Memorie della città
E’ un manoscritto di Gerolamo Calvanese del 1720 conservato nella Biblioteca provinciale appartenuto dell’avv.Saverio Celentano che ci ha lasciato tra l’altro le traduzioni delle opere di Marco Tullio Cicerone. La data di compilazione non è certa ma è sicuramente anteriore al terremoto del 1731 perchè l’autore non ne parla ma cita solo alcuni movimenti tellurici che interessarono la nostra città; parla di alcuni lavori effettuati nella Cattedrale tra il 1680 e il 1695; riporta infine una critica ai santi Guglielmo e Pellegrino apparsa sulla stampa del 1715: tutto questo ci fa risalire il manoscritto ad una data molto vicina al 1720.
Il manoscritto è diviso in tre parti distinte:
Parte Prima
Una città sorta prima dell’anno mille poco distante dalle rovine d’Arpi
Foggia edificata ritrovasi nel centro della spaziosa pianura detta Puglia Dauna, volgarmente chiamata Capitanata. Confina a levante colli monti garganici, li quali fanno argine (per così dire) al mar Adriatico, colle paludi e mare di Siponto; a Mezzogiorno col fiume Aufido chiamato anche Ofanto; a tramontana col fiume Fortore da’ Latini detto Frentone; et a ponente con le montagne di Bovino e Troia, già steccati e fortificazioni di Annibale il Cartaginese. Tutta questa pianura contiene miglia italiane 18 di semidiamentro poco più, o meno, di modo che la sua circonferenza è di miglia 108. Non si legge che Foggia sia stata sotto Baroni, ma bensì sempre soggetta a Regio Dominio de’ Re di Napoli.
La sua campagna aperta è priva di buona parte di alberi, il suo terreno è atto a germogliare grano, orzo e legumi. Vi sono quantità di vigne, che producono vini gagliardi niente amabili. Vi sono assai frutti, li quali, siccome sono in estremo saporosi per il terreno arsiccio, così di pochissima durata, sicchè presto maturano e presto nel puro està finiscono: e perciò non vi allignano frutta estatoniche. Per l’abbondanza de’ grani fu detto “granaio del Regno” e per la caldezza del sito il suo terreno è atto contener e moltiplicare gli armenti di vacche, giuente e pecore.
Tutta questa pianura, che è nuda affatto di pietre, è caratterizzata da alcuni torrenti. Il primo, dopo l’Aufido, è la Carapella, il quale forse è il Dauno, di cui fa menzione di poeta Orazio (Orazio lib. 3 carm. ode 33) che passa sotto l’antica città di Ordona ora distrutta, nota per gli amori di Annibale, alla quale è succeduta la città di Ascoli nella stessa provincia.. Il secondo è il Cerbaro, cosiddetto per avere tre bocche sotto Campo Reale, vicino alla città di Ariano, donde questo torrente tiene la sua origine. Strabone ce lo descrive navigabile. Gli altri sono torrenti di poco conto che passano, unendosi tra di loro, per il Ponte del Candelaro, per la via che da Foggia si va a Siponti. Questi torrenti, quando le acque sono abbondanti nelle montagne o si dileguano le nevi, sogliono cagionar innondazioni perniciose a’ campi, uscendo fuori del letto, e alle volte giovevoli per dar buona raccolta.
Tutta la pianura non tiene fontane di acqua dolce, alla sola riserva d’un fonticello per la via della città di Lucera, quattro miglia distante, nel luogo detto S.Marcello, che è acqua molto leggera e un secondo un miglio e mezzo sopra la via che si va nella città di Ascoli, nell’orticello della famigia De Nisi sopra terreno della R.C., il quale era assai abbondante, ma perduto nel terremoto del 1688. Quell’acqua teneva rara proprietà, che appariva e si nascondeva sotto la terra per il corso di quindici miglia; di modo che rendeva molto fertili i luoghi donde passava, dilatandosi per molte miglia, ed appunto faceva il corso per le vigne situate in quel luogo, le quali non solo, così umettate, molto fruttavano, ma le proteggeva dalle gelate, che frequenti e dannose riescono nella Puglia nella primavera nell’uscir i germogli dalle viti, e ritrovandosi le biade a fiorire, come a suo luogo si dirà.
