L’antica Fiera di Foggia
Le cronache di seguito riportate, costituiscono la descrizione più precisa, puntuale e per alcuni aspetti esaustiva dell’antica Fiera di Foggia. Sono così palpabili e vivaci da consentire, a chi vuole, di tornare indietro nel tempo e mischiarsi alla folla di gente festante e interessata che la frequentava. E la Fiera continuerà questo trend fino all’Unità d’Italia, quando subirà “un brusco arresto” (citazione di Raffaele Colapietra).
Il periodo è quello del Regno delle Due Sicilie, sotto i Borboni, in particolare con Ferdinando II che regnò dal 1830 al 1859. Già uno dei primi atti emanati nel decennio napoleonico (1806 – 1815) aveva portato all’abolizione della Dogana della mena delle pecore e del suo tribunale speciale (Legge 21 maggio 1806) segnando profondamente quella che era l’essenza della fiera stessa, cioè lo stretto connubio con la pastorizia transumante. Erano i prodromi di un cambiamento epocale che si avvertiranno nel tempo a venire con un ridimensionamento lento e costante della fiera stessa, col sopravvento dell’agricoltura sulla pastorizia e poi con i primi accenni di industrializzazione.
Ma ancora per un buon tratto di tempo, con Ferdinando II, Foggia resterà sinonimo di Fiera, così come Fiera lo sarà di Foggia.
Foggia è la seconda città del Regno, subito dopo la capitale Napoli, per forte presenza di imprese, di attività commerciali, artigianali e servizi. La Fiera estende le sue propaggini in tutta la città per i movimenti di merci e persone che essa comporta, continua la sera e a notte fonda perchè crea e favorisce i presupposti per incontri di personalità importanti, per balli, spettacoli ed attività culturali. E’ stimolo per l’affermazione, in vari campi, di belle ed intelligenti figure di uomini foggiani.
Lunedi 16 maggio 1831
Lo sparo del pezzo ha annunciato al pubblico al far del giorno l’apertura della nostra fiera la quale è affollatissima quest’anno più del solito per la fausta circostanza di trovarsi tra noi l’eccelso Monarca e nostro Re Ferdinando II, felice circostanza per noi foggiani e per quanti forestieri qui portatisi in fiera.
Questa mattina la Maestà Nostra, ascoltata la messa del Real Palazzo, ha voluto girare la fiera a cavallo, seguito dai suoi cavalieri di Corte, dall’Intendente [Nicola Santangelo] e da pochi gendarmi, accompagnato sempre da immenso popolo che non si stanca di continuare a goderlo.
Circa le cinque pomeridiane si è portato ad osservare la nostra Villa che ha percorso a piedi in tutti i punti, accompagnato dall’Intendente. Uscito dalla Villa si è compiaciuto di di osservare di sua presenza due corse di cavalli, apposta preparategli da questo Comune, che per maggior rispetto ha fatto erigere un vistoso ed elegante padiglione a fronte dello steccato da dove Sua Maestà ha visto ed osservato le corse durante le quali si alternavano delle musiche eseguite dalla nostra orchestra.
Il popolo accorso, la quantità delle vetture e quanto di grande ivi poteva osservarsi, porgeva all’occhio del Sovrano il più imponente spettacolo, dato dalla spianata non indifferente, coperta da una immensa popolazione che, benchè disturbata da un tempo piovoso e freddo, non ha mancato di accorrervi.
I premi dati ai corridori, vestiti nel modo più grazioso e con diversi colori, sono stati di ducati venti per la prima corsa e ducati diciotto per la seconda. Terminata la corsa, Sua Maestà si è riporato in carrozza al Reale Palazzo.
(dal Giornale Patrio del Villani)
Nell’occasione, nei giorni successivi, Ferdinando II si recherà al Santuario dell’Incoronata, a Manfredonia, Lucera e Monte S. Angelo. Tornerà ancora alla fiera per assistere all’acquisto dei puledri da parte dell’Ufficio della Rimonta dell’Esercito e ad altre corse di cavalli, non mancherà di assistere a rappresentazioni, date in suo onore, presso il teatro cittadino di nuova costruzione circondato dalla “Foggia-bene” dell’epoca e da quella già in condizioni per proseguire la scalata.
Relativamente alla Fiera del 1832, si trascrive parte di un poemetto eroicomico di Raffaele Rio (1810-1834), poeta foggiano.
