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Amelia Rabbaglietti

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“U sabet’ e sera” (Il sabato sera – Quadretto di vita paesana) era l’unica poesia, da me conosciuta, fra quelle  scritte da Amelia Rabbaglietti. L’argomento interessante si dipanava da un verso all’altro con estrema scorrevolezza, sobrio e preciso, pieno di pathos ed in più con termini dialettali veramente genuini.

Non molto tempo fa ho avuto la fortuna di trovare, sulla solita bancarella del mercatino dell’ “antiquariato”, una sua pubblicazione “Canti e Quadretti di vita Paesana nella tradizione folkloristica foggiana” finito di stampare a Foggia il 28 febbraio 1957 con i tipi de “La Tipografica” di Giuseppe Cappetta. Il libro è composto da una prima parte che si propone con il titolo citato in precedenza, ed una seconda dal titolo “Antiche canzoni foggiane” ricostruite a cura della Prof. Amelia Rabbaglietti e del Maestro G. Renzulli, sicuramente la riedizione di un lavoro ancora più vecchio perchè preceduto da una introduzione datata 1930.

Purtroppo poche le notizie raccolte sulla poetessa Amelia Rabbaglietti, un po’ dal libro stesso, un po’ da qualche sito internet locale.

Amelia Rabbaglietti viene definita, a giusta ragione, “ricercatrice di tradizioni foggiane” e “poetessa dialettale foggiana”. Negli anni ’20 fu Segretaria del Liceo Lanza di Foggia, nato come Regio Liceo Lanza nel 1868, poi Direttrice di una scuola elementare privata. Un’altra sua pubblicazione del 1937 è “Scene di vita paesana”. Compose almeno venti fra operette, commedie, scene, scenette e quadretti che con il resto della sua produzione e delle sue ricerche portò in giro per l’Italia in qualità di Direttrice Tecnica dell’O.N. Dopolavoro per il Folklore (di Foggia).

Queste poche notizie aprono il sipario su una nostra conterranea dei primi del ‘900, istruita e colta, amante della sua terra, del folklore e delle tradizioni di cui si mette alla ricerca. Immaginiamo quanto siano datate, e quindi più precise e vere, rispetto a noi, le sue fonti; se intervistare oggi un terrazzano di 90 anni vuol dire avere a che fare con una persona nata nel 1918 e che aveva i suoi 25 anni nel 1943, la prefazione al suo lavoro del 1930 ci potrebbe fare arrivare a fonti orali a cavallo fra la prima e seconda metà del 1800. Non mi pare cosa da poco, non ho notizie di testi o lavori di ricerca ancora più datati.

Per tutto questo, e per il resto che ho letto della sua produzione, senza togliere niente a nessuno, penso che Amelia Rabbaglietti sia il massimo nel campo della nostra poesia dialettale, così come nelle ricerche e nella ricostruzione.

La pubblicazione di dizionari e grammatiche del dialetto foggiano ha avuto diffusione abbastanza recente (15-20 anni), le opere di Amelia Rabbaglietti, per chi pratica il dialetto foggiano, si leggono scorrevolmente, per gli altri, è lei stessa a dare una facile  “chiave di lettura”: “Nella scrittura del dialetto foggiano, l’accento acuto, quando cade nel corpo della parola attutisce il suono alla vocale, mentre in fine di parola la vocale diventa muta”.

Presentazione del libro

La poesia dialettale, questa grande interprete dell’anima popolare, ha, in Italia, scarsi autori, non soltanto per le ragioni tecniche che si oppongono alla sua diffusione , ma soprattutto perchè, dovendo essere semplice e spontanea, difficilmente riesce a realizzarsi in termini artistici.

Trovare della vera poesia è un po’ come trovare una perla rara, di tanto maggior valore, quanto più schietta e sorgiva è la vena da cui scaturisce.

Di tal pregio è la poesia della signorina Rabbaglietti: essa parla al nostro cuore con le voci suggestive della nostra terra, di cui esprime, con rara efficacia, i sentimenti profondi, le solide tradizioni morali e religiose, gli usi, i costumi, la fede nel bene, i dolori e le gioie. Quanta dolcezza, quanta nostalgia suscita quel suo cantilenare le antiche voci della terra, che ci riportano col cuore alla fanciullezza lontana, facendoci ritrovare la freschezza dei sogni.

