La spiaggia dei foggiani
La fondazione del Lido di Siponto risale al 1936, quando il Consorzio Generale per la Bonifica della Capitanata iniziò appunto la bonifica delle Paludi Sipontine, trasformandole in campi coltivabili.
Parte di quei campi furono lottizzati per edificarvi delle villette e le prime di esse sorsero sulla zona rocciosa, esistente tra le paludi e la piccola stazione ferroviaria.
Nasceva così, con una geniale intuizione, il villaggio turistico di Siponto, che sarebbe divenuto, negli anni a venire, un raro e fulgido esempio di stazione turistica.
Siponto, meta prevalente dei foggiani sconvolti dalla calura estiva del Tavoliere, è stata per decenni il centro turistico-balneare più frequentato della provincia ed ha goduto di un crescente sviluppo turistico e culturale fino agli anni ’70, allorchè Manfredonia, abdicando al ruolo di fiorente città turistica e marinara, travolgeva Siponto dapprima in una paralisi turistica e successivamente in una urbanizzazione che è stata causa della perdita della propria identità divillaggio.
Nel corso dei decenni, e mi riferisco soprattutto agli anni ’50-’70, Siponto ha conosciuto prevalentemente quattro tipologie di utenti, tranne quelli che soggiornavano in albergo per brevi periodi: quelli che possedevano una residenza, quelli che affittavano una residenza, coloro che si recavano in treno e coloro che si recavano in auto.
Nel primo caso coloro che possedevano una residenza erano soliti trasferirsi a Siponto a giugno e facevano ritorno in città a fine settembre; questo significa che un terzo dell’anno veniva vissuto a Siponto e cioè in una dimensione di assoluta libertà e sono proprio coloro che Siponto ce l’hanno ormai nel DNA.
Questi utenti erano prevalentemente foggiani, ma ve ne erano anche di napoletani, romani, salernitani, milanesi, perugini, baresi e qualche straniero; la caratteristica di questi utenti insisteva nel fatto che non esistevano differenze generazionali e che cioè tutti erano amici di tutti. Gli amici dei fratelli erano propri amici e di contro si era amici anche ai fratelli dei propri amici: una grande famiglia.
A giugno e a settembre erano presenti solo questi e Siponto era “il mondo a disposizione”: non c’era angolo che non veniva vissuto pienamente, non c’erano auto se non tantissime biciclette e qualche motorino. Sovente si facevano le corse, le discese a gran velocità senza il rischio di auto che sbucavano all’improvviso, corse in bici anche sul bagnasciuga ed in acqua e lungo le strade dei poderi con scorribande nei campi di liquirizia, la spiaggia era a totale disposizione.
Gare di corsa con i sacchi, cacce al tesoro, partite a pallone e a pallavolo, circuiti di sabbia con curve da capogiro ed ulteriori circuiti in cui si cadeva per via dei “trabocchetti”, melonate sulla spiaggia, picnic all’ora di pranzo senza tornare a casa e ancora il villaggio a propria e totale disposizione, gare di palla a muro in piazzetta, orde di ragazzini riuniti in “lupetti rossi” che facevano le guerre sulle colline delle pietre preziose, la raccolta delle pigne sugli alberi con immediata cottura e vendita, la risalita del canale con le zattere, grandi feste mascherate e tanto, ma davvero tanto divertimento.
La peculiarità dei ragazzi che si sono trovati a vivere Siponto in quei decenni è rappresentata dal fatto che Siponto diventava il luogo dell’ “esperienza”; durante l’anno in città si andava a scuola e, essendo la cattiva stagione, si stava al chiuso. Siponto pertanto era il luogo dove si conosceva la vita, si scoprivano i segreti della natura, si provavano le emozioni legate alle cotte e agli innamoramenti in un luogo dove tutti erano amici di tutti.
L’estate terminava poi con una Siponto deserta in cui la mattina prima di andare al mare si seguivano i film in bianco e nero dati in televisione in occasione della Fiera del Levante e finiva con il ritorno in città che, dopo mesi di assenza, percepivi estranea e sconosciuta e stentavi a riconoscerne le strade.
Questa realtà ha fatto sì che gli amici sipontini sono quelli che sono rimasti più nel cuore ed il motivo per cui anche per i foggiani il luogo della propria appartenenza era più Siponto che non Foggia o la propria città.
Nel secondo caso, cioè di quelli che affittavano una residenza, questi arrivavano a Siponto che la stagione era ormai iniziata e trovavano gli amici ad aspettarli e ben si inserivano nei meccanismi, nei ritmi e nelle goliardie estive dei “sipontini”, aderendo alla comunità all’unisono.