Il Primo Giorno della Fiera di Foggia ossia il 21 Maggio del 1832
– Poemetto eroicomico –
Le Dame, i Cavalier, gli usi, gli amori,
La Noblesse, il bon-ton, la Franca moda,
Le Giumente, i Destrier, le Vacche, i Tori,
E quanti àn lunghe orecchie, e corne, e coda
E’l Teatro, e’l passeggio, e la confusa
Ornata piazza, or tu canta, mia Musa.
Erasi desta in Ciel la Sgualdrinella
Del gelato Titone, e si lavava
Ancor la faccia sonnacchiosa e bella,
E’l crin di rose e di zaffiri ornava,
Mandando i suoi Crepuscoli valletti
La Notte a congedar con brevi detti:
Che ritornando alle tartaree grotte
Non so di qaule umor spargea l’erbette,
Mentre con varie voci ed interrotte
Usciano i venditor dalle casette,
Ed ogni gallo salutava il dì
Con lo stridulo suo chichirichì.
Allor che da un terribile rumore
Dal più profondo sonno io fui destato,
E balzando sul letto per timore:
Ah, dissi, l’orinal s’è fracassato!
Ma poi mi accorsi che fu il mastio doppio,
Che aprì la FIERA col suo forte scoppio.
E giunto al Piano, ove in gran copia stanno
Le bestie grosse nel mattin di Fiera,
Di un Fabbro mi sedetti ad uno scanno,
Chè per la strada affaccendato io m’era,
E guardava, così mille Zerbini
Ricchi di nastri, e smunti di quattrini.
Della gente il gridare, il gran fracasso
Degli animali indomiti feroci,
E gli acuti nitriti, e’l mugghiar basso,
E de’ somieri le discordi voci
Facciano uniti un indistinto suono,
siccome fa continuato il tuono.
Qui di polledri è un gruppo, ed or si vede
Un comprator che intorno ad esso gira:
Osserva, guarda, uno ne fissa, e chiede
Che sol sia tratto, e a suo bell’agio il mira:
Co’ vincastri: i custodi allor pian piano
Lo traggono: dagli altri un po’ lontano.
Là un asinel si vende, e’l ventre
Con un ferro acutissimo il flagella
Per mostrarlo brioso al compratore,
Che gode ognor che l’animal saltella:
L’asino uscir vorria da tanto duolo,
Ma che può far lo sventurato è solo?
Più lungi vedi da pastori atretto
Indomito destrier fiamme sbuffante
Invan si batte chè già il capo à stretto
dalla servil cavezza in un istante;
E ora morde, ed or solleva all’aer vano,
Con licenza parlando, il deretano.
Più s’infuria il destrier, e trarsi il laccio
Con l’unghie cerca, e la cervice inchina;
E più si sente gravita l’impaccio ,
Più vorria far de’mastri suoi rovina:
Cotanto il cor la servitù gli preme.
Il poemetto continua con versi dedicati al passeggio pomeridiano e alle serate a teatro.
Foggia è città di 26 mila abitanti, erta nel bel mezzo della piana di Puglia, di un perimetro di circa tre mille passi. Tutta la parte settentrionale, con l’orientale, ed occidentale della città e della campagna del raggio di mille passi, presenta perfettamente la località della Fiera. Sopra i punti spaziosi della Piazza Mercantile e lungo il lastricato parallelo al fronte del palazzo comunale, fuori il piano della Croce, si commettono delle baracche a sola cura dell’Amministrazione comunale. E’ facile condurre in fitto tali temporanei loggiamenti perchè non vi prende parte il privato interesse, che suole spesse volte assai premere su la necessità dei venditori da lontani paesi venuti. Può dirsi aversi solo in Foggia così facile e così discreto mezzo da tenere le merci in piazza. In altri luoghi le condizioni di affitto sono violente e assai penose. Le case di coloro i quali abitano i punti della località della Fiera si concedono ancora in fitto, e si sceglie altro luogo onde esercitare le proprie faccende, senza privarsi di qualche utile per la locazione. Tra i due precedenti giorni all’apertura, cotesti punti si ammirano già occupati, e ti sembra una continuazione delle linee degli edifici. Darsi una idea del numero dei concorrenti non sì agevole. Basterà il dire non restarsi vuota una sola abitazione. Foggia si fa popolosa come il più animato punto della Capitale. Un tempo, per sovrana concessione, il Mastrogiurato, o come addimandarsi ora, il Sindaco, esercitava giurisdizione indipendente dal 20 Aprile al 20 Maggio. Sventolava sul palazzo comunale la bandiera con lo stemma regale, costruivasi nel centro del piano della Croce una grande mostra per la stazione degli Amministratori, e i magistrati dell’antica Dogana qui recavansi con pompa, e si presentavano con rinfreschi ed altri modi cortesissimi.
