Andiamo tutti al Teatro Regio di Capitanata
Ci sono degli avvenimenti di cronaca foggiana che ci lasciano sgomenti: giorni fa avevamo dovuto commentare la vicenda di Ettore e della sua sala da barba attenzionata da chi aveva pensato di sottrarre dalla sua bottega addirittura le sedie e gli arnesi di lavoro e a distanza di una settimana ci ritroviamo a dover parlare di un furto in un teatro parrocchiale.
Si dice a Foggia “il cane muzzechèjie sèmpe ‘u strazzàte” e tale detto popolare si addice così come alla vicenda di Ettore, anche a quella che ha visto coinvolto il Teatro Regio di Capitanata che ha ricevuto la sgradita visita di chi ha portato via il frutto degli incassi di spettacoli che periodicamente vengono rappresentati.
Cominciamo con il dire che questa volta si è trattato di un furto che ha coinvolto una struttura parrocchiale e quindi nella settimana cardine della fede cattolica, si è perpetrato un furto nella casa del Signore; poi c’è da considerare che l’attività teatrale è spesso un’attività pilotata da tanta buona volontà, che gli incassi servono spesso a pagare le scenografie, i costumi, qualche rimborso spese degli attori e che il guadagno, considerata anche la capienza del teatro, risultano veramente ridotti al lumicino.
In una città, dove la crisi economica economica nazionale probabilmente si manifesta in modo molto più evidente, spesso i furti possono mettere la parola fine a tantissime attività e riteniamo che nel caso dell’attività del Teatro Regio di Capitanata bisogna far sì che ciò non avenga.
Questa può essere l’occasione per recarci in massa al teatro per contribuire a minimizzare gli effetti di questa triste vicenda, passando una serata in allegria e reagendo a chi vuole fermare le attività della parte buona di questa città. Facciamo sì che questo evento possa rappresentare quasi una pubblicità a questa attività e che si possa comiciare a registrare il “tutto esaurito” a partire dalla prossima rappresentazione.
Le parole servono a poco, i Foggiani devono provare a far deviare il corso delle cose.
Alberto Mangano