Ciampi che rivolto ai giornalisti dichiarò:«Certo, il paese non tollera più queste tragedie».
Probabilmente il Presidente della Repubblica aveva deciso di non rilasciare dichiarazioni, ma poi si era incontrato prima con due familiari delle vittime che avevano chiesto a viva voce di parlare con lui e poi con i cronisti. Infatti, dopo la visita in ospedale Ciampi, che era accompagnato dalla moglie, stava lasciando la struttura per recarsi in comune e lungo il tragitto che lo separava dall’autovettura, alcuni familiari dei deceduti, gli urlarono: «Presidente, ci ascolti!», e ancora: «le dobbiamo parlare. Lei è una persona corretta e noi siamo cittadini che pagano le tasse. Noi abbiamo fratelli e nipoti sotto quelle macerie».
Subito dopo Ciampi si intrattenne con loro per alcuni minuti. Quindi ai giornalisti disse: «Sono venuto qua per portare la partecipazione dell’Italia tutta a Foggia, a coloro che stanno soffrendo, a coloro che sono stati vittime di questa immane disgrazia, a quanti hanno i loro cari sotto le macerie. Questo è un evento che non ha nessuna spiegazione razionale, però, purtroppo, è accaduto e bisogna rendersi conto del perchè è avvenuto. Ora occorre portare avanti le operazioni di soccorso, e speriamo che siano ancora positive, che non siano perse le ultime speranze. Sono qua per portare sentimento di partecipazione piena degli italiani a questo gravissimo lutto che Foggia ha subito ».
Purtroppo però le operazioni di soccorso non portarono notizie positive e Foggia dovette contare 67 morti, vittime innocenti di un modo approssimativo di operare nell’edilizia e penso sia giusto, a conclusione di questo scritto, render loro onore trascrivendo di seguito i loro nomi perchè anche i navigatori web possano riflettere sulle assurdità di questo avvenimento:
Angela Alessandrino, Lorenzo Alessandrino, Antonio Caldarulo, Maria Di Iorio, Daniela Caldarulo, Anna Milena Caldarulo, Maria Assunta Criscio, Fernando Capitaneo, Rocco Casarella, Francesca Siena, Valentina D´Angelo, Paolo D´Angelo, Maria Rosaria Sponsillo, Maria Giovanna D´Angelo, Palmina De Cosimo, Raffaele Del Grande, Michele Scopece, Assunta Grotta, Mattia Trotta, Matteo Ferri, Raffaele Delli Carri, Antonio Delli Carri, Addolorata Tirella, Aldo Altomare, Savino Urbano, Giovina Urbano, Domenico Zezza, Luigi Zezza, Maria A. Zezza, Aldo Guidone, Michele Taronna, Marianna Taronna, Addolorata Zichella, Walter Iammarino, Vincenzo Iammarino, Nina D´Amico, Michele Lombardi, Norina De Polis, Antonio D´Agnone, Lucia Ungaro, Piersilvio D´Agnone, Daniele D´Agnone, Savino Pedone, Maria Romito, Pasquale Pedone, Roberto Pedone, Margherita Cesareo, Maria Pedone, Giovanni Pedone, Leonardo Pompa, Maria Ferri, Dario Felice, Sabrina Padalino, Luciana Padalino, Pino Gramazio, Michela Curcetti, Pasquale Gramazio, Alfredo Gramazio, Matteo Ricucci, Pasquina Scarano, Marilina Ricucci, Michele Ricucci, Antonio Ricucci, Francesco Capitaneo, Valentina Capitaneo, Concetta Colecchia, Luisa Andreano
Discorso tenuto dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione dei funerali che si tennero il 16 novembre:
“Sono venuto qui per portarvi la partecipazione e il cordoglio di tutta l’Italia, per dividere con voi il vostro immenso dolore, per piangere con voi, per pregare con voi.