L’eletto della grascia alla prima ora del giorno conosce quanto si è immesso nella città, di frutta, foglie, pesci, carne, vino, olio ecc. Un avviso impresso a stampa vi dice il prezzo di ogni cosa. Ma ciò non è tutto. L’Eletto è sempre presente nei diversi luoghi del mercato, e vigila sui pesi e le misure, e quando per ventura si cogliesse in frode il venditore, si fa restituire il prezzo al compratore, che porta via il commestibile gratuitamente. Insorgendo controversia tra venditori e compratori di Fiera, suole scegliersi di consenso l’arbitramento del primo Eletto, e si abbreviano così, e si facilitano gli affati. Il terzo Eletto, nella sua quasi edilizia carica è inteso tutto giorno alla nettezza delle nostre spaziose e bellissime strade. Da sua parte così adempie ai propri obblighi l’amministrazuione municipale. La forza pubblica poi si è di tale importanza, che non lascia esempio del più lieve disguido in una Città così popolosa, ed in una circostanza tanto rilevante.
Enumeriamo quelli [espositori] di questo anno 1835:
9 mercanti di generi di moda – 15 fra ombrellai e cappellai – 3 di stoviglie e porcellane – 1 di cretaglie di Sassonia – 8 cartai – 4 venditori di pelli – 7 di profumerie – 10 venditori di liquori e tutti i generi coloniali – 29 venditori di tessuti di lana, seta, cotone – 1 droghiere – 11 panchette di lavori di acciajo – 52 di altre merci, tessuti ordinari, e ciambellotti – 13 di scarpe ordinarie – 2 di ottonai – 11 di lavori di ferro – 9 panchette di librai ambulanti – 4 botteghe di librai principali – 3 di chincaglieria, e bisciotteria – 2 coltellai, bottonieri ecc. – 2 di lavori di cristallo.
Ma la parte più importante riguarda al solito, il mercato armentario. Ecco nota degli affari di Fiera in questo anno.
Gl’industriosi e negoziatori tenevansi a vista come due schernitori sin dallo spirare di aprile. La poco sperata ricerca delle lane non aveva reso guardingo il pastore. Un silenzio nei prezzi,ed una diffidenza era tutto il piano di attacco. Ma la bisogna non andava così, e non fu avvertita. I primi tre giorni della fiera si ebbero pochi affari.
Si erano fatti degli acquisti in lana, ma ai prezzi rotti di Fiera. Si durò in questa aspettazione. Non urgeva però il bisogno che mena tutto a rovescio. Si ebbero in fine dei prezzi rotti. Ma al quarto giorno, in un istante si pronunziarono i compratori e può dirsi tutta venduta la lana di questo anno. Il giusto desiderio non è a dolersi della quantità del prodotto, del prezzo, e degli effettuati contratti. Eccoli. Lana maggiorina bianca di 1. 2. e 3. qualità, da duc. 58,50, a duc. 73,50 il cantajo – Agnellina da duc. 48 a 53,50 – lane nere da duc. 49 a duc. 60. Talune partite principali cioè tutte merinos innesto perfetto, migliori condizioni, si emancipano da prezzi indicati, e l’acquisto può dirsi di affezione.
Infine il mercato del bestiame.
Lo stato degli animali non era del più favorevole aspetto dopo la rigida e secca invernata scorsa. La primavera non poteva sì presto aiutarli, per cui la Fiera ritardò sino al 25 Maggio. Per altro il numero degli animali è stato più scarso del passato anno. I prezzi corsi sono come segue: Bovi di scarto da macello da ducati 80 a 100 il pajo – Giovenchi da 90 a 100 – Annecchie a 95 – Figliate a 85- Sterpe a 75 – Giumente sino a duc. 60 – Puledri da duc. 65 a 90 – Muli da 55 a 90 – Bufali da 45 a 65 – pecore vecchie da duc. 3,40 a duc. 4,00 – Agnelli vernerecci da duc. 2,80 a 3,40 – Pecore di vita da duc. 5,00 a 5,80.
Tutta la merce è stata di qualità. Si è venduto a prezzo discreto, ma si è venduto. Tutto può dirsi della Fiera di Foggia, astenendosi da altro minuto ragguaglio che la conoscenza farà supplire, non potendosi negare essere questa Fiera una delle più belle e più ricche del Regno.