Con un tocco lieve, con una grazia soave l’Autrice interpreta l’anima del popolo foggiano, che si esprime nel canto dei venditori, nel racconto quanto mai suggestivo delle sagre religiose, nel pianto della madre al ricordo del figlio disperso…..

…E in questi versi troviamo la nostra gente buona e generosa, con una segreta vena di malinconia che traspare a mala pena nei vecchi cori, dietro al fresco riso della sua invincibile giovinezza.

La raccolta poetica della signorina Rabbaglietti è perciò prima di tutto un omaggio d’amore a Foggia e ad essa non potrà non arridere un successo di critica e di pubblico tanto più meritato se si pensa alla tenacia con cui l’autrice ha perseguito quest’ideale d’arte che illumina tutta la sua vita di eletta educatrice.

 Foggia, Aprile 1956

Prof. Giulia Di Leo Catalano (direttrice del Circolo Pascoli)

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Introduzione al libro

Dopo un lungo e paziente lavoro condotto per cercare e riportare in vita quanto di bello e di buono si conservasse dei canti, delle danze e degli usi e costumi foggiani quale Direttrice tecnica dell’O. N. Dopolavoro per il Folklore ebbi la gioia di vedere riprodotti canti, costumi e danze da me ricostruiti nei principali raduni effettuati in varie città d’Italia.

Con commozione viva che appagava totalmente la  mia passione campanilistica ed il mio personale trasporto per il Folklore vidi più volte applaudite le esibizioni del gruppo di Foggia, da me organizzato e condotto ai raduni.

Ad orgoglio di Foggia devo attestare che il “Gruppo folkloristico” organizzato circa venti anni orsono riscosse plauso ed ammirazione a Firenze, a Genova, a Venezia, a Napoli, a Roma e altrove: dovunque furono ammirate le danze eseguite con perfetta tecnica, dovunque furono applauditi i canti da me ricostruiti, in quasi tutti i raduni il grido di “Viva Foggia”, strappato all’ammirazione degli spettatori, costituì il più ambito compenso per i giovani che vi partecipavano, per me che avevo organizzato oltre alla ricostruzione dei vecchi balli i programmi, le esecuzioni, l’assortimento dei gruppi.

Spero di compiere anche col presente lavoro un utile servigio al Folklore locale che tanto ho amato per tutta una vita, ma sol mi lusinga il ricordo dell’opera svolta nei contatti frequentemente avuti coll’anima viva della vecchia Foggia, da me conosciuta attraverso frequenti dialoghi coi “terrazzani” e con i “crocesi”, con le modeste vecchiette ottuagenarie, personaggi dalla cui parola potetti apprendere vecchie canzoni nei motivi originali, costumi e usanze di tempi lontani.

Foggia, Ottobre 1956

Amelia Rabbaglietti

(Nota: O.N. dovrebbe stare per Opera Nazionale, quindi Opera Nazionale Dopolavoro per il Folklore)

U   SABET’   E   SERA (Quadretto di vita paesana)

1.

I che capa liscia che t’è fatté!… / E che sénale’ nette’ che t’è misse’ / Puré li chianille’ té si cagnaté? / Nzommé té si tutt’ arréggestràté.

2.

Stasera se’ ne’ vene’ lu cumpagné, / Che chiù annotte’ torne’ d’a campagne’ / Té port’ a pruvvèdènz’ e ogni bené, / Tè port’ li vésazze chiene’ chienè.

3.

Fungé, lambasciull’ e, cicuriellé, / Carduné, marasciull’ e, ciammaruchelle’ / Nun mancarrà la caccia chi tagghiolé, / De’ quaglié, lipré, sturn’ e taragnolé.

4.

Nun suspérann’ e chiù dé passioné, / Lu vì, lu vì, mo vené nun t’abbandoné, / Lu cristiané mijo è venuté / E mbittè l’allégrija m’è trasuté.

