Curiosità e testimonianze riguardanti i bombardamenti del 1943
Durante la seconda guerra mondiale vennero sepolti nel cimitero di Foggia molti soldati tedeschi che furono vittime delle incursioni aeree americane. La prova mi è arrivata dall’America: il figlio (Joel Swindlehurst) di un reduce americano che fu presente a Foggia durante il secondo conflitto mondiale, mi ha mandato delle foto antiche di Foggia, in una di queste ho riconosciuto una tomba del cimitero di Foggia. Ecco la comparazione della foto antica con quella attuale, così si può avere l’idea della veridicità di questa curiosità. Come è noto, il cimitero di Foggia è stato bombardato dagli americani, oltre ad aver ospitato centri radio e piccole unità operative dell’esercito tedesco (fonte: Paesaggio storico di Capitanata – L’estate del 1943 a Foggia).
Una curiosità non a tutti nota lega Foggia al mondo della boxe, si tratta dell’incontro che Joe Louis, fra i più grandi campioni del mondo di boxe (già vincitore sul nostrano Carnera nel 1935) tenne nello stadio della città (non ancora intitolato al sottotenente Pino Zaccheria). L’incontro avvenne nel 1944 e vide coinvolti il famoso peso massimo dell’Alabama e una gloria dello sport foggiano, il pugile Vincenzo Affatato. L’occasione si presentò perché Louis, durante il secondo conflitto mondiale, ebbe modo di girare l’Europa visitando le truppe combattenti ed esibendosi in vari spettacoli di boxe per sollevare il morale dei soldati.
Da ricerche effettuate su internet è emerso che in data 19 marzo 1944 una missione aerea contro la città di Klagenfurt (Germania), a cui prese parte anche il sergente Coleman Moberly, terminò tragicamente, con la morte di alcuni membri dell’aereo e la cattura di altri.
Coleman Moberly e il resto dell’equipaggio partirono quindi da Foggia. Ecco la lista dei militari della missione.
Killy (463rd BG)
Edmonds (463rd BG)
Thomas (463rd BG)
Freel (2nd BG)
DeBersky (2nd BG)
Moberly (463rd BG)
Schamlriede (2nd BG)
Johnson (463rd BG)
463rd Gruppo del bombardiere
quindicesimi Aeronautica, basata a Foggia, Italia.
3 del nord – Barracks 2 (blocco 302) – stanza 13
(informazioni giunte grazie alle ricerche di Tommaso Palermo e Bartolomeo De Stefano)
Chi visita a Foggia il sacrario dei caduti, al centro del cimitero monumentale, si imbatte in uno sconcertante e significativo numero di lapidi. Quei nomi sono vite spezzate dalla rabbia furiosa della guerra, per la maggior parte cadute vittime delle incursioni aeree del 1943. Fra i nomi ve ne sono alcuni scomparsi tragicamente il 31 maggio di quell’anno.
In questa storia quelle tombe si intrecciano, in un tragico e fatale gioco del destino, con una piccola croce bianca, piantata su di un campo verde a centinaia di chilometri di distanza.
Facciamo un lungo passo a ritroso. Questa storia comincia un lunedì, è il 31 maggio del 1943, Foggia è stata già bombardata ma soltanto sull’aeroporto Gino Lisa (il 28 ed il 30 maggio), l’abitato rimane ancora miracolosamente inviolato. Alle 12:45 di quel tragico lunedì, però, le fortezze volanti, i mastodontici bombardieri americani del 429th Squadron, fanno la loro comparsa sulla città. Si tratta di ben 127 B-17F appartenenti al 2nd Bomb Group del NASAF, il complesso delle forze aeree americane stanziate nell’Africa settentrionale (North African Strategic Air Forces). Gli aerei, partiti dalla base algerina di Chateaudon-du-Rhumel, hanno il compito di bombardare nuovamente l’aeroporto e per la prima volta la stazione. Il bilancio dei danni è alto: in tre quarti d’ora, dalle 12:45, vengono riversate sui bersagli centinaia di bombe del peso di 227 chili ciascuna, 109 solo sulla stazione ferroviaria. L’azione, però, non conta solo danni a cose: i feriti sono 81, 153 i morti, stando ai dati del IX Corpo d’Armata del Regio Esercito
Chissà cosa pensavano i piccoli Alfredo e Francesco Paolo, il quarantenne Ciro, la signora Anna, Alfonso, Pasquale, Giuseppe e ancora Antonietta e Leonardo…, chissà cosa pensavano in quel momento, quando quelle bombe, fischianti e spietate, devastavano la stazione e le zone circostanti scegliendo anche le loro vite.
