Battendo il Novara il Foggia è di nuovo in A
Campionato nazionale Serie B 1975-76
20 giugno 1976 – 38esima giornata – Foggia Novara 1-0
Sembrava un campionato fatto su misura per le grandi formazioni del Nord: Genoa, Modena, Brescia, Novara, per citare le maggiori, avevano dato a lungo l’impressione di poter dominare il campionato di B: Invece, alla fine, le protagoniste sono state proprio le squadre del Sud. Con il Foggia magnificamente rientrato fra le grandi del calcio nazionale accede alla serie A anche un’altra “grande” del Sud: il Catanzaro che proprio all’ultimo secondo ha tolto al Varese la soddisfazione di giocarsi in uno spareggio il terzo posto. Con loro conquista la A un vecchio nome dell’aristocrazia calcistica italiana: il Genoa sulla cui gloriose casacche sono cuciti ben nove scudetti.
da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 21 giugno 1976:
Che sudata! Ma valeva la pena. E’ stato un pomeriggio intenso, stressante, vissuto minuto per minuto, con il cuore in campo, a battere insieme a quel Foggia che in novanta minuti metteva in gioco tutto un anno di sacrifici, di polemiche, di emozionanti domeniche e di momenti di paura, di delusioni, di amarezze, per poi tornare a vivere giornate di gloria calcistica, riconquistare la “prima pagina” e rimettersi all’occhiello il distintivo della serie A.
Ma c’era quel Novara. Bisognava batterlo ad ogni costo. E con i resti di una squadra che si vedeva privata di tre pilastri: Del Neri, Lodetti e Bordon, per non parlare di Lorenzetti e di certe mascalzonate che sono piovute dall’alto, doove nessuno, chiaramente, ama il Foggia. Ben, questa squadra ha vinto contro tutto e tutti. Non ha battuto soltanto un Novara, che ha dato pure l’anima, ma ha offerto anche una lezione di compattezza organizzativa, di serietà in campo e fuori, mettendo a tacere le malelingue che in tutte le circostanze sfavorevoli hanno sciorinato il veleno della malafede. Ma l’organizzazione societaria è stata più forte di tutti.
Siamo stati tra i pochissimi (vero presidente Fesce? Si ricorda i commenti del dopo-Hilton?) a crede in questa promozione ed oggi siamo felicissimi (come lo siamo stati prima per il Matera e poi per il Lecce) anche se abbiamo sofferto, anche se siamo stati quasi con gli occhi incollati a questo benedetto orologio che sembrava fermo, mentre sul rettangolo verde i vecchi e i giovani leoni del Foggia chiedevano ad un fisico sottoposto allo sforzo di una rincorsa eccezionale (nel girone di ritorno) gli ultimi spiccioli di energie per l’impresa più esaltante dell’annata, per coronare da trionfatori uno dei campionati più tribolati.
E ci sono riusciti. E sono stati magnifici. Sono entrati in campo quasi tremando poi sono riusciti a battere anche le proprie emozioni. Sono tornati professionisti, hanno sbagliato molti passaggi, non pochi disimpegni, ma hanno vinto la battaglia più emozionante, con il cuore, con una generosità che non permette classifiche di singoli, con una determinazione esaltante anche quando le gambe cominciavano a non reggere più, a sentire il peso di una tremenda galoppata, ad avere i riflessi appannati, con la “mente” che chiedeva e il fisico che non rispondeva, perché non era possibile in questo pomeriggio, tra l’altro afoso. Ma hanno retto tutti, da piccoli gladiatori del pallone sorretti anche e diremmo soprattutto da una folla eccezionale, che ha giocato veramente con la squadra, che l’hafatta resistere sino all’ultimo istante, sino a quando dal fischietto di Agnolin è uscito il sospirato triplice fischio finale dell’anno. Ed è stata come una liberazione. Ed è cominciata la grande festa, che ha visto tutti protagonisti: tecnico, giocatori, dirigenti (hanno una grossa fetta di merito!) e tifosi.
E siamo felici. Battiamo dunque le mani a questo Foggia che riporta la Puglia in serie A e siamo sicuri che già da domani si penserà al futuro, ad una squadra che sappia rimanere tra le grandi. La giornata più lunga è finita, ma è stata anche una domenica da ricordare. (Andrea Castellaneta)
.
