Ferdinando Galiani
Ferdinando Galiani non nacque a Foggia ma casualmente a Chieti il 2 dicembre 1728. Il padre Matteo, viceversa, era di una nobile famiglia foggiana. Foggiani erano pure il fratello maggiore Berardo e lo zio Mons. Celestino. Comunque a Foggia e in generale alla Capitanata Ferdinando rimase molto legato come attestano numerosi suoi scritti su avvenimenti, tradizioni, costumi e sul dialetto della nostra città. Sin da piccolo manifestò un precoce ingegno non comune che gli valse l’appoggio dello zio Celestino e del Cardinale Lambertini, futuro pontefice, per cui, ultimati gli studi a Foggia, potè continuare a studiare a Napoli.
I fratelli Berardo e Ferdinando intrapresero, guidati sempre dallo zio Monsignore, strade diverse: il primo studiò Architettura mentre il secondo si dedicò all’Economia Politica. Il primo maestro di Ferdinando fu il sacerdote foggiano Carmine Catalano, mentre a Napoli seguì gli studi di diritto del prof. Marcello Papiniano e quelli di teologia di Padre Appiano Buonafede. Egli approfondì notevolmente anche lo studio delle lingue straniere e, infatti, a soli 16 anni tradusse e commentò le “Considerazioni delle conseguenze del ribasso dell’interesse e del rialzo della valuta e della moneta” del Locke.
In questo periodo, ebbe modo di frequentare due luminari dell’economia e della politica: il marchese Alessandro Rinuccini e l’abate Bartolomeo Intieri. E fu proprio grazie a loro che in Ferdinando maturò l’idea di organizzare, in un vero e proprio trattato, una materia estremamente complessa come l’economia: ecco quindi che nel 1750 venne alla luce l’opera “Della Moneta”, volutamente anonima perchè scritta in gran segreto. Ferdinando ebbe il privilegio di ascoltare i giudizi di esperti studiosi che si affannavano per scoprire chi fosse l’autore di un trattato così completo ed organico. Il segreto durò solo due mesi in quanto, andata a ruba la prima edizione, ne fu necessaria una seconda accompagnata dalla rivelazione che l’autore era un giovane di appena 22 anni. Ovviamente ci furono anche aspre critiche dettate spesso dall’invidia di dotti economisti molti dei quali non disdegnarono alla fine di adottare dell’opera del Galiani i principi ispiratori e le conclusioni proposte per risolvere i sempre più gravosi problemi economici e monetari del tempo. Lo stesso Papa Benedetto XIV volle complimentarsi con il giovane così come ampi consensi giunsero dall’Accademia della Crusca a Firenze, da Carlo Emanuele III, da Beccaria e da Verri. Il successo fu tanto che anche dopo la morte dell’autore ci furono una seconda e una terza ristampa nel 1831; ad esse seguirono le traduzioni in lingua francese e tedesca mentre l’opera stessa fu letta ed apprezzata dal Foscolo, dal Manzoni, da Carlo Marx che ne fa menzione in una nota de “Il Capitale”. Nel 1905 l’opera fu ristampata a cura di Fausto Nicolini nella Collana di Laterza “Scrittori d’Italia”.
Nel 1753, mentre tutti elogiavano il talento del Galiani, moriva lo zio Celestino e l’illustre nipote ebbe a scrivere “perdita grave ed irreparabile per le lettere, delle quali era stato nella sua patria più illustre che fortunato ristoratore”.
Nel 1758, ai funerali che si tennero a Napoli per la morte di Papa Benedetto XIV, Galiani ebbe l’onore di pronunciare l’elogio funebre e la sua orazione riuscì a sensibilizzare il mondo intero.
Dal 1760 inizia per Ferdinando Galiani il periodo di soggiorno francese che durerà un decennio: egli, nella qualità di segretario di ambasciata, fu inviato a Parigi al seguito dell’Ambasciatore di Napoli, conte Cantillana. Qui prese contatto con i più grandi illuministi che rappresentavano la libertà nel mondo civile e culturale dell’epoca. Durante questo periodo tornò frequentemente in Italia ed in uno di questi rientri, nel 1766, conseguì a Napoli la laurea in Giurisprudenza. Prima di lasciare Parigi, diede alla stampa un’opera scritta in francese “Dialogues sur le commerce des bles” che affrontava il problema del mercato e della commercializzazione del grano; l’argomento era molto attuale all’epoca e nasceva dai suoi ricordi delle coltivazioni nel Tavoliere, della sua terra, delle misere condizioni dei contadini e dell’intera economia agraria della Capitanata determinate, secondo il Galiani, dalla “Regia Dogana della Mena delle Pecore”. L’opera, ritenuta la seconda per importanza, è stata ristampata recentemente, nel 1978, dagli Editori Riuniti.
Nel 1770, al suo rientro in Italia, compilò la “Carta Geografica del Regno di Napoli”, mentre, sempre nello stesso periodo, si cimentò anche nella letteratura dando alla stampa “Vita di Orazio ricavata dalle sue poesie”. Da ricordare ancora tra le sue opere “Dialetto Napoletano” e “Vocabolario del dialetto napoletano”ritenute ancora oggi di notevole importanza. Infine restano ai posteri le opere scritte con lo pseudonimo di don Onofrio Galeota e cioè “L’eruzione del Vesuvio di don Onofrio Galeota, poeta e filosofo all’impronto” e “Socrate immaginario”.
Nel 1785 Galiani si ammalò di apoplessia e si trasferì a Foggia dai parenti in piazza XX Settembre. Per le cure fece viaggi a Bari e poi a Venezia ma non ottenne alcun giovamento: morì il 3 ottobre del 1787 a Napoli in casa delle figlie del fratello Berardo e fu sepolto accanto allo zio Celestino, ma senza una lapide, un’epigrafe per ricordarlo alle generazioni successive.