La città di Arpi
Ben vero che dentro Foggia, e nel suo circuito, ha provvisto la Natura di acque sotteranee dolcissime in abbondanza, cavandosi la terra per canne otto o dieci in circa della misura napoletana, anzi in più vicinanza. E di migliore condizione sono le acque de’ pozzi delle vigne, potendosi dire che se Foggia e suo territorio, non avesse questo dono della Natura, sarebbe luogo inabitabile, e non atto nè per gli uomini, nè per gli armenti. Questi pozzi sono spessissimi e molto vicini l’uno con l’altro e tutti egualmente tengono acqua in abbondanza, essendo sotto Foggia, e suo territorio uno strato (per così dire) di acqua dolce sotterranea tale che si può chiamare “Epidropolis”, cioè “città sopra l’acqua fondata”. Foggia è di circuito passi novecento; ma con li borghi nuovi edificati avanza un miglio e mezzo, e tuttavia vi è apparenza di ampliarsi maggiormente ogni giorno.
E’ sprovveduta nientemeno di muraglie, essendo diroccate ed occupate da casamenti quelli che vi edificarono i Re Normanni e le torri, colle quali fu adornata da Federico II di Svevia. Non si trova tra scrittori menzionato il fondatore di Foggia, ma senza dubbio ella era terra della città dell’Arpi, edificata da “Diomede Greco”, la quale famosa città, un miglio e mezzo distante da Foggia, fu distrutta circa il sesto secolo dal parto della Vergine, senza nemmeno ritrovarsi il tempo accomodato alla succeduta distruzione.
E perchè li foggiani, o fogetani, che dell’uno e dell’altro vocabolo chiamati in più antichi strumenti si ritrovano, pretendono discendere dalla distruttacittà di Arpi, par necessario discorrere della fondazione e distruzione della detta città, acciò da quella conoscer si possa se Foggia sia stata edificata, o almeno aumentata, dalle sue rovine.
Non ha dubbio alcuno, nè vi è autore contraddicente, che l’Arpi sia stata edificata da Diomede, Re dell’Etolia, il quale con altri Greci andato in Troia, questa espugnata e bruciata, imbarcatosi co’ suoi commilitoni, approdò nelle isole dal di lui nome chiamate di Diomede, e situate poco distanti a’ monti del Gargano, presentemente dal volgo (chiamate) Tremiti. Dopo qualche tempo passato co’ suoi compagni nelle prossime montagne del Gargano, veduta la Puglia a quella sottoposta, e poi calato et osservata l di lei fertilità, dicono che edificato avesse Siponti, Lucera e l’Arpi, da Strabone detta “Argirippa”, appresso a Plinio “Argos Hippium”, che l’asserisce città della Daunia, della quale ne fa menzione anche Virgilio, lib. IX En. Gli scrittori la pongono seimila passi lontano da Foggia, da loro chiamata “Fossa”. Asseriscono che Argos sia stata la patria di Diomede. Che Arpi edificata fosse da questo valoroso capitano lo provano apertamente le monete di rame, argento et oro che ne’ campi Arpensi, ora divenuta campagna da seminar biade senza vestigia visibile di città tranne dalle rovine, sottoterra in più luoghi ritrovansi, e tra quelle la moneta con testa coverta di cimiero, et al di sotto scritto in greco “Diomedes”, e dall’altra parte un bue inghirlandato col piede piegato destro, con una freccia di sopra a traverso, e al di sotto scritto similmente in greco “Arpos” impresa senza dubbio della città.