Una promozione sofferta crudelmente sino all’ultimo istante, con l’entusiasmo sempre strozzato dai dubbi, dal timore. L’esplosione finale ha avuto di conseguenza il sapore di una liberazione più che di un appagamento. E’ stato forse più bello così. Il campionato era nato e si era snocciolato per trentasette giornate nel segno stressante dell’incertezza. La trentottesima non poteva sottrarsi a quest’identico clichè. Così c’è voluta un’altra partita alla Hitchcock, per sancire il trionfo.
Crediamo che il giudizio su questo successo possa ripetere i temi di un giudizio su tutta la stagione esaltante del Foggia. E’ stata quella col Novara la vittoria della tenacia, del cuore. Le stesse doti che hanno reso possibile la grande festa di oggi, al termine di un campionato conquistato in virtù di una forza d’animo, di un temperamento senza uguali.
Il momento fatidico è scoccato al 17’, un numero da cabala che sembra scelto dal destino per sottolineare l’ininfluenza della fortuna nelle cose del Foggia. Grilli effettua una rimessa laterale, sulla destra, all’altezza dell’area di rigore del Novara, Il pallone è a Toschi, stretto tra due avversari: la piccola ala, che oggi ha forse disputato la sua migliore partita foggiana, viene fuori brillantemente dal contrasto, scattando verso la linea di fondo. Il cross è perfetto, teso, a mezz’aria. Turella brucia sullo scatto Venturini, stopper esordiente – molto… imbarazzato nella prima mezz’ora -, e di testa devia in rete: il pallone coglie in pieno il palo, ma nel rimbalzo trova la schiena del portiere Garella, tuffatosi in ritardo e finisce in rete.
Provate a immaginare il tripudio di ventimila spettatori, nello sventolare di mille bandiere rossonere, nello strepitio dei petardi, nell’urlo “Serie A!” scandito con impressionante sincronismo, a gole spalancate, a corde vocali tese. La passione popolare che si scatena nella sua ingenuità, nel suo candore impagabile, commuove ed esalta. Ha di questi singolari effetti il calcio, quando è sapore di vita, quando non è scoperto artificio per vergognose occasioni di violenza.
Questo è il gol e queste sono le sensazioni successive: così la promozione si è materializzata dalla speranza alla realtà.
Ma c’è stato un altro attimo di intensa emozione, un altro episodio ugualmente determinante. La lancetta dei secondi, dopo il gol, aveva compiuto appena tre giri interi. E’ il 20’: il Novara reagisce rabbiosamente, sulla sinistra in progressione caparbia è Rocca – centrocampista inesauribile, tra i migliori dei piemontesi – il quale effettua, prima di giungere sul fondo, un lungo spiovente in area. Un difensore va sul pallone, ma ci pare riesca soltanto a deviarlo, col risultato di trasformarlo in un servizio perfetto per Piccinetti, il quale lo colpisce in corsa, al volo con eccezionale precisione e potenza. Non può che essere gol. E invece Memo è prodigioso. Con incredibile intuito è partito in anticipo – almeno questa è l’impressione per quanto fulmineo è lo scatto – e vola a respingere a mani aperte il tiro-bomba che avrebbe rimesso in discussione risultato e promozione. La folla è stata percorsa da un brivido, poi ha chiamato “Memo, Memo” a lungo, quasi come per un rito di ringraziamento.
Questi gli episodi – partita. Il resto è stato un susseguirsi di frasi smozzicate, spezzettate. Il discorso non è mai filato via liscio, secondo una linea logica e prevedibile.
Il Foggia ha preferito controllare la partita. Gli è del resto più congeniale sempre. E stavolta, poi, con le assenze di Lodetti, Bordon e Del Neri, esibiva un alibi di ferro. Senza contare che il traguardo era talmente ambito da consigliare la massima prudenza. Un gol è bastato spesso al Foggia quest’anno per vincere le sue partite interne. Un gol doveva essere suffucuente anche oggi.
Il Novara, naturalmente ha preso confidenza, s’è spinto in avanti, insistendo nel tentativo di rimontare. Ha dovuto scontrarsi con la ferrea volontà, con l’ardore insopprimibile dei foggiani. Ha giocato bene il Novara, oltre il prevedibile. Ma il Foggia non gli ha concesso nulla. La squadra pugliese ha sfruttato anzi le possibilità di contropiede, avvicinandosi più volte al raddoppio.
L’avrebbe meritato al 39’ del primo tempo, quando Nicoli – una prestazione da albo d’oro, la sua – ha preso d’infilata tutto il Novara, tagliandolo inverticale, fino alle soglie della porta; ha evitato il portiere con eleganza, quindi, calmo, ha effettuato il cross preciso per Grilli, solo al centro dell’area. Il ragazzo poteva concludere di testa e sarebbe stato quasi sicuramente gol; invece ha preferito tentare lo stop di petto ed ha sbagliato perdendo il controllo del pallone.
