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Antonio Lepore

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Antonio Lepore (Foggia 1922-2003) è stato fondamentalmente un educatore avendo svolto la sua professione per oltre quarant’anni formando tante generazioni di ragazzi foggiani e meritandosi diversi riconoscimenti. Medaglia d’oro, medaglia d’argento da parte del Ministero della Pubblica Istruzione per l’opera particolarmente zelante ed efficace  svolta a favore dell’istruzione; premio nazionale della Fondazione Nazionale al merito educativo. Ha partecipato da volontario universitario alla guerra 1940/45 con il grado di capitano d’aviazione ed ha meritato parecchie onorificenze: Cavaliere al merito della Repubblica, poiché combattente per la libertà d’Italia nella guerra 1943/45.

Come letterato e poeta vanta al suo attivo: “Da u Diarie de nu Majestre”  (1980), “D’o Cappellone d’i Cruce o Chiane d’i Fosse” (1993), “La Poesia delle Avventure di Pinocchio” (quest’ultimo lavoro presente nel catalogo della Biblioteca Collodiana. – Collodi – Pistoia). Ha pubblicato novelle e racconti, poesie, relazioni su riviste letterarie e quotidiani locali e nazionali. Alcune delle sue opere sono tutt’ora inedite come: “Noi di Foggia”,  romanzo storico con nuovi componimenti poetici; “Cume parlave nanonne”, nuovissimo dizionario della lingua foggiana arricchito da cenni storici, liriche e fotografie; ed ancora “Centosettantasei Sonetti per Foggia nostra” con vocabolario aggiornato e fotografie.   Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali, meritando numerosi premi e classificandosi tra i primi. Sonettista per eccellenza che per stile e precisione metrica non ha uguali nel panorama della poesia dialettale foggiana, pur tracciando come tanti suoi contemporanei  quadretti di vita della Foggia di una volta, si distingue per avere modellato ritratti di personaggi e fatti della città. Quasi un cronista della poesia che sapeva cogliere negli avvenimenti o  negli uomini che questi avvenimenti determinavano, motivi di sincera commozione e ispirazione. Un esempio è dato dalla poesia dedicata al collega nonché cugino Raffaele Lepore in occasione della sua morte. Dieci quartine  veramente ispirate e ricche di ritmo e rime senza nessuna forzatura. Lilì, citte citte te ne si’ jute / lassanne tutte quante afflitte e scunzulate /tu, marite, patre, fuggiane amate / d’a gènde tuje cke respette è vute / (Lilino, in silenzio te ne sei andato / lasciando tutti afflitti e sconsolati/ tu, marito, padre, foggiano amato/ dalla tua gente che rispetto hai avuti). La sua poesia non è macchiettistica o umoristica come quella di altri suoi colleghi (nel solco della tradizione del vernacolo), ma lo spessore del verso esprime il massimo dell’immaginazione quando il mare, in una sua composizione, sale  sulla sabbia a leccarla, a spalmarsi su di essa così come si potrebbe leccare o spalmare su una cosa buona da mangiare. Un rapporto instancabile, eterno.  ‘U Mare d’a Capetanate , infatti  recita così: ‘U mare nustre rejale profume/ quanne citte citte s’allecche ‘a rène/ nu munne de belli chelure tene/ pure ‘u janghe sape caccià d’a sckume. Il mare nostro regala profumi/ quando zitto zitto si lecca la sabbia/ un mondo di bei colori ha/ pure il bianco sa cacciare della schiuma.)

(a cura di Gianni Ruggiero)