Certamente poi abbracciò la fede di Gesù Cristo insegnta e predicata dagli Apostoli discepoli, poichè ritrovasi essere intervenuto al 2° Concilio Alense (ad Arles), sotto S.Silvestro I, nell’anno 314 della nostra salute, (un tal) Pardo Vescovo dell’Arpi nella Puglia, con Crescenzio suo Diacono, li quali col Vescovo di Trani, sottoscrivono i decreti del Concilio.
Anche tra le rovine si vedono oggi effigie e segni di cattolica religione. Nè giova all’autori il replicare che quel vescovo era semplice titolare dell’Arpi già distrutta? Strabone, che morì pochi anni prima della nascita di Gesù Cristo, riferisce esser già a’ suoi tempi distrutta, mentre non si dà vescovo titolare così in astratto, se prima non sia stata la città in piedi e col suo vescovo. Strabone, perciò, avendo scritto poco prima della nascita del nostro Redentore, si è ingannato con qualche falsa relazione. Senza vedere i luoghi la avrà ricordata, scrivendo che al suo tempo l’Arpi era distrutta.
L’eccidio di questa città si racconta in diversi modi:
1. Che tenendo li Saraceni occupata la Puglia Daunia e Peucetia fino al tempo di Carlo Magno, il quale venne a’ danni di quella deliberarono partire per dubbio di essere superati da Carlo. Ma prima di partirsi bruggiarono, e saccheggiarono molte città della Puglia, uccidendo il popolo e trasportando le ricchezze. Tra di quelle vi fu la città dell’Arpi (Leandro Alberti prima della descrizione del Monte Gargano a.c. 249)
2. Che tenendo gli Arpani il porto marittimo – come narra Strabone nella sua Geografica libro 6 – tra Siponti e la città di Salpi, i sipontini, ingelositi del commercio che facevano prosperamente gli Arpensi, contrassero con questi scambievolmente inimicizia. Di modo che, partendosi i soldati dell’una e dell’altra città per sorprendere l’altra, giunto l’esercito dell’Arpi sopra di Siponti la distrusse e l’istesso avvenne d’Arpi.
3. Finalmente che distrutta sia stata da terremoto, come succedette di Siponti. Ed invero nel cavar terra in diversi luoghi del recinto dell’Arpi, che numera il suo circuito miglia cinque italiane, vedendosi il recinto alzato di terra che oggi si chiama “le mura dell’Arpi”, si ritrovano vestigia di città rovinata e distrutta (fatto confermato dagli scavi effettuati in epoca a noi molto vicina). Gli anni passati, accidentalmente, cadde la volta di una camera, dentro la quale, essendosi polito, si ritrovarono varie monete nel pavimento fatto ad uso di mosaico con molti mobili infranti e rosi dal tempo, come sono, sedie, specchi, tavolini, et altro, et in un cantone della camera un fenestrino ben chiuso da una lapide di marmo, che levata si ritrovarono due caraffe di vetro della capacità di tre libbre, l’una coperta di piombo con grandissima maiestria. In una di esse si ritrovò cenere bianchissima, forse di cadaveri bruggiati, e nell’altra arena rossa con altri filetti di oror puro.
4. Altri han detto, e così tra i cittadini si discorre, essere stata Arpi distrutta da Totila Re de’ Goti nell’Impero di Giustiniano Augusto nepote, per parte di sorella, di Giustiniano Imperatore. Per la quarta volta portando l’armi nell’Italia, tra l’altre città bruggiate, a simil disgrazia condannò, la di lui fierezza, la nostra Arpi.