A tracciare nelle loro vite quel traguardo inatteso e spaventoso fu la mano di soldati, di lì a poco “alleati”, che come pedine di una logica atavica, eseguivano ordini.
Quelle fortezze volanti avevano un loro equipaggio, una matricola, segni distintivi sulla coda per riconoscerne lo squadrone di appartenenza, vivaci pitture sul muso della carlinga. Una di quelle fortezze è rimasta, però, nella memoria di qualcuno, si tratta di un B-17 ormai scomparso: il B-17F DL “Skippy”, matricola #42-3098. Nell’equipaggio figura anche il capitano Kenneth W. Spinning Jr., arruolatosi nel New Jersey con la matricola O-791350 e giunto in Africa per far parte del Nasaf. Il capitano Spinning e i suoi compagni non sono soli, quel giorno su Foggia con loro c’è anche un piccolo aviere: è un cane, un pit-bull di quattro anni di nome Skippy.
Gli americani avevano con sè una mascotte: quasi sempre un cane, a volte una scimmietta; Skippy è un piccolo cane bianco e nero, quella su Foggia sarà la sua ultima missione, la settima per la precisione. Skippy, insolito ed ignaro spettatore di quella catastrofe su Foggia, non gironzola per l’aereo, anche lui, come ogni componente del “crew”, ossia dell’equipaggio, siede al suo posto: c’è chi sgancia le bombe, chi sta alla torretta di coda alla mitragliatrice, chi a quella del muso, chi ai comandi. Skippy è al suo posto, vicino alla radio, con tanto di maschera d’ossigeno realizzata su misura, è stato già partecipe di incursioni aeree: in Tunisia e poi a Trapani, Cagliari, Civitavecchia, Napoli. La sua presenza ha davvero del grottesco: un cane a bordo di un bombardiere! Un bombardiere che sta piagando la città, mietendo vittime.
Eppure quel cane è amato e coccolato, è la mascotte dell’equipaggio. Il capitano Spinning, pilota del B-17, gli vuole bene e Skippy gli ricambia l’affetto. Nel novembre 1944, il capitano Spinning, l’uomo che aveva visto e lasciato cadere le bombe sulla città di Foggia, va incontro al suo destino: una missione strategica al nord Italia gli costerà la vita. E’ l’undici novembre, il pluridecorato capitano Spinning, allora nel 49th Bomber Squadron del 2nd Bomber Group (Heavy), trova la morte colpito in missione dalla contraerea. Mentre il capitano trova la pace, lo stesso non si può dire sia avvenuto per il suo piccolo amico Skippy: il cane attende, giorno dopo giorno, il suo padrone, freme ad ogni rientro alla base di un velivolo e si angoscia nel non vederlo tornare, sono le testimonianze a tradamandarcelo. E quel bombardiere proveniente dall’Algeria che fine ha fatto? Quella fortezza volante con la matricola #42-3098 che pilotata da Spinning e dal suo copilota bombardò Foggia? Quel B-17 parte alla volta del Pireo (Grecia) da Einsatz, a pilotarlo è, questa volta, il capitano Robert W. Goen Jr., quel B-17 non farà più ritorno e otto dei nove componenti del gruppo periranno nell’azione.