5.

Uh!… quant’è bell lu sabet’ e sera, / Che fumò fannò tutt’ i céménéré / Agnuné c’u marité ca vené da foré, / Cuntenté magnè e vevé a cor’ a coré.

 

 

 

NINNA NANNA ZINGARELLA’

1.

Quann’era piccinunn e picchijavé / Mamamma p’addurmirmé mé cantav’ / Cantavé e annariav’ a vicchiarella, / E mé déceve’ tanta cosé bellè.

2.

“Stu figghio mio sarrà nu patalino / “Dé spadé, de’ fiuretté carabino / “Sarrà nu patalino vincétoré / “E mpitté na meraglia tutta d’oro.

3.

Cantav’ e mé stringev’ a vecchiarella / E ntante’ me’ trasev’ a papagnella / Po ‘a voce a poco a poco se’ stancave’ / U sunn’ a tutt’ e duje ce’ pigghiave’.

4.

Io mé so fatté  gruss’ e pò suldaté / A Ru lu pané dssia sont’ iut’ e so turnaté / Mamamm’ ha vist’ u figglio de lu coré / Cu na meraglia mbitte tutta d’oro.

5.

Sapitè u ditt’ antiche che dicevé? / “A vecchia che vulevé nzunn’ aveva” / Stu pataliné è staté véncetoré / E mo è turnaté a casa ch’ l’onorè.

 

 

 

JOCCA JOCCA!

 

“Bre!… che fridd’ e che scurije!… che timpe’ de pécundrije / “Cuncè, chiud’ a porté, ca mo la fàcé n’ata botté”. / – Jocca Jocca!… lu panè dè fiocca / – Lu pan’ a cincarriné (1) e lu purch’ int’ a cuciné!… / Cant’ u guaglione’  pe’ la strade’, e lu fridde’ i jel’ u fiate’ / U favugne’ u sucuteje’ e iss’ cant’ e se’ ne prejé. / “Piggh’ u lumé, l’è cunzaté(2)? a ruscé s’è appicciaté? / “U vrascir’ a nuje’ aspett’ vine’ cu, vine’ t’assetté! / – Che vérnata désperaté! tutte’ stame ncujétaté! / – Pe’ li strade ianch’ e afflitté, sé cammine’ citté citté. / E cante’ lu guaglioné, face’ sente’ la canzoné!.. / Mett’ a l’at’ a pécundrijè, ma iss’ cant’ p’allegrija.

 

(1) Cinque carlini

(2) Preparato, riempito di petrolio

 

 

 

Le altre poesie di Amelia Rabbaglietti riportate nella prima parte del libro sono:

 

Addò è jute? (disperato dolore, come la poetessa stessa commenta, di una madre che attende da qualche anno il ritorno del figlio partito per la guerra)

Foggia mia (In contrapposizione al detto “Fuggi Foggia”)

A lu Santuario d’Incurnate

A fiéra’ dè maggio

Stizzichejé (Sulla scorta di un vecchio ritornello foggiano “Chiova….chiova”)

Tempesta estiva

Ninna Nanna (questa poesia fu in seguito musicata per canto e pianoforte con il titolo “Ninna nanna paesana” da Aladino Di Martino )

Alba d’autunno (Voci di strada)

Voci nostré

A fest’ d’Incurnaté

A bella Daunia nostra (sottotitolo “A terrè di tèrruné)

Qunn’è festa (inizia con un antico ritornello foggiano)

U treno pupulare (Musicata da D. Petrilli)

P’a festa de’ l’uva (Musicata da G. Renzulli)

Cané pugliesè

 

Da questa prima parte di poesie di Amelia Rabbaglietti ho pensato di estrapolare alcuni detti, filastrocche, “modi di dire” e “voci popolari” su cui la poetessa ha fatto sponda per le sue creazioni sia per lasciarne traccia, sia per conferire più colore e calore alle stesse. Siamo già nel campo della ricerca di sui si dirà subito dopo.