Nel terzo caso, e cioè di quelli che arrivavano in treno, la gioia iniziava, credo, dalla sera prima nel preparare quanto necessario per trascorrere la giornata a Siponto; l’eccitazione della mattina, l’andare in stazione con l’aria fresca e le rondini che stridevano al di sopra delle chiome dei lecci del viale, il profumo dei cornetti e delle “graffe” del bar Imbriani e poi l’assalto al treno per condividere con gli altri passeggeri i sedili in legno con le tendine in stoffa decorata e pesante (ancora riesco a sentire l’odore di quelle tendine). L’arrivo poi a Siponto dopo un interminabile viaggio con obbligate soste nelle fermate di Tortorella, Amendola, Candelaro e Frattarolo per scambiarsi il binario con l’altro treno che procedeva nella direzione opposta; le fermate a volte erano lunghe al limite dell’inverosimile in un paesaggio fatto di campi bruciati e di sporadici e freschi campi di pomodori e meloni che frettolosamente qualcuno, scendendo, andava a raccogliere.
L’arrivo a Siponto, il catapultarsi fuori dal treno, la respirazione profonda che si faceva nel piacere della frescura marina del primo mattino, sciami di villeggianti che invadevano letteralmente i viali di Siponto e, come in un ritmo di una marcia militare, sbattevano con gioia gli zoccoli sull’asfalto per avvertire del loro arrivo (io che me li vedevo venire incontro a volte, spaventato, mi inventavo qualsiasi cosa pur di tornare indietro e non affrontare i pendolari).
Lo stabilimento: ce ne erano per ogni tasca da quelli più signorili a quelli più economici e alle spiagge libere con gli ombrelloni con le tende, quasi ad imitare l’intimità di una casa; lì all’interno trovavano refrigerio i bimbi che nella calura potevano fare un sonnellino o la nonna, doverosamente con il fazzoletto in testa, si ricreava all’ombra affianco al nipotino.
I juke box con la musica all’impazzata, le ultime novità della “canzone per l’estate”, i balli sulle pedane, i flipper, le barche dei pescatori che raccoglievano a riva orde di villeggianti desiderosi di un tour in alto mare, distese di mosconi sul bagnasciuga schivati da gruppi di giovani che passeggiavano a riva muniti di mangiadischi.
Le ragazzine che utilizzavano questi gran momenti di confusione per andare in acqua con i fidanzatini, mentre le mamme, dapprima confuse e ignare, urlavano poi dalla riva con la mano in bocca verso le figlie “Mò che vieni!!!!”.
Così si trascorreva l’intera giornata con le spalle rosse e arroventate dal sole, con la sabbia sottilissima che il vento ti faceva entrare nelle orecchie e rincorrendo i venditori di pizzette, taralli, cancelle e ostie piene che ormai si allontanavano tra la folla rumorosa.
In alternativa agli alimenti venduti sulla spiaggia all’ora di pranzo si creavano delle calche spaventose dalle sorelle Cotrufo o dal Brigadiere per soddisfare l’appetito con degli ottimi panini con la mortadella o, ancora più mitica, prosciuttella.
Guai per chi, come me, che vivendo a Siponto tutta l’estate, doveva recarsi lì in quell’orario per comprare qualcosa di indispensabile per terminare il pasto che la mamma stava preparando, non poteva ultimare perché aveva dimenticato o finito l’olio o il burro o altro: ti affacciavi e, spaventato, tornavi a casa sconfitto nella speranza che comprendessero il tuo dramma.
Giunto il pomeriggio si iniziavano a raccogliere le proprie cose, i più fortunati riponevano salvagenti costumi e quant’altro nelle cabine e ci si accingeva a risalire i viali alla ricerca di un posto all’ombra sotto i pini e nella speranza di trovare ancora sulla strada il venditore di gassose, tenute ben fresche in bidoni di latta con grandi cubi di ghiaccio. A fine estate le gassose venivano sostituite da succosi fichi d’india che mani esperte ti pulivano e ti porgevano in una sorta di orgasmico piacere.
Arrivava finalmente il treno e lo si vedeva giungere dalla lontana Manfredonia (in quei decenni Siponto era un’isola felice) attraverso un paesaggio di piccole colline carsiche, iniziavano gli spintoni per piazzarsi primi e pronti a salire sui vagoni, ergumeni padri passavano alle mogli i bambini dai finestrini, le bande di ragazzi ridenti e felici occupavano anche gli scaffali per i bagagli pur di stare tutti insieme e di qui il ritorno a Foggia; una volta arrivati c’era la dispersione dei villeggianti che in genere avveniva in piazza Cavour dopo una rumorosa processione di zoccoli sul viale, osservati dagli attoniti commercianti.