E avrebbe ancora meritato il raddoppio il Foggia al 28’ della ripresa: Toschi in contropiede ha via libera verso la porta; ha da superare solo Vivian, e lo fa in bello stile, attende l’uscita di Garella e spara a rete fortissimo, dal basso in alto, di poco sopra la traversa. Se avesse “ragionato” di più, sarebbe bastato il pallonetto, o il rasoterra preciso nell’angolo.
Sono queste le occasioni clamorose, come quella del 38’ – sempre della ripresa – nata da una bella manovra tra Fumagalli, Toschi e Turella, il quale davanti al portiere ha atteso il rimbalzo del pallone in terra, per concludere a colpo sicuro, ma così facendo ha consentito a Venturini di rientrare e rimediare in extremis.
Dall’altra parte, quella novarese, il bilancio è forse più massiccio, ma di gran lunga meno… qualificato. Molti tiri abbondantemente fuori bersaglio, e poi, oltre alla grande parata di Memo, un altro diagonale forte di Piccinetti bloccato a terra dal portiere, al 33’ del secondo tempo, e tre minuti dopo un salvataggio di Colla, quasi sulla linea di porta, con Memo a terra, fuori causa.
Il finale è stato senza patemi. Il Foggia aveva sofferto a lungo l’incalzare del Novara, anche perché si erano sgonfiati Turella, Grilli e Fabbian, tre fra quelli che avevano sopportato il peso maggiore dell’incontro. Il cambio di Turella con Golin all’84’ ha congelato la partita. Gli ultimi sei minuti sono stati dedicati alla “melina”. Lo stesso Golin ha difeso con successo il pallone in numerose occasioni, contribuendo anche lui al trionfo finale.
Ora i giudizi sulle prestazioni individuali sono d’obbligo. Per alcuni abbiamo già detto. Di Nicoli, ad esempio, e di Toschi, oltre che, naturalmente di Memo. Bisogna però citare Sali, grande protagonista della partita, e con lui tutto il blocco di difesa, che nella stagione è stato la grande forza del Foggia, da Bruschini a Colla, a capitan Pirazzini, soprattutto (anche se oggi, cosa eccezionale per lui, ha fallito due interventi di testa…), che ne è lo splendido regista.
E poi una citazione per il più… umile, per Fumagalli. Meriterebbe un monumento. Noi che lo abbiamo ammirato più volte in trasferta, quando la battaglia è più aspra, quando la minima flessione può essere determinante, diciamo che difficilmente un altro giocatore ha uguagliato la sua continuità di rendimento. Anche oggi ha annullato Gi9annini, il cervello del Novara, come già a Catanzaro aveva fatto con Improta.
Sugli scudi tutti, insomma. Ed a ciascuno un brandello di… promozione, perché se lo conservi sul petto in ricordo di una giornata meravigliosa. (Elio Preite)
.
Foggia si è svegliata: una cappa di calore e di ansietà ha assalito la città sin dalle prime ore. Davanti ad ogni bar, ad ogni crocicchio non si parla d’altro: è cominciata la lunga attesa! Le 17, orario d’inizio dell’ultimo incontro di campionato, il decisivo, il più importante, sono lontane. Ma già lungo le strade che portano allo stadio fra i variopinti colori dei manifesti della pubblicità elettorale, spiccano quelli che annunziano Foggia-Novara. E ci sono già un’infinità di bancarelle con bandiere rosso-nere.
Il caldo è molto intenso ma la maggior parte dei tifosi non lo sente. Si “surriscaldano” solo se c’è il solito pessimista che tenta di frenare l’entusiasmo con profezie da… cassandra calcistica. I debiti scongiuri e subito giù altri programmi per i festeggiamenti.
Sono le 12 e la città ha un sussulto, quasi si svuota; il tempo di buttar giù il solito pasto domenicale per poi raggiungere di buon’ora lo stadio, in canottiera, magari solo in pantaloncini, giusto per prendere un po’ di tintarella.
Le 14,30: le prime carovane di tifosi si avviano verso lo stadio. Tamburi, trombe e tante bandiere.
Manca un’ora all’inizio dell’incontro e sono pochi i fortunati che riescono a trovare un buco dove “piazzarsi”. Il tempo di prender posto ed ecco che entrano in campo i giocatori del Novara (accolti non proprio con simpatia) e subito dopo quelli del Foggia. Esercizi atletici, corsette, qualche scambio con il pallone mentre un povero asinello (rosso-nero, logicamente) è costretto a far passerella.