Un cimitero questa volta a Firenze, siamo in quel campo verde che abbiamo citato all’inizio di questa storia. Il cimitero è il “Florence American Cemetery and Memorial”, il cimitero di guerra americano. Dei 93.242 morti della seconda guerra mondiale lì tumulati uno ci colpisce in particolare: il capitano Kenneth W. Spinning Jr.. La sua sepoltura ci richiama mestamente a quella di quei foggiani che speravano, quel 31 maggio 1943, di superare quei momenti di terrore quando il fischio sinistro e prolungato delle bombe faceva da preludio al fragore e alla devastazione. Quelle che oggi, ai nostri occhi, si mostrano come lapidi alla memoria, dietro cui riposano spoglie mortali, sono in realtà destini fatalmente incrociati, in quel fatidico, terribile anno che Foggia mai potrà dimenticare: il 1943. (a cura di Tommaso Palermo)
La città bombardata e la tragica sorte di un frate nelle memorie di Joe Peluso
L’americano Joe Peluso si trovava a Foggia durante la seconda guerra mondiale, lasciò l’Italia quando l’unità dell’esercito americano di cui faceva parte si trasferì in Francia il 15 luglio 1945. Peluso ritornò a San Giovanni Rotondo nel marzo del 1988.
Egli visitò la città di Foggia dopo i bombardamenti del ’43 e conobbe, all’età di ventisei anni, anche Padre Pio; così ricorda la città bombardata nelle sue memorie:
“…Guidando dal campo verso la città di Foggia, dovevamo passare per il monastero provinciale dei Cappuccini, il cimitero e dirigerci verso la zona della stazione. Allora, la zona della stazione sembrava una gigantesca opera d’arte moderna. Sareste passati sopra, sotto ed intorno a centinaia di binari che erano stati piegati, ritorti e tesi verso il cielo in ogni direzione. La stazione era parzialmente in uso da parte degli americani e dalle forze alleate, ma essa era stata precedentemente bombardata e distrutta dagli americani, dal momento che era il cardine del trasporto per i movimenti delle truppe e dei rifornimenti delle forze italiane e tedesche…”
Peluso racconta anche un triste episodio accaduto ad un giovane frate di 25 anni in visita da Padre Pio, morto a Foggia prima di rientrare a Roma per completare i propri studi:
“…Noi viaggiammo su di un piccolo autocarro. Il giovane frate montò sul retro con me e ci dirigemmo verso Foggia. A Foggia incrociammo diversi muri che stavano in piedi da soli, erano i resti di un gran numero di edifici. Il risultato di quella terribile notte fu che metà della città era ridotta in rovina e trentamila persone rimasero uccise. Le forze americane rimossero le macerie dopo il bombardamento ma molti di questi muri vennero lasciati. Questi erano molto pericolosi, perché avrebbero potuto collassare in qualsiasi momento.
Essendo il retro dell’autocarro completamente scoperto, eravamo entrambi coperti di polvere a causa della strada battuta, durante tutto il tempo in cui raggiungemmo Foggia. Scherzavo con il giovane frate per via della sua folta barba, portata a cespuglio, che era piena di polvere grigia. Gli dissi che assomigliava ad un anziano monaco con la barba grigia. Mai avrei immaginato che quella sua barba non sarebbe mai mutata in grigio e che egli mai avrebbe raggiunto Roma. Il giorno successivo, mentre stava camminando per una strada di Foggia, uno dei muri di un edificio bombardato crollò, cadendo su di lui ed uccidendolo.”
(a cura di Tommaso Palermo)
La morte di un soldato tedesco
Durante i bombardamenti della città di Foggia, molte furono le vittime registrate anche fra i militari, fra questi molti tedeschi di stanziamento nella città. Presso il cimitero di Foggia esistevano diverse tombe di soldati tedeschi, come confermato da una foto dell’archivio americano del 463rd Bomb Group, ora non più esistenti.