(da Il Poligrafo di Capitanata [Giornale delle Scienze] pubblicato da Casimiro Parifano)
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Anno 1836 – Lunedi 23 Maggio. Tempo sereno. Lo sparo del pezzo al far dell’alba ha annunciato al pubblico l’apertura della fiera la quale è stata affollatissima al pari degli anni precedenti. La Rimanta [approvvigionamento cavalli per il regio esercito] ha fatto acquisti per 600 cavalli e i negozianti si augurano il miglio risultato.
(dal Giornale Patrio del Villani)
Riferirò, o Signori quanto dal lato economico mi fu dato osservare nella Fiera di questa Città da poche ore compiuta.
Foggia accoglieva in questo anno maggior numero di ospiti. I loggiamenti temporanei non erano vasti abbastanza per capir tanta gente, e pur non fu rincarato il fitto. L’abbondanza dei commestibili à superato il bisognevole, le piazze non furono mai sfornite di gascie. Eccoci alla rassegna dei venditori.
I mercanti di generi di moda in tutta la propria romantica suppellettile, sono stati non più di due. Nell’anno scorso furono non meno di nove. Tre mercanti di stoviglie, e porcellane. Tre cartai. Tre venditori di pelli. Due di cuojame rozzo. Un assortimento di profumerie. Scarso è stato il numero dei venditori di generi coloniali, e rosoli. Ventinove venditori di tessuti di lana, seta, e cotone. Sette di lavori di acciajo. Cinquantadue di tessuti ordinari, e specialmente delle Provincie di Bari, e Lecce, ma di una qualità inferiore a quella dell’anno.
Banchi volanti di ciambellette, numero tre. Nove di calzature ordinarie. Cinque di ottonai, e cinque di lavori di ferro. Quindici di librai ambulanti, e quattro depositi bibliografi. Ramai due. Cinque venditori di oggetti di cristallo, e vetro. Tre di masserizie orpellate. Cinque di figure a litografia, e modelli xilografici. Una banchetta di candelieri di bronzo, con ronati plasticati su rame ciprio, e foglietti di ottone. Venditori di sapone, venditori di acciughe, ed altri salumi. Venditori di salami ottimamente prosciugati. Due venditori di sonagli, tre di tamburelli.
Ecco gli espositori foggiani.
Tra la varietà di oggetti di arti, e manofatture arrecate dai forastieri, mostravansi a gara i nostri lavori di ebanista, e di torniere. I fabbri ferrai sono ormai così abili, ed ingegnosi da farsi il ferro ubbidiente a quale che sia lavoro. I cappellai di Foggia non l’àn ceduta ai forastieri. La suppellettile più fine di scuderie à superato la bontà dei sellai nuovi venuti. Ogni maniera di guarnizione per equipaggi nobili, per vettura, da bastajo, e per lavori canapini àn richiamato su noi l’attenzione dei concorrenti. Lavori di tappezzerie, di tulli, e battiste ricamate a filo, e cotone, di stoffe ricamate a seta, a oro, e argento, annunziarono un genio pregevolissimo. Volgiamoci ora intesi a riconoscere i prodotti industriali della pastorizia di Puglia.
Ma le cose pastorali di questo anno annunziaronsi prospere, e così agevolmente progredirono. La state del 35 addusse piogge abbondevoli. Furono scomode le mandrie per quella superficie melmosa che infangava, ma valsero le acque a ravvivare un pascolo copioso, ed omogeneo alla felice nutritura del gregge, che poscia dalla Sabina, e dal Sannio discese nelle Puglie ben pingue, e vigoroso. Non irruppe morbo zootico di sorta, e l’andamento del gregge ne fu libero, come spiegasi il mandriano nella sua frase.
Eran già le Puglie smaltate di erbe nell’autunno. Le figliature si successero felici, e favorirono le erbe l’ottimo stato del bestiame. Poco durarono i rigori jernali, e non nocquero alla pastorizia. Al suo ingresso,la primavera salutò le campagne con piogge ristoratrici. Oh come crebbero le speranze del nomade abbruzzese. Francheggiato da tali auspici, l’armento serbossi incolume. L’inverno non lo colpiva, la fruizione fu larga, e generativa, gli agnelli ben nutriti, le lane ànno dato un dovizioso ricolto, cioè di rubbi 82-097-20, e nel passato fu 72-255-20. E comunque fiorentissimo pascolo imprometteva quantità maggiore di cacio, non si può dire scarso per poco il prodotto. Nel 1835 fu pese 69-326-11. Nel corrente è stato 74-941-17.