Poco più di 20 minuti dal fischio d’apertura ed accanto a noi si siede Giovanni Lodetti, centrocampista a… riposo per via di un incidente. Lo stivaletto che porta alla gamba sinistra è pesante in questa giornata. Lo sopporta male, come se fosse una palla al piede. E’ in tribuna, ma desidererebbe essere negli spogliatoi a sentire gli ultimi consigli del mister. Sorride quando qualche tifoso lo saluta ma è un saluto amaro. “Avrei voluto stare in campo in questo momento tanto importante per il Foggia”. Mentre parla si “frega” le mani, si gratta il naso, sposta con nervosismo il figlio, un simpatico ragazzino sui 10 anni, da una gamba all’altra.
Entrano in campo le squadre. Comincia la grande attesa della folla foggiana e comincia la grande sofferenza di Lodetti. Scambio Turella-Toschi: “Dai.dai, è buono”, dice fra i denti il centrocampista. L’azione sfuma e c’è uno scambio in tribuna tra Lodetti e Lorenzetti: si fanno coraggio e soffrono. Ma mentre il primo è più compassato nell’esprimere giudizi, il secondo è irruento e se la prende con l’arbitro che non concede una punizione al Foggia: “ma che fa quello? Non Fischia? Ma scherziamo!”.
E Lodetti: “Calma, c’è tempo. E’ inutile scaldarsi subito”.
Bruschini libera bene in difesa e dalla tribuna si sente: “Dal Naviglio sei in gran forma”. E’ Lodetti che sembra voler incoraggiare i suoi compagni. Grilli parte bene, si libera di due avversari, palla a Toschi e Lugnan interviene con modi troppo sbrigativi: “Ma quello è un criminale. Non si gioca così”. Dall’alto della sua esperienza e di una carriera con la “fedina” pulitissima il “vecchio” centrocampista può permettersi anche queste frasi.
E’ il 17’ Turella tira, il pallone schizza sul corpo del portiere e rotola in rete. Lodetti si alza in piedi, urla di gioia. Ha la pelle d’oca, abbraccia il figlio, abbraccia Lorenzetti: “E’ fatta – urla – ormai la serie A non ce la può togliere più nessuno. Laudio (si riferisce a Turella, n.d.r.) sei un vero rapinatore. L’ho sempre detto che sei forte. E che gol!”.
Intanto in campo Turella è impazzito, abbraccia tutti, piange di gioia. Quel gol non lo dimenticherà mai, vale la promozione in serie A ed è riuscito a segnarlo proprio contro il Novara sua ex squadra. Dopo essere stato per due mesi a Foggia, infatti, passò al Mantova in C. Trenta partite e 12 gol. Poi è andato al Novara, 35 gare e 5 reti. Il gol segnato oggi anche se poi è stato sostituito rappresenta quindi un doppio successo: è il sesto del campionato e significa la promozione in A.
Barba lunga, 25 anni e tanta voglia di sfondare. Negli spogliatoi fra gli abbracci ed i complimenti generali ha la forza di gridare: “E’ una rete che non dimenticherò mai. E’ il giorno più bello della mia vita. Sono arrivato in A e questa volta spero di rimanerci con il Foggia”.
Appena il tempo di girarsi ed ecco che vede arrivare Lodetti, lentamente. Un abbraccio fraterno, quasi a significare l’unione di due generazioni calcistiche. Qualche lacrima di commozione mentre il “vecchio” centrocampista esclama: “Claudio, sei stato meraviglioso”. Una pacca sulla spalla, una tirata alla lunga barba incolta ed il “vecchio” leone può assaporarsi in santa pace il momento splendido. Quando due anni fa scese dalla Sampdoria in B, al Foggia, tutti lo avevano dato per finito.
Tredici campionati di A poi due di B e poi trionfalmente è risalito nella massima serie dopo due anni. Non ha potuto essere in campo per l’ultimo grande appuntamento. Ma ha sofferto tanto e, comunque, ha dimostrato ampiamente in tutti quegli incontri disputati con il Foggia di avere ancora la “zampata buona”. A 34 anni queste soddisfazioni valgono moltissimo. E’ tornato in A, combattendo la sua ultima “battaglia” non sul campo ma in tribuna, non con i calci, o meglio con il “cervello”, ma con il cuore, com’è nello stile di un grande campione. (Carlo Gagliardi)
.