Uno dei militari tedeschi deceduti a Foggia fu il caporale Joseph Philipp August Maibach, nato a Kirdorf, il 7 settembre 1923. Fra le poche informazioni relative, sappiamo che di professione era “maschinenschlosser”, ossia operaio addetto a lavori di montaggio. La data di morte del giovane caporale è il 26 settembre 1943, otto giorni dopo l’ultimo bombardamento della città e il giorno prima della definitiva ritirata dei tedeschi dalla città di Foggia. (a cura di Tommaso Palermo)
In occasione della concessione della medaglia d’oro al valor militare finalmente concessa alla nostra Città dal Presidente della Repubblica scrissi al Sig. De Santis che aveva appena pubblicato il Suo ultimo libro sui bombardamenti. Ci sono molte testimonianze inedite. (dott. Salvatore Aiezza) Ecco la lettera:
Ho letto con estremo interesse e partecipato con emozione agli avvenimenti così fedelmente raccontati nel Suo ultimo lavoro editoriale: “L’immane tragedia dell’estate dei 1943 a Foggia”. Avevo già avuto modo di leggere i Suoi precedenti scritti : “ll dito nella piaga” e “schegge” dai quali già traspariva un profondo senso di umanità, giustizia e legalità,valori che sembrano,purtroppo,insieme a tanti altri …ex valori..! Finiti nel dimenticatoio della nostra società,e che vengono invece da Lei riaffermati con determinazione in questo nuovo testo letterario.
Premetto che anch’io,come Lei, non sono “geneticamente” originario di questa città poiché sono occasionalmente nato a Foggia,come si dice con freddo linguaggio burocratico, dato che i miei genitori sono originari della Campania e dell’Emilia Romagna e quivi sono giunti per motivi di lavoro. Purtuttavia ho imparato ad amare Foggia dove ho conosciuto la mia attuale moglie dalla quale ho avuto 4 splendidi figli dei quali uno purtroppo prematuramente scomparso.
Avevo letto anche altri testi che raccontano della tragica estate del 43 con dovizia di particolari e documentazione molto interessante. Cito,tra tutti: “La città spezzata”e “…La morte venne dal cielo” ma la Sua “testimonianza” diretta, vissuta e raccontata con gli occhi di un bambino al quale, insieme ad innumerevoli altri coetanei venne vigliaccamente e barbaramente impedito da una guerra assurda la gioia di vivere con serenità e spensieratezza gli anni più belli della vita, mi ha colpito particolarmente; E di tanto ancor più me ne sono reso conto quando, leggendo il Suo libro mi è capitato di incontrare lo sguardo dei miei figli e il paragone con le vicende che andavo leggendo non poteva non essere fatto… Così,sollecitato dalla lettura di quelle pagine, sono riuscito a tirare fuori dai cassetti della mia memoria alcuni spunti, spero interessanti anche per i suoi eventuali futuri lavori.
Pur dunque non essendo,nei termini che ho avuto modo di precisare, foggiano “purosangue” ho per converso sposato una donna le cui origine sono saldamente foggiane da generazioni. Le cose che sto per dirLe le ho quindi appreso da persone a me care e che le hanno vissute in prima persona. Mia suocera, Lucia Pecorella: amata e stimata maestra elementare sino a pochi anni orsono, di quelle che,per intenderci,non si dimenticano mai e alla quale ancora oggi i suoi ex alunni alcuni oramai ultraquarantenni,miei coetanei,non mancano di farLe visita nelle ricorrenze.(…altri tempi, altre scuole quando la maestra era davvero la seconda, se non talvolta la prima, mamma.. ..). . .Mio suocero ma,soprattutto, la nonna di mia moglie,maestra di francese: Donna Assunta Colecchia, scomparsa a venerandissima età sugli albori del 2000. Fonte inesauribile
di ricordi e memorie, fu Lei che avendo vissuto in prima persona e sulla propria pelle i disastrosi giorni dell’estate 43 a Foggia ebbe a raccontarmi tante e tante volte quel che accadde cominciando, così a far crescere in me il desiderio e la voglia di approfondire la conoscenza di quei tragici fatti. Così spesso nelle lunghe e calde. Serate estive trascorse sul terrazzo della casa al mare, durante le vacanze, sul nostro meraviglioso Gargano, le chiedevo di raccontarmi ancora “la storia dei bombardamenti” come ero solito dire io e lei, ogni volta, come un’amabile mamma che racconta una storia al suo bambino, iniziava il suo racconto aggiungendo sempre nuovi particolari che io subitamente imprimevo nella mia memoria.