La morte dei protettori
I SS. Guglielmo e Pellegrino
Dall’eccidio di Arpi, senza dubbio, ne restò aumentata Foggia, o edificata, poichè nel suo distretto si vede abbondanza grandissima di fosse da conservar grano, le quali non possono essere di Foggia (infatti complessivamente avevano la capacità di 400mila tomoli di grano ndr) ma di vicina città come l’era l’Arpi, la quale teneva questo luogo per suo granaio, non essendo il terreno arpense atto alla citata conservazione e accordando la distanza di Foggia dall’Arpi dalle due miglia alle sei, conforme gli autori riferiscono. Perchè da Foggia fino alle porte dell’Arpi, che oggi così chiama il volgo, vi sono due miglia e fino all’altro lato della città vi sono le sei miglia. Per l’abbondanza delle dette fosse, si vuole che Foggia o Fovea sia stata chiamata, mentre in istrumento di antica censuazione di suolo, nel millesimo di nostra salute entro Foggia stipolato, non si chiama nè Fovea, nè Foggia, ma Fozo, che in greco vuol dire città di luce, come a suo tempo si dirà.
E’ senza difficoltà che dalla caduta dell’Arpi Foggia ne restò aumentata et edificata, perchè il Vescovo Guglielmo di Troia, quarto in ordine a’ vescovi, nel 1187 che fu trasferito dalla Chiesa, esenta Foggia da Troia, erigendo la concede il ius di eliggere le dignità canonicali che vacaranno in tutti li mesi, con altre prorogative assai decorose; del quale privilegio ne fanno menzione i Sommi Pontefici. In esso il Vescovo va enunciando che la città va crescendo in numero et in reputazione, e perciò meritevole sia di questo onore.
Tutto ciò si prova dalle pietre colle quali le muraglie e la Matrice chiesa di Foggia edificate si vedono, che sono prese dalle montagne del Gargano. Ma non essendo verisimile che Foggia avesse voluto, con spesa intollerabile, condurre quelle pietre da luoghi così lontani, si vuole che le abbia prese da città vicina distrutta. E che Foggia sia stata edificata, o ricevuto abbia il suo aumento et accrescimento prima del decimo secolo dopo la nascita del redentore, con evidenza si prova della morte dei SS. Guglielmo e Pellegrino, Protettori principali, li quali spiraron l’anime al al cielo nell’anno 1050, conforme nell’antica icone notato si legge con quelle parole: “Fogia repentino occursu obierunt anno 1050” come si dirà, e li corpi spolti furono nella Chiesa Matrice.
Dunque Foggia vi era prima di questo tempo. Essendosi provato che Foggia riceveva il suo aumento prima del decimo secolo dopo la nascita del Salvatore, con evidenza devesi provare l’origine della Chiesa Matrice, la quale senza dubbio, nello stato in cui si ritrovava la facciata precedentemente, si legge essere stato il suo edificio cominciato nell’anno 1172, nel mese di maggio sotto Papa Alessandro II, da Guglielmo II il Buono allora Duca delle Puglie, figlio di Rugiero secondo re d’ Normanni ( e qui vi è una evidente inesattezza del Calvanese, in quanto Guglielmo il Buono (1152-1189) re di Sicilia era figlio di Guglielmo il malvagio e non di Ruggiero; uno dei pochi errori contenuti nel manoscritto, attribuibile, però, al fatto che le “memorie” non furono rivedute e corrette) sotto il titolo dell’Assunta in cielo della Vergine.
Ma devesi ponderare non esser questa l’origine della prima chiesa di Foggia, ma altre molto tempo prima, la quale primaria chiesa, nel scavare la nave sotteranea sotto la chiesa edificata entro terra (un accenno allo scavo fatto nel succorpo, lavori che ne cambiarono l’aspetto), il che vien comprovato dalla morte dei SS, Protettori del 1050 e dal privilegio di Guglielmo IV, Vescovo troiano del 1187, non essendo punto verosimile che nello spazio di 15 anni, che corrono tra il cominciamento del nuovo tempio al privilegio di Guglielmo, possa essere la città cresciuta tanto in aumento e reputazione, leggendosi nell’architrave della chiesa a caratteri longobardi: “anno 1172 mens mai hoc templum inceptum est”.
Foggia poi ha ricevuto l’onore di città in vari tempi, et il primo che in più luoghi la denomina città è l’accennato vescovo Guglielmo nel suo privilegio.