Le cause che poi rimontano al favore del commerciante sono ormai notissime. In tutto si è fatto un buon prezzo. I lanuti invecchiati àn dato quello di duc. 4 a 4,50 per coppia. Era discorso un lustro, da che neppure le pecore più scelte davano sì vantaggioso risultamentio.
Con prezzo sono stati venduti gli agnelli vernarecci, cioè a duc. 4 e 4,20. I cordeschi, dai carlini dodici a venti. Prezzi del 1835. Pecore vecchie da da 3,40 a 4,00. Agnelli vernarecci da 2,28 a 3,40. Pecore di vita da 5 a 5,80. Le pelli degli animali morti sono state comprate pel doppio sulvalore a noi noto. Si è gareggiato nella ricerca, e non si cessa dal desiderarsene. Sin nel pubblico ammazzatojo si faceva un tanto smercio. Da ultimo il budellame pecorino ed agnellino è stato oggetto di speculazioni. In quest’anno si sono avuti forti depositi di siffatta congerie. Si noti che da pochi anni un manofatturiere di corde aveva migliorato di molto la fabbrica qui stabilita.
Tenendoci agli elementi che si raccolgono da’ prezzi certificati, per Foggia, Nola, e Taverolaccio possiamo dire che i caci saran gridati alla voce di duc. 3 per ogni pesa. Per le lane raffrontandosi i prezzi rotti a duc. 72 e i massimi a 84 abbiamo già indizi tali da farci veder levata la voce a pari di quelle che formarono norma nel decennio, quando i fabbricanti di pannine nazionali spaziaronsi per tante circostanze favorevoli, sino su creare la propria offerta di duc. 85 non à consentito a contratto. Ricordiamo la miglioranza intramessa mercè gl’innesti, il pregio della mano d’opera dei lanifici, qualche particolare speculazione e pure nella Banca del Tavoliere alle quali vien chiamata dall’articolo 2 degli statuti fondamentali, e da ultimo i bisogni di Europa.
E cose veramente da scene ne àn rappresentate i lanajoli di Tarànta, di Palena, e di Arpino. Era gito in desuetudine il prezzo corrente, ed avvezzi com’erano ai tratti sopraffini di speculazione, che con dicitura volgare traduconsi monopoli, caduto il banco non si è marcata la facile ilarità, e che sola era fuggita dalla faccia dei miseri industriosi. Si è dato dunque pan per focaccia, vi è stato il ricambio del 1829 al 1830, quando le lane per infinite ragioni, e monopolio, non avevano che il vile prezzo di duc. 40. Però quando gemeva il pastore il negoziante rideva, ed ore se costui fa il viso di grippa il pastore non superbisce.
E mi fa uopo soggiungere, i negozianti di Principato Ultra, che per ogni anno vendevano in Gravina le lane di Basilicata, si sono decisi arrecarle quì in Foggia, e venderle a ragion più vistosa.
Ecco nota dei prezzi:
Lana maggiorina bianca di 1. 2. 3. condizione, da duc. 68 a 78,40 il cantajo.
Agnellina bianca da 57. a 62.
Lana di Basilicata bianca da 68. a 74.
Maggiorina nera da 53. a 66.
Al valore degli animali piccoli segue quello degli animali grossi.
Bovi di scarto e da macello per ogni pajo da 75. a 110.
Giovenchi da duc. 70. 103. a 110.
Annecchie da 95. a 110.
Figliate da 70. a 105.
Sterpe da 65. a 83.
Giumente sino a 60.
Puledri da 60. a 120. Pariglie sino a 470.
Muli da 60. a 140.
Giovenchi bufalini da 45. a 65.
Nello insieme, i compratori superarono i venditori. Si è comprato e venduto con la misura del numerario niente scarso, e del valore vero delle merci. Secura, brillante, lietissima incominciava, e finiva la nostra Fiera. Parean riapparsi i bei giorni dell’antica dovizia, parea che la masse dei proprietari pugliesi ricomparisse dopo una lunga assenza. Parea la buona fede risorta, consolidata la ricchezza, compiuta la promessa, come tra probi uomini convien trattare. Non si sono riferiti protesti, non vi è stato smercio di bollo graduale, non lo scadere a vuoto di un solo assegno. Si son partiti da noi gli ospiti con cuore pago, ed esilarante. Foggia di bel nuovo si fece cogliere quasi come un tempo, in tutto lo splendore delle sue ricchezze, nella spontanea manifestazione di cortesia, e di urbanità.
(dal Giornale degli Atti della Società Economica di Capitanata)