La maestra Assunta Colecchia, madre della mia amata suocera e madre di altri 7 figli, abitava proprio in uno dei palazzi INCIS; per la precisione quello prospicientela P.zza S.Francesco, al piano rialzato. Abitavano quindi nella zona tristemente ricordata come la più colpita, dopo la stazione ferroviaria, per esserle immediatamente adiacente, dai feroci bombardamenti.
Sotto le macerie dei palazzi INCIS rimasero un numero altissimo, impossibile da definire, di vittime orridamente maciullate dalle schegge e dalle conseguenze delle esplosioni che seguivano la caduta delle bombe. La stessa nonna Assunta rimase ferita dai bombardamenti del 22 luglio e, per fortuna, almeno così bisogna dire con il senno di poi, perse “solo” un tallone…mentre altre schegge la colpirono in altre parti del corpo in modo lieve. Alcune schegge rimaste nei piedi della povera nonna hanno continuato a procurarle dolori e fastidi per tutta la vita riaccendendo ogni volta quei tristi ricordi. Dunque, proseguiva il racconto di Nonna Assunta… “Quando sentivamo le sirene la prima cosa che facevo era di accertarmi che tutti i miei figli stessero a casa poi aspettavo per secondi che sembravano interminabile, con il cuore che batteva più forte del rombo assordante e nefasto dei bombardieri che già si sentivano in lontananza, che arrivasse a casa dal Tribunale allora sito nel palazzo che ora ospita l’Università, mio marito Carmine. Perché Lui non scendeva nei rifugi, no! Lui doveva, correndo all’impazzata, raggiungere noi a casa a costo di rimanere sotto le bombe o essere mitragliato da ….Quelli che si sono comprati l’Italia pagandola con il nostro sangue…”
Interrompo il “racconto” di donna Assunta per fare due precisazioni:
-La prima è quella relativa a Carmine, vale a dire il Dr. Carmine Pecorella, nonno di mia moglie, stimatissimo, irreprensibile e indimenticabile Cancelliere Capo del Tribunale di Foggia negli anni bui della guerra,scomparso negli anni 70;
-La seconda, preziosissimo spunto per infinite altre considerazioni che potrebbero essere fatte ma che non è possibile fare ora, è quella relativa alle ultime parole che ho riportato nel virgolettato:- “..Quelli che si sono comprati l’Italia…..” Ebbene, mai, tutte le volte che sentivo parlare la nonna, Ella ha chiamato gli alleati (dopo!) con tale nome o sinonimo di esso. Ha sempre sostenuto che i morti di Foggia sono stati una parte del prezzo pagato per comprare l’Italia! Che incredibile attualità in quelle parole!