E di lì il ritorno a casa, paghi delle emozioni provate durante la giornata al mare e già eccitati al solo pensiero di ritornare l’indomani a Siponto.
Quarto ed ultimo caso è quello dei villeggianti che si recavano a Siponto in auto e già da allora la nevrosi da automobile imperava indisturbata nella popolazione; erano i più agiati, quelli che si potevano permettere l’autonomia e la non dipendenza dagli orari ferroviari.
Ma già dal mattino era un gran da fare: caricare sdraio, tavolini, seggiolini, tielle e frigo portatili, materassini e salvagenti. Ma già da Foggia le prime tensioni per la fila al distributore o, la domenica, a non trovarne uno aperto; ma si sa, la pazienza premia ed il mare è l’obiettivo.
Dopo un più breve viaggio ecco l’arrivo a Siponto, molto spesso in coda per via del passaggio a livello chiuso (di quelli che si chiudevano a mano) e lunghe file di auto; finalmente dopo una lunga attesa si arrivava allo stabilimento dopo un’affannosa ricerca per il parcheggio.
Io, ragazzino, mi divertivo come un matto ad osservare lo svuotamento dell’auto (ho sempre reputato i migliori film quelli che vedi osservando le persone); tipica scena alla Fantozzi, una infinità di oggetti, vettovaglie, bambini urlanti con i secchielli in testa per tenere le mani libere, indispensabili per reggere altre cose.
La scena era sempre la stessa: il padre prima aiutava la moglie a portare l’intera famigliola sulla spiaggia e poi, incredulo e felice per essere rimasto solo, iniziava ad occupare e a custodire lo spazio per il picnic in pineta, affinchè nessuno potesse rubarglielo. Questa era anche l’occasione per coltivare le amicizie e le complicità maschili in pieno relax, organizzatissimi, chi portava le bocce, chi la radio ultimo modello, chi le bevande..iniziavano così i tornei nella frescura resinosa, lontani dalle urla dei bagnanti e a volte disturbati però dalle interminabili file dei bimbi delle colonie estive e guidati dalle “signorine”.
Arrivato l’orario del pranzo venivano raggiunti dalle famiglie e dopo un lauto pranzetto seguiva il fatidico riposino o sulle amache o sugli asciugamani poggiati a terra e punzecchiati dagli aghi dei pini.
Quando poi la calura iniziava a lasciare spazio al fresco pomeridiano si ricominciava a caricare l’auto per tornare in città; dopo nuove code al passaggio a livello si riprendeva la strada del ritorno sulla vecchia strada per Foggia, dove molto spesso c’era la fermata sul ponte del Candelaro perché passava un’auto alla volta.
Dopo un viaggio immersi nei fuochi delle stoppie che incendiavano il cielo e annebbiati dai fumi dei campi bruciati finalmente si tornava a Foggia, dove i ragazzini stanchi della giornata di mare, ma insonni per le emozioni provate, faticavano ad addormentarsi perchè eccitati al pensiero di ritornare il giorno dopo a Siponto. (Mauro Masullo)
Una poesia dedicata a Siponto
‘A strade pe’ Seponde
‘A strade pe’ Seponde, / m’arrecorde ch’ére stretta strette / cke l’alvere d’i pigne e ch’i cecale, / ind’a staggione, ‘nzurdévene ‘i récchie. / E vedè chè cundendèzze / che tenémme nuje crejature / ‘nzaccate ind’a seicinde de papà / che appuijave ‘u vrazzo o fenestrille e reréve. / ‘I borze ck’u magnà / stévene appujate arrète / ck’addore d’i peperusce e d’u tembane / nen parève l’ore che facève mizzejurne. / A sere pò turnamme / stanche, strutte, ma cundènde / e ‘a strade pe Seponde chiù bélle me parève / sott’o sole ché se curcàve e ck’a restocce che s’ardève. / Ije mo’ tènghe ‘u machenone, / ind’a ninde me porte pure a Matenate / e pe’ magnà, si tènghe fame, / magne sembe o resturande. / Ma chissà se eje ‘a strade / …ch’è cagnate o è cagnate ‘a capa mije / ije mo me guarde atturne… / e ‘a cèrche sémbe ‘a strada vècchie pe’ Seponde
(Giuseppe Marchesino)
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Un video amatoriale della Siponto degli anni 70
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Una giornata a Siponto