Chiesa di Santo Stefano
Prima che fosse eretta la nuova Chiesa di S. Stefano, i cui lavori di costruzione iniziati nel 1839 terminarono nel 1842, esisteva una Cappella denominata “S. Stefano dei Ferri” fuori della Porta Arpana, in prossimità della Chiesa di S. Giovanni Battista, “dentro lo Tratturo, che viene di ponte Cervaro a Foggia” (E. Capecelatro). Con tutta probabilità la Cappella fu edificata nella seconda metà del secolo XIII e affidata alle cure di un arciprete e di altri chierici, come risulta da fonti documentarie del 1310 e del 1325; era beneficio ecclesiastico col titolo di Abbazia Concistoriale, obbligata a versare le decime alla Santa Sede, come risulta dal quadro statistico allegato alla Bolla di erezione della Diocesi di Foggia.
Distrutta dal terremoto del 1456, la Chiesa fu ricostruita successivamente. Negli atti della reintegra del Tratturo Foggia-Candelaro, eseguita nel 1652 per ordine del rettore E. Capecelatro, è detto “Ecclesia nuovamente eretta di S. Stefano…”, ma viene anche annotato che annessa a detta Chiesa v’era “una camera terranea” data in fitto a fabbri che lavoravano il ferro. Per detta “ferrarìa” legata alla Chiesa assunse volgarmente la denominazione di “S. Stefano dei Ferri”.
Nelle Visite pastorali di Mons. S. Sorrentino, Vescovo di Troia, relative agli anni 1665 e 1671 risulta che la Chiesa aveva un solo altare e Mons. A. de Sangro annotava nella visita pastorale del 1691: un solo altare “bene ornato”. La manutenzione della Chiesa era curata con zelo dai caporali della Compagnia degli sfossatori, riunita sotto il titolo di S. Stefano (gli sfossatori erano operai addetti a interrare e a dissotterrare il grano nelle fosse), così è riferito dal Vicario Generale di Troia nella sua visita nel 1705.
Resasi vacante, in virtù della legge del Concordato del 1818, la rendita della Badia passò all’amministrazione diocesana. Col passar del tempo non fu più utilizzata e, ridotta in stato di abbandono, si pensò di venderla per poterla, col ricavato, ricostruire nuova in sito adatto e col medesimo titolo.
Ottenute le debite autorizzazioni (dalla S. Sede con Rescritto pontificio del 27.7.1832 e dallo Stato con decreto ministeriale del 28.10.1832), Mons. A.M. Monforte provvide alla vendita dell’antica S. Stefano, ma il ricavato della vendita era insufficiente per la costruzione della nuova. Intanto, il Marchese Francesco Filiasi cedeva un terreno sito lungo il tratturo Foggia-Ordona-Lavello, detto anche tratturo S. Lorenzo, concesso, in enfiteusi perpetua, ai Marchesi dalla Giunta del Tavoliere, dietro pagamento di un canone annuo. Nell’atto di cessione stipulato nel 1839, Mons. Monforte veniva obbligato a dedicare la Cappella a S. Stefano e a versare un canone annuo al Fisco del Tavoliere, canone da cui fu esentato dal 1840, data la finalità di culto a cui si destinava il terreno.
I lavori iniziarono nel 1839 e col sostegno economico di Mons. Monforte, dell’Amministrazione diocesana e dei fedeli, poterono essere portati a termine nel 1842.
La Chiesa, che inizialmente dovette essere affidata alla cura di qualche canonico della Collegiata, divenne, per decreto del 29.12.1845 di Mons. Monforte, sede della Congregazione dei Filippini, associazione di sacerdoti secolari sorta nel 1737 e canonicamente eretta da Mons. Faccolli il 10.11.1742. I Sacerdoti associati erano impegnati nello studio, nell’insegnamento del catechismo, nella predicazione e nella guida spirituale dei fedeli. Bisogna ritenere che la presenza dei Filippini sia durata fino al 1916.
Infatti, con decreto del 2.7.1916 la Chiesa di S. Stefano fu eretta a sede della Vicaria Curata coadiutoria della Parrocchia di S. Francesco Saverio da Mons. Bella.
Prima che fosse eretta Vicaria Curata, la Chiesa fu temporaneamente anche sede della Confraternita di S. Nicola, sotto il titolo di “Maria SS. della Vittoria”, ricostituita il 1858 da Mons. B.M. Frascolla, primo Vescovo di Foggia, dopo lo scioglimento della stessa avvenuto nel 1820 in seguito alle leggi eversive. Detta Confraternita aveva sede nella Chiesa di San Nicola, sita anticamente in fondo all’attuale Via F. Villani, in seguito andata distrutta.