Tornando a noi, riprendendo il racconto della Sig.ra Assunta: “…tutti insieme, quindi, raggiungevamo il rifugio negli scantinati dei palazzi INCIS, a volte non tutti riuscivano ad arrivarci perché spesso le sirene suonavano in ritardo quando oramai gli aerei erano già sulla citta’, così invece di scendere cercavamo riparo negli angoli o sotto gli stipiti di casa o coprendoci con i materassi. Comunque pregavamo il Signore di salvarci e Lui deve averci ascoltato se ha voluto che rimanessimo in vita mentre tante persone amiche e semplici coinquilini del palazzo INCIS con le quali fino a pochi minuti prima dei bombardamenti avevamo chiacchierato sul pianerottolo o per le scale o dai balconi, improvvisamente non c’erano più. Morti! Orrendamente morti come i loro figli che poco prima giocavano giù nel cortile a dorso nudo per la calura estiva dei quei giorni.” Nonna Assunta non mancava di aggiungere particolari a questa parte del racconto, che Anche quando aveva raggiunto la rispettabile età dei novanta anni,le faceva luccicare gli occhi. Ascoltiamola: “…Quando terminavano i bombardamenti e tutti piangevano facevo come una pazza per andare a vedere se Carmine e i ragazzi fossero vivi, feriti o peggio. Poi, come impazziti, insieme a tante altre persone anche loro come impazzite, correvamo giù per guadagnare la piazza e nel fare ciò dovevamo scavalcare i corpi delle persone che ci avevano fatto compagnia fino a poco prima: la mia vicina di casa stava in una pozza di sangue così come i suoi due figli. I bambini, quelli mi facevano più pena vederli a terra immobili e maciullati, non me lo dimenticherò fino a quando gli occhi non si chiuderanno per sempre”.
Vorrei ora, carissimo sig De Santis, porre alla sua attenzione questi altri “fatti” necessari per comprendere, secondo me, alcune prese di posizioni di alcuni nostri illustri concittadini: Ho scritto, poche righe più sopra, che nonno Carmine, Cancelliere Capo del Tribunale, ogni mattina puntuale anche sotto le bombe e fintanto che è stato possibile, prima dello sfollamento, si presentava al suo posto di lavoro insieme agli altri suoi colleghi e a tanti altri instancabili lavoratori. L’attaccamento al lavoro di queste persone e degli altri funzionari e impiegati dello Stato, del Comune ecc.ecc. che sono rimasti al loro posto non solo nei giorni dell’ eccidio, ma anche quando gli Uffici furono trasferiti in provincia, a Troia e in altri centri del subappennino, dimostrano la volontà di dare comunque continuità e non fermare la città già orrendamente martoriata e abbandonarla completamente. Sarebbe stato molto più semplice disertare tutti gli uffici, non andare più al lavoro e lasciare le istituzioni in balia di se stesse senza controllo facile preda di faccendieri e saccheggiatori! Ben avrebbero potuto questi lavoratori e tutti gli altri dedicarsi solo alle loro famiglie. Così sarebbe stata la disfatta totale, fisica e morale della Città di Foggia. Lo spostamento degli Uffici quando oramai sarebbe stato da suicidi restare a Foggia, ha quindi avuto il duplice effetto di continuare a far funzionare gli apparati amministrativi e politici e contribuire a salvare numerose vite umane. Se questi fatti sono stati frutto di una strategia politico-militare o, come si vorrebbe far trasparire, frutto di codardia, non sta a noi dirlo ma alla storia.
Oltre alle testimonianze riportate ho avuto modo di ascoltarne innumerevoli altre: anziani, vicini di casa, persone che hanno frequentato la mia famiglia e che hanno avuto un ruolo fondamentale per la mia crescita e formazione personale, sociale e culturale. Prima, fra tutti, l’indimenticabile “direttrice” della scuola elementare privata “Rabbaglietti” situata nel cuore di Foggia vecchia, alle spalle del comune, e che ho avuto l’onore e la fortuna di frequentare. Parlo della Nobil Donna Amalia Rabbaglietti: insigne scrittrice oltre che grande educatrice e carismatico personaggio di una Foggia che non esiste più.