 

Chiova chiov’ e tatà è juté forà

E’ juté senza cappa eh! Madonna mantiné l’acqua

____ . ____

 

Jocca Jocca!… lu pané dé fiocca

Lu pan’ a cincarriné e lu purch’ int’ a cuciné!…

 

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A ninna ninna nanna ninnarell’

U lupé s’ha magnat’ a pécurell’

E pécurella mja cume faciss’

Quann’ mmocc’ a lu lupé té vediss’

 

___ . ___

 

Ninna la ninna ninna ninna nanna

E’ jut’ a l’Incurnaté sott’ a capanna

Fa la nanna ninnì, ca mo vené papà

E té port’ i ndì ndì, fa la nanna ninnì

 

___ . ___

 

U caffettiré ch’è jurné

Jamé ch’è fatté jurné

 

(Richiamo del venditore di caffè per strada)

 

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Aggiustamé seggè… aggiustamé se..e..ggé

 

(Riparatore di sedie)

 

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Doje liré nu paré de cavézetté, doje li..i..re

Belli fè, tengh’ i cavézetté p’ i cri..jature

 

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Signò tengh’ a rucula ténérella

Jeté, funucchiellé cimammarellé

Mo ci accurdamé, facitavillé a ménéstrèllé

Me, dì, che vù questa o quella?

 

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Neettijé cicoria neetté

I cicoria neett’ i cecoria neetté

 

(Cicorie già pulite)

 

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Teng’ a robba bella

Fafa chiéne, scarciofel’ e prunellé,

Citrulé frisch’ e tenerìllé

L’addorè ca facé u fuggianillé

 

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Che belli pésillé ca so fuggiane,

So fuggiané li pesill’  e..e..e..e!

 

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Che m’ha mannate lu pruciunese stamatiné

Lu méloné ch’ lu zucchere..e..e

 

(Meloni di Apricena)

 

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Passul’ e Trané, avulivé salaté,

So figghié de l’aren’gh i scartapelle,

Magnate che roba bella!

 

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Tutté viv’ a lu pajesé

Tutté viv’ a lu pajesé

O capitoné leeese

Cefal’ e capitooné

Cefal’ e capitoonè!

 

(Cefali e capitoni di Lesina)

 

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A l’ova pasquarella!…venn’ a lu pizzé Tresenella

So grossé e bellé mo l’ha fatt’ a gallenella

Fungi janc’ o o o e sparece spécaté

Facitavillé na magnaté

 

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Carduncillé janché p’ u brudetté

Pigghiaté p’ a Pasqua benedetta

 

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Ament’ e putrusiné chi vo l’aglitillé

Tre cose nu turnesè tre co..o..se!

 

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Oggi è festa, la pup’ a la fénestra,

Lu sorgé abballam’ e la gatta cucénamé

Cucenam’ i maccaruné

Zia monaca cannarute

 

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Vité cummà, vit’ a Turillè

Paré bell ch’ i cavezuncillé?

Caminè a  mammé fatt’ a vedè,

Va rip’ a u muré, ca pu cadè

 

La seconda parte del libro, la più datata a mio avviso, riporta “Antiche canzoni foggiane”, frutto delle ricerche e delle ricostruzioni fatte da Amelia Rabbaglietti. Principia in questo modo:

“Si riporta l’introduzione del compianto Prof. G. Luigi Crucinio ai Canti ricostruiti

In mezzo al rifiorire degli studi folkloristici e delle antiche tradizioni paesane di ogni Regione d’Italia, è confortevole pensare che anche Foggia segna il passo e fa rivivere nelle brevi parentesi della battaglia della vita, i vecchi costumi che furono la gioia dei nostri antichi e fa riecheggiare le vecchie note canore, che i nostri antenati lanciavano nell’aria stornellando d’amore.

Merito tutto questo della Sig.na Prof. Amelia Rabbaglietti e del Maestro Renzulli, che hanno voluto con paziente, e tenace opera, ricostruire, ascoltando le voci dei vecchi “Terrazzani” e dell’antico Borgo Croci, l’una le parole e l’altro le note delle antiche canzoni di nostra gente di Foggia.