Per Roberto Balestri, 42 anni, pisano, da quattro mesi tecnico responsabile del Foggia, sono stati i 73 minuti più lunghi della sua vita; 73 minuti di palpitazioni, di sofferenze, di speranze. Poi finalmente, alle 18,45, con una flemma tipicamente toscana, s’è alzato dalla panchina: “E’ fatta” ha esclamato, con la voce però che gli tremava dall’emozione.
In realtà Balestri con i suoi “amici” (tali sono per lui tutti i giocatori, con i quali non ha mai alzato la voce) aveva preparato da tempo questa grande festa; ha continuato a ripetere “viviamo alla giornata” sino a quando non ha potuto più nascondere quale era il vero obiettivo del suo Foggia. Quindici giorni fa, dopo la vittoria sul Vicenza, disse: “altri tre punti per volare in A”. E tre punti, soffrendo insieme ai suoi ragazzi, Balestri ha ottenuto dalle partite spareggio di Catanzaro e con il Novara.
L’uomo non si è smentito nemmeno quando chiunque altro si sarebbe lasciato sopraffare dall’emozione, quando il pallone deviato di testa da Turella è terminato in rete; ha abbozzato un sorriso ed ha esortato i suoi a non lasciarsi andare: “Calma ragazzi, è fatta!” ha detto a mezza voce. E la conferma è venuta tre minuti dopo il gol, quando Memo, da gran campione ha respinto a mani aperte, il tiro di Piccinetti che molti avevano già visto in rete. “Bravo” si è lasciato scappare.
Poi è stato tutto un susseguirsi di esortazioni, di consigli, tutti sussurrati. Non erano disposizioni, ma suggerimenti per quegli undici che sotto l’afa si battevano da leoni ma che ovviamente non potevano avere la lucidità necessaria per sbrogliare nella maniera più logica le situazioni difficili. “Peccato, troppo alto” è stato il suo commento ad una deviazione di Turella su cross di Grilli, qualche minuto dopo il gol scaccia-incubi, il gol che poteva valere, come in realtà è stato, la promozione.
“Bernardo (è il nome di Fabbian, n.d.r.) sta calmo, non reagire” dice a denti stretti quando Marchetti aggancia per la maglietta il suo attaccante. “Toschino, non fa nulla, sarà per un’altra volta” è il suo commento quando Lugnan poco fuori area non trova di meglio che fermare il pallone con le mani. Frasi, mezze frasi, dette senza il tono perentorio dell’ordine, anzi proprio come esortazioni da un fratello maggiore. E proprio con quel tono suadente di chi esprime un parere per il bene della famiglia, Balestri è riuscito a conquistare la squadra. Attorno a lui il Foggia si è ricomposto, ha trovato nuovo vigore, ha stretto i denti quando c’erano tutti i presupposti per demoralizzarsi, come è stato alla vigilia della gara con il Novara per gli infortuni di Lodetti e Del Neri e per la squalifica di Bordon. In campo sono scesi undici leoni, che hanno sentito tutta l’importanza della partita, ma hanno speso sino all’ultima energia, senza mollare.
Una sola volta Balestri ha avuto un moto di stizza: ed è stato nel secondo tempo quando Turella si è avvicinato alla panchina chiedendo un po’ d’acqua; il massaggiatore, impietosito, ha afferrato la bottiglia e stava per porgerla all’attaccante, ma il nostro è intervenuto decisamente, strappando quasi il recipiente dalle mani dell’assetato centravanti. In quel momento il Novara stava tentando il tutto per tutto per riportarsi in parità e sottrarre, sia pure per qualche istante, un giocatore alla squadra, poteva risultare fatale.
“Renè” Sali e “Manzo” Colla hanno avuto la loro parte di elogi, ma non apertamente, sempre a mezza voce. L’unica cosa da fare in certi momenti è incitare alla calma, a non lasciarsi prendere dalla foga. Così quel “calma ragazzi, è fatta”, ripetuto come una cantilena, valeva forse più per convincere se stesso che la serie A stava diventando d’istante in istante sempre più vicina, che non per esortare i suoi undici amici a stringere i denti.
Perché il merito maggiore della promozione sta proprio nel fatto che il Foggia, dopo alcuni momenti difficili, è ridiventato una famiglia. E non c’è dubbio che questo è il più bel riconoscimento che si possa fare a Roberto Balestri, che ha vissuto il suo pomeriggio di gloria in una giornata di estate piena, con un’afa che ha stroncato la resistenza dei giocatori, ma non la loro volontà di offrire su un piatto d’argento al fratello maggiore quello stupendo regalo che è la promozione in serie A. (Franco De Benedittis)