Vincenzo De Mita
Pochissime sono ad oggi le notizie sulla vita di Vincenzo De Mita. La tradizione vuole che sia nato a Foggia: temo che, in mancanza di documenti, questa notizia poggi soprattutto sul fatto che nell’ambiente era noto come “il Foggiano” e che talvolta aggiunse alla propria firma tale qualifica; intendo dire che non è da escludere che il Nostro possa esser nato in qualche paese della provincia. Qualcosa di analogo accadeva in un recente passato, quando si definivano “napoletani” anche coloro che erano nati in Campania e non specificamente in Napoli. Il Gambacorta 3, già Direttore dell’Ufficio di Foggia della Soprintendenza ai Beni Architettonici, aveva tratto dal Catasto onciario di San Severo del 1753 la seguente notizia: “Filippo De Mita, potatore, di anni 25; Vincenzo, figlio, di anni 2…”; di qui deduceva ” . ..se questo Vincenzo è l’artista che dipinge a Foggia e a Napoli dal 1768 al 1821, dovremmo dire quindi che egli è nato a San Severo verso il 1751″.
Carlo Villani accenna a due pittori, Vincenzo e Raffaele De Mita, che altri studiosi dicono essere fratelli 4; più precisamente del primo dice: ” . ..fu discepolo del celebre Francesco De Mura, cui fece molto onore, come si rileva da due quadri che si ammirano in Foggia, l’uno nella chiesa della Addolorata, l’altro in quella di S. Agostino “. Di Raffaele dice invece:
” Pittore, nacque a Foggia e fiorì nel principio del secolo passato. Tra le molte opere di lui sono degne di nota gli affreschi del soffitto della chiesa del Gesù Nuovo di Napoli. Morì nell’anno 1829 “. Chiariremo nel seguito che c’è qualche inesattezza nelle suddette informazioni, probabilmente dovute al fatto che i due artisti specialmente se fratelli, lavoravano nella stessa bottega e per gli stessi clienti. Ma tralasciando per ora di addentrarci in dubbie ed incerte biografie, dalle quali emerge però poco probabile un qualche legame tra questi pittori ed i De Mita di Nusco , parliamo invece della attività artistica del nostro Vincenzo.
Prima di tutto questa va inquadrata nel momento storico che l’arte pittorica andava vivendo. Nel XVIII secolo assistiamo ad un progressivo affievolirsi della committenza laica, che per tutto il ‘600 aveva esercitato una funzione importantissima come veicolo di nuove idee: essa aveva in particolare agevolato lo scambio ed il confronto di diverse esperienze contribuendo in maniera determinante a fruttuosi innesti ed all’evoluzione di nuovi canoni. Va invece sempre più affermandosi la committenza ecclesiastica, sensibilissima alla programmatica pianificazione del culto e della devozione, soprattutto di quella mariana. Ne deriva in pratica una fase di affermazione e diffusione su vasta scala del linguaggio barocco, di scuola solimenesca o giordanesca, elevato al rango di ideale strumento di divulgazione di principi religiosi da tradurre in pratica devota, anche attraverso una capillare distribuzione dei nuovi messaggi nelle più remote chiese della provincia. Su queste basi muta profondamente mente anche la tematica pittorica: scompaiono i truculenti martirii pervasi di sangue e di sofferenza i personaggi dotati di corposa e carnale tangibilità; sugli altari predominano le glorie, le apparizioni, le visioni estatiche che con enormi tele tendono a dilatare lo spazio anche in senso scenografico. E’ in questo contesto che si forma e lavora Vincenzo De Mita, ed è sintomatico che tutti i suoi lavori siano di soggetto religioso.
La sua prima opera conosciuta è una Madonna del Rosario, una tela di cm. 205 per 155, firmata e datata, oggi conservata nella Pinacoteca Comunale di Foggia ma proveniente dalla locale chiesa dell’Annunziata. L’opera, che porta sul piedistallo la scritta ” Vincentius de Mita Fecit Anno Domini 1768 ” è una copia fedelissima della Madonna del Rosario dipinta ai primi del ‘700 da Paolo De Matteis, poi sistemata nel quarto altare sinistro della cattedrale di Ascoli Satriano. Il termine ” sistemata ” è quanto mai appropriato perché la tela del De Matteis presenta dei margini in parte ripiegati sui telaio e nascosti dalla cornice: ciò si spiega col fatto che l’altare su cui venne collocata in Ascoli fu costruito solo nel 1795 ed adornato quindi con una tela preesistente 6. E’ tale la somiglianza fra le due tele (persino le dimensioni dovevano essere identiche se si pensa che quella del De Matteis, dopo la riduzione, misura cm. 195 per 142) che è già capitato di confonderne l’attribuzione. La Madonna è in trono, sotto un baldacchino, e porge il rosario a S. Domenico in ginocchio a sinistra, mentre Gesù Bambino dona altri due rosari a Santa Caterina e Santa Rosa. In basso il cane con la fiaccola accesa, simbolo di S. Domenico, e due rose sul pavimento; in alto, fra un coro di angeli e cherubini, sono dipinte 15 piccole scene della storia di Gesù che si riferiscono ai Misteri (5 Dolorosi, 5 Gaudiosi, 5 Gloriosi); da notare che queste scene, grazie ad un più recente restauro, possono essere meglio ammirate nell’opera del De Mita. Possiamo dunque ipotizzare che la sua prima formazione artistica sia stata acquisita copiando fedelmente opere dì pittori già affermati.
Nel 1779 la fama del De Mita ha già oltrepassato i confini della provincia e Vincenzo comincia a lavorare nella vicina Irpinia, dove tornerà spesso in futuro. E’ di quest’anno infatti una ” Immacolata in gloria ” firmata e datata, attualmente facente parte del patrimonio artistico della Provincia Sannito-Irpina dei Frati Minori 7. Si tratta di un olio su tela di cm. 185 per 300 la cui origine è però sconosciuta, visto che solo una incerta tradizione orale lo dice proveniente da Atripalda (AV).
Nell’estremità inferiore del dipinto, che nonostante il discreto stato di conservazione necessiterebbe quanto prima di un restauro, si legge su due righe ” VINC.ZO DE MITA P./1779″. La Madonna è rappresentata con una tunica ricoperta da manto azzurro, nell’atto di schiacciare il serpente che insidia il globo terracqueo in linea con le Sacre Scritture i Suoi piedi poggiano sulla Luna ed il Suo capo è circondato da dodici stelle. Tra i putti che circondano l’Immacolata ve ne è uno in basso che stringe tra le dita due rose.