E Foggia sente tutta la bellezza di queste tradizioni, e attraverso la ricostruzione dei vecchi costumi – con la quale sono ritornati alla luce le ampie gonne, i corpetti “abbordati d’oro” i ricchi cresponi, le rosette in perle e i brelocchi di filigrana e di corallo che ornavano il petto turgido delle nostre antiche donne del Tavoliere – sente tutta l’arcana poesia dei tempi passati.

La melanconia e le nenie modulate, che sono la caratteristica dei canti foggiani, diffonde una nota simpatica in questi vecchi canti, i quali però, come è avvenuto per la scultura, conservano quella impronta tutta latina, e segnano la genialità canora della nostra antica gente di Foggia, cuore fecondo del Tavoliere solatìo. E attraverso le note riscostruite dal Renzulli e le parole riesumate dalla Rabbaglietti, ci sembra di vedere passare sotto il sole ardente dei nostri campi verdeggianti, i crocchi delle antiche contadine, dei pastori e dei villici di un tempo, stornellando d’amore, col petto gonfio di letizia e di gioiosa spensieratezza.

Auguriamo alla Prof.ssa Rabbaglietti di continuare nell’aspre fatica per descriverci più diffusamente gli usi e le tradizioni della nostra vecchia gente, perchè possiamo temprare in questa ondata di sana poesia, le nostre anime bisognose di riposo e di pace.

 

Foggia, settembre 1930

Giuseppe Luigi Crucinio

Sèrènata a Mariuccia

 1.

Tu durm’ a lu cuscino

Io dorm’ a lu sérené

L’amore è na catena

Che strengé sembé chiù.

(Rit) Ah! Mariuccia, ah! Mariuccia

Affaccetè nu poco sennò me fai murì.

2.

Quanto té vogghio bené

U Mariuccia mia

A quant pagarrijé

Pé sta vicin’ a te.

(Rit)

3.

A tua luntananza

Nun sé po suffriré

Io vogghio mo muriré

E no lassar’ a te

(Rit) Ah! Mariuccia, ah! Mariuccia

E vién’ inta sti vrazze se no mé fai murì

.

Lu nammuraté (A dechiarazioné)

 1.

Agghiu caménaté

Pè tutt’ a via nova

Me so truvate c’Assunt’ a vignarola

Vola palomma vola, vola si vuje vulà.

2.

Quant’ paré bellé

Cu sta vénnella nova.

Tu, nun si chiu Assunta, me paré na signora

Vola palomma vola, vola si vuje vulà.

3.

M’agghiu fabbrecaté

Na stanz’ e na cucina

Cè sta u balconé, e sotté lu giardine

Vola palomma vola, vola si vuje vulà.

4.

Si vu ben’ a me,

Te’ fazze’ fa a reginé,

Tu si la padrona d’a stanza e lu giardine

Vola palomma vola, vola si vuje vulà.

.

A munacella (Contrasti d’amore)

 1.

(LUI) M’ha ditt’ ajre ser’ a palummella

Mammà te volé fa na munacella.

Si munacell’ e tìné

Si munacell’ e tiné

lu nammurate

Munacella sola sola

Si péccat’ a dormé sola.

(LEI) Accussì volé

(a due) La sorta mia (tua)

Barbara tiranna.

2.

(LEI) Mamma mé volé fa na munacella

Mamma me volé fa muriré ncella

(LUI) L’ucchié d’u ninno tuje

L’ucchié d’u ninno tuje

Doje funtanelle.

Munacella sola sola

………

3.

(LEI) Scurdè pé sembé scurdè quist’amoré,

Tiné sul’ i récurdé inta lu coré

(LUI) Tu trasè int’ a la cella

Tu trasé int’ a la cella

E io mé more

Munacella sola sola

………..

Con il titolo ” ‘A munacelle”, questo antico canto foggiano è stato ripreso da Giorgio Carbonaro nel suo libro “Acene de grane”  (Racconti, poesie, canzoni e tradizioni del popolo fogetano) finito di stampare nel dicembre 2006. Il testo del Carbonaro ricalca sostanzialmente quello della Rabbaglietti ma è più lungo. In occasione della presentazione (anno 2007) del libro presso la struttura dell’ex Mercato Arpi, lo stesso autore ne ha proposto una versione cantata. Il motivo è in tonalità minore, semplice e delicato.

