Lo sciopero delle lavoratrici della filanda di Foggia
La nascita della filanda a Foggia è strettamente collegata, ma successiva, alla creazione dei Giardini pubblici cittadini (Villa comunale), così come il primo sciopero di lavoratrici foggiane alla filanda.
I Giardini pubblici sorti nel 1820, si dice dono dei Borbone, regnanti dell’epoca, alla città di Foggia, sin dall’origine, potremmo dire con un termine moderno, ebbero un fine polifunzionale: bonificare un’area malsana, creare un luogo di ristoro dalla calura estiva, riposo e svago per grandi e piccini, di contenitore culturale (altro termine moderno), di piccola stazione meteorologica, di attività fieristiche e dimostrative, di orto botanico con le sue sperimentazioni su fiori e piante arboree.
Proprio in riferimento a queste ultime, furono piantumati molti alberi di gelso (Morus alba o nigra, dal frutto bianco o nero) funzionali per la bachicoltura e la successiva filatura della seta, al fine di introdurre, nella nostra terra, una nuova produzione col suo risvolto industriale, insomma diversificare l’agricoltura dell’epoca, “grano su grano”, e assicurare nuove fonti di reddito.
Il nesso fra l’albero del gelso e la bachicoltura, come si sa, sta nel fatto che le foglie di questo albero costituiscono il pranzo diurno e notturno, quasi senza interruzioni, del baco da seta che è la larva di una specie di farfalla (Bombyx mori).
Ma veniamo alla sperimentazione su Foggia, felice intuizione anche del nostro famoso concittadino Giuseppe Rosati (Agronomo, filosofo, medico e matematico – Foggia 1753 – 1814). “Tale industria, infatti, si realizzò qualche anno dopo, nel 1820, per opera dell’Intendente di Capitanata , cavalier Nicola Santangelo, ma soprattutto per il dott. Francesco Della Martora, segretario della Reale Società di Capitanata, che, sollecitato dal suo presidente, dott. F. Serra, fornì di una guida semplice e tecnicamente sicura gli allevatori di bachi da seta. I risultati furono strepitosi perchè, nel 1832 e 1834, alla mostra organizzata a Napoli dall’Istituto di Incoraggiamento, la seta prodotta in Capitanata fu premiata per lucentezza, finezza e resistenza”. [Urbano Marano, opera già citata]
E sempre dallo stesso autore veniamo a sapere che: “Il Vescovo di Troia, da cui ecclesiasticamente dipendeva la nostra città, Mons. Emilio Giacomo Cavalieri, nel 1723 fondò in via della Maddalena, oggi via Saverio Altamura, un Conservatorio con annessa chiesa dedicata a Maria SS. della Maddalena, nel quale venivano ricoverate le donne pentite, cioè quelle che si erano rinsavite dalla prostituzione”.
Il sito di risulta del Conservatorio e annessa chiesa è oggi adibito a parcheggio macchine, ed è appunto conosciuto ed individuato come “Parcheggio della Maddalena”. Quest’area, la struttura del “Conventino” e quella delle ex carceri di S. Eligio rientravano tutte nella disponibilità di una ex IPAB (Ist. Pubblica Assistenza e Beneficenza) locale.
Tornando al Marano: “Esse, “le donne pentite”, erano addette alla lavorazione della pasta a mano, alla confezione dei guanti e, quando nel 1834 Nicola Santangelo, Intendente di Capitanata, volle che ivi sorgesse una filanda, anche alla trattura ([dipanatura) della seta”.
“Tale nuova attività apportò un certo benessere alla vita economica-agricola ma, siccome una reclusa, tale Agnese Mastracchio, si era gravemente ammalata per il faticoso lavoro, tutte le altre protestarono contro la direzione e il 14 febbraio 1849 si astennero dal lavoro sostenendo che – dovendo operare in un ambiente surriscaldato dalle stufe (servivano per provocare la morte delle crisalidi) con le mani costantemente nell’acqua calda (prima in recipienti cilindrici per liberare i bozzoli dalla sericina e poi in bacinelle per ricercare il capofilo) – era molto cagionevole alla loro salute”.
“In seguito a tale protesta, l’anno seguente la filanda della Maddalena chiuse i battenti e le macchine furono rimosse e trasferite in uno dei locali del porticato della villa e precisamente in quello ove oggi hanno luogo le mostre”.
“Col passare degli anni l’industria serica ha fatto grandi progressi soprattutto con l’introduzione delle bacinelle automatiche giapponesi che hanno ridotto al minimo l’intervento umano. Ciò nonostante gli operatori economici della nostra città da allora hanno ignorato questa fonte di lavoro e di benessere”.
Solo per curiosità riporto da Wikipedia: “Un bozzolo di seta grezza è costituito da un singolo filo continuo di seta della lunghezza variabile fra i 300 e 900 metri”.
A proposito di alberi di gelso, “I cìveze ca nève, i cìveze ca nève!”: questo era il grido che lanciavano i venditori dei frutti di quell’albero; “con la neve”, quelli bianchi per contraddistinguerli dai neri. Chissà se la cosa risale all’epoca della sperimentazione della coltura del gelso in Villa comunale.
A conclusione della scoperta o riscoperta di questi fatti ed eventi, si può dire che questa terra, la Capitanata e la Puglia più in generale, sembrava potessero servire solo per la pastorizia e la coltivazione del grano. Invece, ha dimostrato ben altro, anche in tempi passati, come è stato per la coltivazione del gelso, ma non solo. Infatti, in tempi a noi più prossimi, ma in zone più lontane, nel tarantino, fu sperimentata anche la coltivazione del riso.
“Il risultato non poteva essere più soddisfacente dal punto di vista della precocità”, e ancora “Dal punto di vista della qualità il risultato è stato soddisfacente”, così commenta Enrico Pantanelli nel suo opuscolo “La coltivazione del riso in Puglia” – Edizione l’Opera Nazionale Combattenti – Roma – Anno VI [1928]. E in seguito ancora, proprio nel foggiano, inizi anni ’60, con la coltivazione della barbabietola da zucchero e i suoi risvolti industriali costituiti dagli zuccherifici di Incoronata e Rignano, ora non più operanti: “Archeologia industriale” troppo recente di una terra dove se l’industria c’è, non ha lunga durata.
L’altro aspetto in evidenza è quello relativo all’astensione dal lavoro delle “pentite” della Maddalena nella filanda lì ubicata per le condizioni in essa vissute. Si può dire, con orgoglio tutto foggiano, ma soprattutto femminile, che l’evento (14 febbraio 1849) anticipa di parecchio tutte quelle azioni, movimenti e lotte che portarono alle conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne. Quelle che poi trovarono la loro celebrazione nella Giornata Internazionale della Donna, l’8 marzo, più comunemente definita “Festa della Donna”, che affonda le sue radici in eventi come la morte di oltre cento persone, soprattutto donne, nell’incendio della fabbrica TRIANGLE (New York 25 marzo 1911) e nella manifestazione delle donne russe del 23 febbraio 1917 (l’8 marzo del calendario Giuliani) per la morte in guerra di due milioni di soldati russi.
Grazie alle “pentite” della Maddalena le lavoratrici foggiane hanno un loro primato