Il secondo è il vescovo Errico di Troia, che nel 1204, scrivendo lettera onorevole al Capitolo di Foggia, la chiama città, concedendole infinite prerogative e tra quelle che il Capitolo fogetano goda gli stessi onori e prerogative che gode il Capitolo di Troia entro la Chiesa Cattedrale.
Il terzo è Nicolò IV pontefice, il quale, raccomandato a Foggia la libertà di Carlo II, primogenito di Carlo I nel 1288 prigioniero di Pietro Re di Aragona marito di Costanza figlia di Manfredi ucciso da Carlo I, l’onora col titolo di città in più luoghi e consentimentiassai decorosi per Foggia.
Il quarto è Federico II di Svevia, il quale nel 1223 ordina si chiami col titolo di città imperiale, come si legge in cima alla porta maggiore del Palazzo Imperiale edificato in Foggia, del quale oggi se ne veggono le vestigia.
L’Iconavetere
L’impresa di Foggia è acqua e foco, il che, come accaduto sia, dobbiamo brevemente raccontare. La Titolare della Chiesa matrice è la Vergine Assunta in cielo, della quale se ne conserva l’antica Icone, volgarmente chiamata Iconavetere, e si adora coverta da sette veli, cioè tele greche intessute di seta di vari colori, oltre li preziosi adornamenti fatti dai divoti cittadini, una di ricamo d’oro e d’argento, e l’altra tutta d’argento e due dei Regi Napoletani della Casa d’Angiò e della Casa di Hohenstaufen con le loro imprese. Non è mai stata scoverta, benchè nostro cittadino asserisca averla veduta, e che appunto sia pittura della Vergine in Cielo Assunta, in occasione di essere l’immagine stata trasportata alla Chiesa dei Padri Cappuccini per impetrar grazie per l’acqua, della quale molto si ha penuria in Puglia, con danno dei seminati (Il Calvanese si riferisce all’autorizzazione, data da Mons. Sorrentino al Canonico Ignazio Fusco, di esaminare, insieme con due padri cappuccini, il quadro dell’Iconavetere. Episodio di cui parlano anche Ferdinando Villani in “La nuova Arpi” ed il Manerba nelle sue “Memorie della città di Foggia”). Per intercessione della Vergine ne ottengono continue grazie.
Si porta ancora processionalmente questa immagine tre giorni prima de’ 15 agosto nella chiesa parrocchiale di S.Tommaso, dove asseriscono i nostri antecessori essere stata ritrovata quivi nel lago buttata, mentre dall’Arpi distrutta mano devota la aveva involtata a Guisa di Anchise che nella distruzione di Troia i Dei Penati pose in salvo poi dall’adorazione di un bue; fosse l’immagine fatta palese al popolo quivi abitante, con essere dal lago uscite fiammelle di foco. Questa processione si fa tre giorni prima, in memoria dell’Assunzione fatta in Cielo.
Nè ricevette difficoltà che, per la divozione di questa Sacra Immagine, la Chiesa ed il Capitolo si ritrovino in sommo onore, e molto arricchiti con l’annua rendita di ducati 4.000, di modo che ogni canonico tiene la rendita di sopra ducati 200 l’anno. Lo testimoniano i Regi Angioini di Napoli con quelle parole – ob maximam devotionem quod nos, et predecessoris nostri reges ergo S.M. de Iconavetere Advocatam nostram – parole che sono accompagnate con le ferventi dimostrazione di pietà cristiana e Regale Munificenza perchè Carlo I d’Angiò lasciò al Capitolo fogetano il “ius” dello scannaggio che gli frutta annui ducati 400, gli legali Regi, la decima sopra il dazio della bagliva, seu piazza, che gli frutta 100 ducati all’anno, et alcune rendite sopra le gabelle della carne, con la fondazione di tre cappellani per la celebrazione delle messe per l’anima del detto Carlo I e per le opere della Chiesa, i quali privilegi furono tutti confirmati da’ Regi successori, delli quali se ne farà menzione a suo tempo.