Sul terreno di proprietà della Chiesa furono costruite abitazioni abusive. Nel 1875 D. F.sco Paolo Salerni impegnò con regolare strumento notarile gli abusivi a pagare un censo o canone. I censi o canoni furono versati alla Chiesa dal 1875 al 1944, poi furono estinti.
Con decreto del 10.2.1921 di Mons. Bella divenne Vicaria Curata Autonoma.
Dopo gli eventi bellici del 1943, mentre si espletavano le pratiche per ottenere i fondi dello Stato necessari a riparare la Chiesa, Mons. Farina e il Vicario Curato D. Gaetano Fares acquistarono con mezzi propri due aree adiacenti alla Chiesa, occupate da abitazioni andate distrutte dai bombardamenti aerei.
Il 27 Luglio 1954 la Chiesa, già ampliata e abbellita nel 1898 per iniziativa del Sac. D. F.sco Paolo Salerni, dopo i lavori di riparazione e di restauro eseguiti a spese del Genio Civile, fu riaperta al culto. In quella circostanza furono restaurati e ampliati anche i locali della Parrocchia destinati alle diverse attività pastorali e sociali.
Il 24.10.1957 Mons. Paolo Carta eresse Parrocchia la Vicaria Curata e D. Antonio Martino, Vicario Curato dal 1946, divenne primo Parroco di S. Stefano.
Nel corso degli anni ’70, per attuare le nuove norme della Riforma Liturgica, promossa dal Concilio Vaticano II, ebbero luogo lavori riguardanti la trasformazione del presbiterio: furono demoliti l’altare maggiore e la balaustra, fu eliminato il pulpito, fu realizzata la sede del celebrante, al centro del presbiterio fu collocata la Mensa Eucaristia, mentre agli estremi furono sistemati il leggio e il Battistero; in quella occasione le pareti dell’abside furono adornate da tre mosaici, raffiguranti S. Stefano, S. Pietro e S. Paolo, realizzati nel 1970 dalla Ditta Mellini di Firenze. Fu rinnovata la pavimentazione di tutta la Chiesa con pietra di Apricena.
L’ultima ristrutturazione della Chiesa e dei locali annessi è stata realizzata negli anni 1994-1996 ad opera del nuovo Parroco D. Antonio Sacco. I lavori comportarono il rinnovo dell’impianto elettrico e di amplificazione a cura della ditta Costeldati di Foggia, nuova pavimentazione del presbiterio con marmo bianco di Carrara, nuova la Mensa, nuovo l’ambone per la proclamazione della Parola di Dio, trasferimento dei mosaici absidali nella Cappella della Madonna del Rosario e collocazione dell’ottocentesca statua di S. Stefano in cartapesta, restaurata a Napoli nel 1995, nella riaperta nicchia absidale, eliminazione dei vecchi confessionali, sistemazione del Battistero nella Cappella laterale, porta d’accesso dalla Chiesa alla Penitenzieria e agli uffici parrocchiali, ridipintura della Chiesa, rifacimento di tutta la copertura della Chiesa, giacché fatiscente, vetrata policroma del finestrone semicircolare della facciata realizzata dalla Ditta Luigi Zaccheria nel 1996. I lavori, finanziati da Mons. Antonio Martino, ex Parroco e Parroco emerito di S. Stefano, dai parrocchiani e benefattori e dalla Curia Arcivescovile, furono eseguiti da Paolo Carella sotto la direzione degli Architetti progettisti Antonio Ricci e Francesco Onorati. Il 9.3.1996 la Chiesa fu riaperta al culto col solenne rito della Dedicazione.
Per dotare la Parrocchia di un cortile all’aperto pluriuso, all’inizio del 1998 è stato acquistato, con il contributo della Curia Arcivescovile (8‰) e dei parrocchiani, una parte del suolo adiacente alla Chiesa, appartenente alle famiglie Nazzaro-Azzarone (atto di compravendita rogato dal Notaio Antonio Pepe il 13.2.1998). L’altra parte del suolo è stata concessa, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, dal Comune di Foggia con delibera n. 269 del 24.2.1998. Il campetto è stato pavimentato e recintato a spese di una benefattrice in memoria di Francesco Urbano.
Ultimamente, il 20.12.1998, dopo il lavoro di rinnovo, è stato inaugurato il salone parrocchiale, dedicato alla memoria di Mons. Antonio Martino.