U ciuccio (fedelé pé la vita)

 1.

Si vuje n’u sapité

Tengh’ nu bell’ ciuccio.

M’u dije Mariuccia

Pé fa cuntent’ a me.

(RIT.) A voce ca isso tené

Me pare nu ténoré

Ciuccio bellé cumpagnillé dé stu coré

Nun t’agghie che fa chiù.

2.

Mo ch’è la fiera dé maggio

L’accatt’ a vriglia d’oro

Pe nanz’ a li figghiolé

Li vogghì annammurà

(RIT.)

Un testo molto simile a questo (U’ ciùcce) è stato già proprosto su questo sito in “Canzoni e musiche popolari foggiane”

.

A lu rèstuccio (Felicé ncontro)

1.

(LUI) E Mariuccia addò si juté

E Mariuccia addò si juté

E Mariuccia addò si juté

(LEI) A lu restucci à spéculà

à speculà

2.

(LUI) E mé credévé ca ivé sola (3 volte)

té vulev’ accumpagnà

(a due) accumpagnà

accumpagnà

3.

(LEI) E cumpagnia nun ne voglio (3 volte)

Mé so bene riguardà

riguadà

riguardà

4.

(LUI) E jamecinn’ a la muntagna (£volte)

A l’aria frescica io t’accumpagne.

(LEI) m’accumpagne

(LUI) t’accumpagne

(a due) t’accumpagne.

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Tarantella Fuggiana

 1.

Bella figghiò, dammé la mané

Abballè cu me ca so fuggiané

So fuggiané e tengh’ l’onoré

Abballè cu  me ca so signoré.

2.

Tammurrill’ e castagnolé

Vogghi ‘abballà cu sta figgghiola

Sta figghiola è fuggianella

Vogghi ‘abballà sta tarantella.

3.

Quist’ e lu pizz’ du maccaturé

Sciuppammille’ senza pagure

Sciuppammill’ ballam ballam

Io te lu daco canatnné cantannè.

4.

Tu dallà, io d’acquà

Tutt’ e duje ima ballà

Tu d’acquà io dallà

Chi di duje s’adda stancà.

Altra versione da me conosciuta di questa tarantella dice: “Trantèlla napulitàne balla cu me ca so fuggiàne”; la metrica è identica così che il motivo musicale a me noto si adatta all’una e all’altra.

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Pe vulert’ ben’ a te (bisticcio amoroso)

 1.

Nenna nenna pecchè nun parl’,

Io che mal’ agghiu fatt’ a tte?

Si pienz’ a certi cose,

Fann’ a men sint a me.

(RIT.)Pa vulert’ ben’ a tte,

Quanta nenn’agghiu lassate

Quante  n’agghi’ abbandunate

Nenna nenna tu gialu saje

(a due) Vi quante bene, ca vogghi’a a tte.

2.

(a due) Tu si favez’ e nun cride,

Che addavver’ nce sta l’amore,

(LUI) Reggina de stu core

(a due) Che turminte tu si pe mme.

(RIT.)

3.

(LUI) Io la nott’ a fazz’ a chiagne,

E lu jurrn’ a susperà,

(LEI) Tu staje’ inta stu core

E nisciun’ e cchiù pe mme.

(RIT.)

4.

(LUI) So tre jurne ca nun te vedevo

Core mbitte nun tengo cchiù,

Pe quant’ te vogghio bene,

U nome mio nun t’e scurdà.

(RIT.)