Foggia ha avuto nella sua storia, anche recente, tanti lutti. Non posso dimenticare coloro che vissero i momenti terribili della guerra, le migliaia di morti che qui caddero sotto le bombe, ma, allora, avevamo, di quel terribile momento, una spiegazione: era la guerra!
Quando venerdì sono venuto e sono andato sul luogo del crollo, sono rimasto veramente esterrefatto: come è possibile che accadano queste cose?. Questo è il tormento che voi avete e che noi abbiamo con voi. Vogliamo saperlo! Tutti vogliamo saperlo. Anche venerdì, quando stavo per lasciare Foggia, ci si chiedeva: “Perché è accaduto?” Bisogna capire perché è accaduto. Non possiamo lasciare questo terribile interrogativo senza risposta, altrimenti rimane impossibile rassegnarsi.
Quando, l’altro giorno all’ospedale, ero lì vicino al letto di una signora – non ricordo il cognome – che si era salvata con il marito e due figli, mi diceva: “Ma il mio Aldo – un bambino di dieci anni – chi me lo ridà. Come faccio a vivere senza di lui?”
Si sente l’impotenza del calore umano di fronte a questi episodi, di fronte a questa realtà.
Oggi, qui, siamo insieme, il Presidente della Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio ed io, non solo per attestare la nostra partecipazione, non solo per dividere con voi il vostro dolore, ma anche per assicurarvi quanto lei ci chiede di fare. Perché ne sentiamo il bisogno, noi per primi.”
Carlo Azeglio Ciampi
Il mio ricordo di quel maledetto giorno (di Alberto Mangano)
Quel giorno ricordo che ero partito intorno alle 7,30 per andare al lavoro a Manfredonia; di solito ascoltavo il radiogiornale in macchina ma quella mattina mi ero incuriosito ad ascoltare le considerazioni di un esperto informatico sulla possibilità di azzeramento dei calendari dei computer che sarebbe potuto avvenire nell’imminente passaggio al XXI secolo. Era una giornata buia, sembrava volesse piovere e mi giunse inaspettata la telefonata di un mio collega di Barletta che mi chiese se stavo bene, se avevo dei parenti coinvolti nella tragedia foggiana; non capii molto e decisi di chiamare mia moglie la quale non mi diede soddisfazione impegnata come era nel preparare i bambini da accompagnare a scuola. Cominciai a capire qualcosa, ma ancora molto poco, entrando per un caffè in un bar di Manfredonia dove c’era un gruppo di persone che faceva riferimento ad un crollo e dei morti a Foggia. Per discrezione non chiesi niente ma cercai di immaginare l’accaduto facendomi guidare da un minimo di logica: “sarà caduta una di quelle catapecchie, magari una baracca e pensai alla morte di qualche abusivo senza casa, a qualche extracomunitario che si era rifugiato di notte in una costruzione pericolante”. Mi venne in mente il racconto di mia madre circa il crollo del palazzo Angeloni avvenuto tanti anni prima e che aveva causato la morte di alcuni residenti. La curiosità era tanta e tornai in macchina cercando di “acchiappare” un notiziario e per capire veramente cosa fosse successo; le notizie cominciarono ad arrivarmi attraverso la radio ma continuavo a rimanere incredulo e attonito. Quel giorno cercai di sbrigarmi subito e tornai a Foggia con una certa ansia ma anche con tanta curiosità. Avevo sentito parlare di viale Giotto e decisi di avvicinarmi percorrendo via Telesforo e passando dall’ospedale; notai subito un traffico di ambulanze, di auto dei Vigili del Fuoco e decisi di lasciare l’automobile in piazza Aldo Moro: cominciai a camminare tra gente che correva, che camminava senza meta, vidi persone che piangevano, c’era insomma un clima di disperazione ma soprattutto c’era un clima surreale. Non ricordo se qualcuno mi fermò, se mi impedirono di avvicinarmi al palazzo crollato ma ricordo che mi fermai, quasi in contemplazione, ad una certa distanza