(fonte: www.curiadifoggia.isnet.it/)
Ricevo e pubblico questa lettera di Raffaele De Seneen
In occasione del 50° anniversario (24 ottobre 1957-24 ottobre 2007) di elevazione a parrocchia della Chiesa di Santo Stefano Promo Martire in Foggia alla via G. Urbano, è stato messo in distribuzione, a livello parrocchiale, un opuscolo, “Le carte murate”, da me predisposto sin dal 1995/96, arricchito e aggiornato nel tempo, sulla storia de “I suoli di Santo Stefano – A.D. 1839”. Nella stessa occasione mi è stato affidato l’incarico di predisporre ed allestire una mostra storiografica sulla vita e le vicende della parrocchia, inoltre ho collaborato alla produzione di un DVD commentato sugli aspetti architettonici della chiesa.
Nei primi due lavori, diverso spazio, volutamente, è stato dato al territorio, alle case, gente per una serie di considerazioni che qui cerco di riassumere.
Mentre a Foggia le amministrazioni civiche che si susseguono ammantano insipienza, immobilismo ed interessi sotto una coltre di fumo fatta di rifacimento marciapiedi, piazze, giardini e fontane, giustificabili in un diverso contesto; mentre si discute di PIRP (Piani riqualificazione periferie) con riferimento ai quartieri di penultima generazione come il Martucci e il CEP, i settecenteschi ed ottocenteschi quartieri centrali, Carmine vecchio, Santo Stefano-Largo Rignano, continuano a rimanere in uno stato di degrado ed abbandono, senza una politica di riqualificazione, la previsione di colori e ristrutturazioni (quando ci sono)omogenee, uso di materiali consoni per infissi esterni e coperture, anche con contributi a favore dei proprietari.
Mentre nella villa comunale ancora non sappiamo cosa vogliono fare di quell’area recintata dove sono stati divelti alberi risalenti all’impianto originario, e che si aggiunge all’altra area recintata del “Giardino delle fragranze”, inaugurato e subito chiuso alla fruizione del pubblico, mentre è ancora in piedi la questione Irip-Università, ora tocca a Piazza Giordano che non pareva avesse bisogno di granchè. E proprio alle spalle di Piazza Giordano inizia e si estende uno di quei quartieri “centrali” dimenticati, che da più decenni si lamenta e vive la stessa grigia quotidianità.
Pur se i fondi investiti per il look della città fossero di provenienza comunitaria e vicolati, bisognerebbe “far capire” all’Europa che Foggia non ha bisogno del superfluo, dell’effimero, del di più, ma ancora dell’essenziale, almeno fino a quando tutti si sentiranno cittadini della stessa città.
Quindi, mi è venuto spontaneo pensare che a Foggia c’è:
‘Na stòrije pi rìtte e n’àte pi fèsse
(Quartieri settecenteschi)
‘A chìse Sànde Stèfene sarrìje ‘na bombonìre, / però, se tròve ‘mmìzze a nu sc’kìfe de quartìre: / sdrupatòrije, chese vàsce e gròtte, / mùre rùtte, scuffulàte e strede ròtte. / ‘Ssemmègne ca u’ tìmpe n’è passàte / da quànne ‘a prima prète hànne pusàte; / chi accònte ‘a stòrije antìche e’ criatùre, / “c’era una volta” nu pòte dìce, sarrìje fòre mesùre, / e tène tùtte arreggestràte ìnde a’ memòrije, / e s’arrecòrde pùre quànne màgneve sùle penecùtte ca cecòrije. / U’ filme scòrre sèmpe a ‘na manère, / ògge è ‘ccùssì, ma pùre aìre ère. / “Ninù, qua stève ùne ca mettève i fìrre pi cavàlle….” / “Papano’, e mo’ ‘ndò stàce, se vède ancòre ‘a stàlle!!??” / “Sarrà ijùte a’ pòste pe pegghijà ‘a penziòne, / oppùre a nu cafè, pe fà ‘na culazziòne!! / Qua stève ùne ca vennève i caravùne, / e a’ vutàte quèlle di fùnge de vòsche e di cardùne!!” / “Nanò, e mo’ ‘ndò stànne, / annànza a’ pòrte vède ancòre spàse i pànne!!”” / “Chi pa muntàgne, chi ‘mmìzze a nu restùcce, / Ninù, m’arraccumànne stùdije, nen rumanènne ciùcce!! / Quèll’èra ‘a chese de Cunziglije ‘a ijungiàre, / facève cìste, canèstre e panàre, / e là, ‘nda gròtte, stève màst’Emilije ‘u stagnàre….” / “Nanò, ‘ndo stànne, l’abbàsce vède tùtte scùre!!??” / “Ninù, n’ ce stànne cchiù, so’ tùtte mùrte, / ‘sti chese so’ i tavùte da memòrije, / qualcùne dìce ca pùre quèste è stòrije, / ca nuije sìme i testemònije de ‘sti glòrije. / Ce pigghijene pe fèsse, è ‘a veretà, / e nuije, che vuije, i facìme fà.