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Santa notte (Saluto agli sposi alla fine del festino nuziale dei nostri contadini crocesi)

Santa nottè a chi son’ e a chi canté

Prim’ a li zitè e pò a tutté quanté

Santa notté a sta cocchia d’ampré

Gioia e allegrezza ve dicé stu coré

Facit’ a ninna la ninna nanna

La ninna nanna ve vogghio cantà

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Cécérénella (Ragazza immaginaria intorno alla quale il popolo improvvisa strofette ironiche)

Cècérénella ténéva tenevé

Manché essa lu sapeva,

Tènevé denar’ a zeffunné,

Lu sapeva tutte lu munné

Tutta Foggia era la suja

Li pèzzinté ereme nuje

Cecerenella, nella, na

Cecerenella, nella ,na

Ah!… Ah!…

Un’altra strofetta su Cecerenella che risale ai miei ricordi di infanzia è: “Cecerenella teneva teneva e nun sapeva che teneva, Cecerenella teneva nu galle e tutta la notte jeve a cavallo”. Anche in questo caso la metrica è identica e il motivio da me consociuto si adatta a entrambe. Con il ritmo della tarantella, in tonalità minore, è lo stesso della “Tarantella foggiana”.

Ai testi che seguono, frutto della ricerca e ricostruzione di Amelia Rabbaglietti, ha collaborato il maestro G. Renzulli per la parte musicale. Il libro, però, non riporta le relative partiture.

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M’è fatté na férité (A dichiarazione)

 1.

(LUI) Quanté mé si simpatica

U schiavuttella mia

A quanté pagarrije

Pé sta vicin’ a te.

(Rit. a due) M’è fatté na ferité

Nze pò sanà nze pò guarì.

2.

(LUI) Cume si bella roscia

Me paré na cerase’

Te vurrije dà nu vase

Addò piacé a me.

(Rit. a due)

3.

Quanne’ te viste janca

Me pare’ na recotta

Te vurrije da na botta

Addò piace a me

(Rit. a due)

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A Nenna mia (Dichiarazione d’amore)

 1.

La vita tonna tonna

Lu pitt’ a palummillé

Tiné l’ucchie dé mariungill’

Tu è arrubbbaté lu coré a me.

(Rit.) Vurria cara vurria

Vurria ca tu m’amassé

Lu core mio té lu pigliassé

Vidé ca mbitté lu tiné tu.

2.

Capillé riccé e bellé

Neré cum’ e u vellutè

Tu, t’arir’ e nun so creduté,

Sembé pé fa dispitt’ a  me.

(Rit.)

3.

Int’ a na camarella

Staje ch’ tre surellé

Tu si la piccula e si la chiù bella

Si proprio quella che piacé a me.

(Rit.)

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Stornell dispettuse

(LUI) Fiorè d’aruté

Quillu ch’ hai ditt’

Agghiu sapute

(RIT.) Zumb’alleriulera

Zumb’alleriulà!…

(LEI) Fiore de giglio

Velen’ io pe tté

Nun me ne piglio

(RIT.)

(LUI) Fiore de rosa

Velen’ ncurp a me

Nun ce riposa

(RIT.)

(LEI) Fiore d’amenta

Si tu vu ben’ a me

Famme cuntenta

(RIT.)

(LUI) Fior de cerase

Si vuje la vita mia

M’è da nu vase

(RIT.)

(LEI) Fiore d’arute

Si mo nun te ne vaje

Io te stute

(RIT.)

(LUI) Fior de limone

Prima che tu me lassé

Io t’abbandoné

Il libro si conclude con “Alcuni giudizi di autorevoli spettatori che applaudirono i lavori teatrali per i piccoli grandi artisti creati e diretti dall’Autrice”.

(Raffaele De Seneen)

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Ricevo e pubblico questa bella testimonianza:

Caro Alberto,

il tuo sito è estremamente interessante, bello, nostalgico e mi dispiace non averlo conosciuto prima. Avevo già intenzione di scrivere qualcosa e questa sera non ho potuto più rinviare tale momento perchè “passeggiando” per i “ricordi” del tuo sito ho letto un nome a me caro nella mia vita come quello di una madre. Si tratta di quello della  “maestra” Donna Amalia Rabbaglietti.

