Quando si andava a tagliare l’uva
Sino al 1977 la scuola cominciava il primo di ottobre ed i ragazzi, terminate le vacanze estive, passavano le giornate di settembre chi a studiare per riparare qualche materia a scuola, chi a godersi gli ultimi giorni di dolce far niente.
C’era però per tutti una alternativa che avrebbe potuto portare nelle tasche dei giovani di allora qualche denaro in più ed era legato alla raccolta dell’uva, ma anche a quella del pomodoro che però cominciava abbastanza prima.
Spesso si andava in gruppo, più per spirito di emulazione che per necessità economiche vere e proprie, anche se la paga a fine giornata ci inorgogliva e comunque pesava nelle nostre tasche.
Ci si avviava da casa nel cuore della notte e ci si incontrava davanti a quella che notoriamente era la Shell di porta Napoli, praticamente all’incrocio tra via Vittime Civili e viale Ofanto/via Candelaro. Tutti eravamo muniti di un catino che portavamo grazie ad una corda a tracolla (la “zoca”della serranda) e di un paio di forbici.
Aspettavamo un po’ di tempo e non sempre eravamo fortunati nel trovare chi ci prendesse. Non ricordo da che ora eravamo in attesa, saranno state le quattro, forse le cinque; ovviamente, anche per vivere insieme l’esperienza, cercavamo di farci ingaggiare tutti insieme e non da soli quando arrivava il cosiddetto “caporale” con il suo furgoncino 8/9 posti che,affacciatosi al finestrino, gridava: “Uagliù! Amma tagghià?”
Entravamo in tanti in questo furgoncino mentre cominciava ad albeggiare lungo strade sterrate che ci portavano, di solito nel giro di una mezzoretta nei pressi di un vigneto. Ci davano istruzioni veloci e comiciavamo a tagliare i grappoli d’uva che raccoglievamo nel nostro catino e che periodicamente svuotavamo nelle cassette all’inizio dei filari, cassette che poi a turno caricavamo sulle pedane.
All’inizio ci dedicavamo anche con entusiasmo al lavoro, ci piaceva farci notare dai caporali, ma, con il passare delle ore e con il sole sempre più cocente, si avvertiva sempre più la fatica e l’orologio sembrava non camminare più. La sosta a mezzogiorno per una veloce merenda non era mai stata desiderata tanto e la ripresa era sicuramente molto ma molto tosta.
Di solito alle 16,30 arrivava finalmente il gong finale e il momento di prendere il nostro compenso: ricordo che tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 la paga giornaliera era di 17.000 lire.
Il ritorno nel furgoncino era una conquista importante ma c’era ancora il ritorno a casa da via Napoli che facevamo, neanche più chiacchierando, e con dolori dappertutto.
Raramente mi è capitato di andare a raccogliere i pomodori perchè di solito venivano scelte le donne di una certa età perché considerate dai caporali molto più capaci e produttive; il lavoro era comunque più duro e veniva pagato 25.000 lire al giorno.
È inutile dire che i propositi all’inizio erano quelli di dedicare a tale lavoro numerose giornate per mettere da parte un buon gruzzoletto, ma poi inevitabilmente la fatica cominciava a farci desistere e alla fine si riusciva a mettere insieme non più di un paio di giornate alla settimana, prima dell’inizio della scuola.
Quei giorni, ormai lontani nei nostri ricordi, hanno saputo insegnarci il valore del denaro che spendevamo più facilmente quando giungeva a Natale o al compleanno, ma che sapemmo conservare con raziocinio perchè frutto del sudore e della fatica.