dalle ruspe e dai numerosi volontari che scavavano e con le persone che erano vicine a me non scambiai una parola, rimanemmo in religioso silenzio a guardare, a soffrire, certamente a sperare, tutti insieme con un unico intento, quello di condividere una tragedia, quella della nostra comunità; guardavo quel cumulo di macerie, una nuvola di fumo alzarsi nel cielo e sembrava di riascoltare la voce di mio nonno quando mi raccontava dei bombardamenti: questa era la tragedia della mia generazione, sicuramente non paragonabile a quella sua che comunque aveva una logica, quella perversa della guerra, ma aveva una logica. Forse ritornai il giorno dopo, non ricordo bene, ma ricordo i televisori di noi foggiani che guardavano sempre le immagini delle emittenti locali che inquadravano i soccorsi, gli scavi e noi guardavamo rigidamente in silenzio, quasi per non disturbare, quasi per udire insieme con i soccorritori qualche lamento, qualche segnale di vita; aspettammo tutti invano, il miracolo non avvenne e la città intera partecipò a quel funesto corteo di camion dell’esercito che trasportò tante, troppe bare: mentre passavano le osservavo tenendo per mano mio figlio che allora aveva 6 anni e che era nella fase in cui si chiede spesso ai propri genitori: “perché?”. Quel giorno non riuscii a spiegare niente a mio figlio, non seppi ricorrere nemmeno ad una pietosa bugia: tutti, adulti e bambini, vivemmo intensamente quei giorni e continuammo a vivere nel ricordo di quella tragedia anche quando si spensero i riflettori, quando lasciarono Foggia le ultime telecamere nazionali, quando anche i telegiornali volevano richiamarci ad una vita che andava avanti.
In quei giorni raccolsi tanti articoli, li conservai in un cassetto: dopo qualche anno decisi di realizzare un sito sulla mia città e la tragedia di viale Giotto fu la mia prima pagina, quella che ancora oggi risulta la più visitata. Le morti, quelle innocenti, fanno sempre male e lasciano un vuoto dentro, ma i morti di viale Giotto forse son serviti a riscoprire l’orgoglio dell’appartenenza: quel maledetto 11 novembre 99 imparammo in tanti insieme a sentirci più foggiani.
Il ricordo Di Carlo Azeglio Ciampi a 10 anni dall’evento
(pubblicato su Foggia & Foggia del 13 novembre 2009)
Il messaggio del Senatore a vita, come riportato sul periodico, è giunto a Foggia e ai foggiani grazie ai buoni uffici della senatrice Colomba Mongiello
“Nel decimo anniversario del drammatico crollo del palazzo di viale Giotto desidero rivolgere, per il Suo cortese tramite, un pensiero commosso alla memoria delle vittime, ai loro familiari e a tutta la città di Foggia, ferita da una tragedia, colpita da un dolore che il trascorrere del tempo non cancella.
Nel ricordo di quel pomeriggio di novembre, di quel padiglione dove erano allineate sessantadue bare, mi sento sopraffare dall’angoscia come allora. Il ricordo del carico insopportabile di dolore che lessi negli sguardi degli uomini e delle donne che incontrai mi lascia, come allora, impietrito.
Nella memoria di quell’evento luttuoso non c’è spazio che per una pietas profonda, che ci avvicina, accomunandoci nella pena: la pena di quanti non hanno smesso di piangere la perdita crudele di affetti cari; la pena di una intera comunità, dignitosa e forte di fronte a una prova terribile.
Con questi sentimenti sono insieme con tutti voi per onorare la memoria delle vittime; per testimoniare ancora una volta la mia solidarietà ai sopravvissuti e a quanti, con coraggio e con grande forza d’animo, asciugate le lacrime, hanno ripreso a vivere, a operare per ritrovare, seppur faticosamente, quanto sembrava essere crollato insieme con i muri: la speranza.
Alla città di Foggia e ai foggiani tutti desidero inviare un abbraccio e un saluto affettuosi”