Ti premetto,caro Alberto che io,pur essendo nativo di Foggia non ho,come si dice,il “sangue foggiano” nel senso che i miei genitori sono originari della Campania e dell’Emilia Romagna .Ma amo forse più di un vero foggiano questa città. La amo a tal punto di “criticarla” per difenderla. Ebbene una delle prime,anzi la prima, che  mi ha fatto innamorare di Foggia é stata la “Direttrice Amalia Rabbaglietti”

Si,”Direttrice” ancora mi piace chiamarla perché  io sono uno di quei bambini che insieme ad Antonella Amoroso,Barbara Trombetta,Luciano Fattore e tanti altri abbiamo frequentato la scuola elementare privata Rabbaglietti che si trovava alle spalle del comune in un bellissimo palazzo.

Devi sapere caro Alberto che ogni anno la direttrice, insieme al compianto (che emozione a ricordare queste cose!) Maestro Garofalo, per mesi ci faceva preparare delle splendide manifestazioni teatrali che poi andavano in scena al glorioso Teatro Giordano. Quante Opere e balli abbiamo recitato. E tutti dovevamo essere vestiti alla perfezione con parrucche,frac,camicie di seta e merletti (che io conservo  ancora) Quante foto di quegli eventi conserva ancora mia madre e anche io.

Ma la cosa più bella che non potrò mai dimenticare e che forse molti non sanno è che nel corso della 5^ elementare la Direttrice Rabbaglietti ci fece incidere un disco bellissimo e che naturalmente conservo “Il coro  delle voci bianche di Amelia Rabbaglietti” nel quale sul “versus” era incisa una canzone dedicata alla mamma cantata da noi bambini che ancora oggi chiunque la ascolta non nasconde le lacrime per la sua dolcezza. Sul “verso” c’e’ invece una bellissima e struggente poesia recitata dalla viva voce della direttrice dedicata ad una mamma che aveva perso il suo figlio in guerra.

Nello stesso periodo nel quale frequentavo la scuola elementare un’altra persona ha contribuito ad inculcarci l’amore per Foggia. Si tratta del Signor Mario: era,costui, l’autista del bus che ogni giorno negli ultimi due anni della scuola elementare,quando andammo ad abitare in viale primo maggio, veniva a prenderci ed a riportarci a casa e a scuola. Il Signor Mario,scomparso da diversi anni,è stato per noi come un padre e una guida con i sui consigli,ma anche con le sue famose sgridate quando lo facevamo arrabbiare.

Nei primi anni dell’asilo e delle elementari invece,abitavo in Via tenente Gastone Malvadi,16,di fronte al glorioso e vecchio distretto militare che ci è stato rubato insieme a tante altre cose  da improvvidi personaggi!!

In quei tempi ricordo che mia madre accompagnandomi ogni mattina a scuola si fermava al chiosco che si trovava all’incrocio con via Lucera e mi comperava il tarallo con la crema e l’amarena dei quali purtroppo si è perso il sapore……

Se la Direttrice Amelia Rabbaglietti ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione,tanto ne hanno avuto anche la professoressa di francese Donna Assunta Colecchia,moglie del compianto ed indimenticato cancelliere del tribunale di Foggia durante i tristi giorni dei bombardamenti: Don Carmine Pecorella,padre della maestra Lucia,madre di mia moglie, per anni maestra e formatrice di schiere di ragazzi presso a scuola elementare Gabelli di Foggia. Ragazzi che ancora oggi si ricordano di Lei. Devo a Donna Assunta ed ai suoi racconti,aneddoti e testimonianze raccontatemi nelle bellissime serate estive trascorse in quel di San Menaio il  ringraziamento per avermi fatto capire ed amare ancora di più il dolore di questa città di fronte ai bombardamenti ed alle tante storie che in quei giorni si sono susseguite e da Lei vissute in prima persona anche fisicamente come testimoniavano le ferite presenti sul suo corpo sino alla fine dei suoi giorni. Donna Assunta e Don Carmine abitavano nei palazzi Incis devastati dai bombardamenti,,,,, Ma questa,caro Alberto è un’altra storia e,se tu vuoi,insieme a molte altre cose,potrò raccontarti.

Salvatore Aiezza

Foto di una rappresentazione organizzata dalla direttrice Rabbaglietti e che ritrae in primo piano Salvatore Aiezza

Foto di una rappresentazione organizzata dalla direttrice Rabbaglietti e che ritrae in primo piano Salvatore Aiezza