Io, insieme ai miei compagni di scuola dell’epoca, metà anni sessanta, tra i quali, solo per citarne alcuni, la D.ssa Barbara Trombetta, la D.ssa Antonella Amoroso, il Dott.Luciano Fattore, abbiamo imparato da Lei, oltre a tutto quello che c’era da imparare, che cosa è stata la guerra e il ’43 nella nostra città. Quando andavo con mio padre dalla direttrice per pagare la retta e fare il consueto “aggiornamento” sul nostro rendimento scolastico, Lei non mancava mai di ricordarci in quel suo dialetto splendido di cui sola era capace di ” …Vulerc ben, fighij, pcchè sul cu’ ben s’ponn evtà i uaij di guerr e distruzion che tanta figghij sane purtat…” Mi scusi per il mio dialetto sig. De Santis ma, come Le ho premesso, il fatto che non abbia io origini foggiane a volte..crea questi problemi… Parole pesanti come macigni, dunque, quelle della compianta direttrice, ma allo stesso tempo dolci come carezze di una mamma, che tale Ella era per noi. Alle nefandezze della guerra la Sig.na Rabbaglietti aveva peraltro dedicato splendidi libri di poesie in dialetto una delle quali,”Cor d’ mamm” diventata anche il retro di un disco che incidemmo noi, tutti i frequentatori del suo istituto ed il cui versus era una splendida canzone dedicata alla mamma e che io gelosamente ancora conservo tra le cose più care.
Un’altra persona che cito volentieri per la sua grande simpatia e con la quale spesso scambiavamo opinioni sui fatti tragici di cui discorriamo e da cui ho avuto notizie di prima mano è il sig.Paolo, artigiano barbiere con bottega nel cuore di Foggia nei pressi di corso V.Emanuele, nella quale ha lavorato sino a pochissimo tempo fa. E’ stato il sig. Paolo, fidato barbiere per tanti anni, a raccontarmi cosa faceva nelle drammatiche ore dei bombardamenti quando, ancora ragazzo, al suono delle sirene che annunciavano l’imminenza dell’arrivo delle fortezze volanti, percorreva di corsa insieme ai suoi compagni di giochi, le poche centinaia di metri che li separavano dal rifugio della prefettura. A volte, invece, gli capitava di trovarsi nella villa comunale a giocare e a ripararsi dalla calura estiva per cui non facevano in tempo a correre nei rifugi, sicchè cercavano di nascondersi dove si poteva. Fu proprio in queste occasione,mi disse Paolo ,più di una volta, che rimanevano terrorizzati dal volo a bassa quota degli aerei che mitragliavano i ( cito testualmente) ” Puvrill che correvano nella villa e i piloti volavano tanto basso che noi li potevamo vedere che ridevano, Si! Dotto’, quill rdevn specie l’Inglesi!!!” Avete sentito bene Sig. De Santis…RIDEVANO!!! Ora,a parte il Buon Sig.Paolo che è ancora tra di noi e gode di buona salute, questa storia degli alleati (futuri) che mentre mitragliavano ridevano, o forse sghignazzavano, contenti per l’opera meritoria che andavano compiendo, è un dato ricorrente in molti racconti dei superstiti . Un nostro vicino di casa di quando io ero ancora ragazzo, oramai scomparso da anni (il Signor Di Muzio Girolamo),e che era pensionato dell’acquedotto pugliese, veniva a volte accompagnato da me in Corso Roma dove presso il centro del Dr.Iuppa ,praticava delle cure fisiatriche. Io lo accompagnavo molto molto volentieri proprio perché mi piaceva sentire i suoi racconti. Ebbene, anche lui diceva che quando passavano quegli assassini “sparavano e ridevano” a volte puntando di proposito grandi e piccoli che correvano lungo Viale XXIV maggio e nella villa.
Queste, Sig. De Santis, sono le poche, se crede, ma spero importanti testimonianze che ho raccolto durante la mia esistenza su quegli indimenticabili giorni di lutto per i nostri concittadini e che mi sono pregiato portare alla Sua attenzione.
In limine a questa mia vorrei, se me lo concede, fare alcune considerazioni, queste sì personali, sugli “atti” di guerra o di resistenza o, comunque, ostili che avrebbero, ove ci fossero stati e che, secondo taluni, non ci sono stati, giustificato la concessione della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla nostra città. Ebbene,vorrei dire a tal proposito,solo due cose.
I comportamenti umani, è noto, sono frutto di azioni (attive e/o passive) o di omissioni che determinano gli effetti voluti. Se torniamo con la mente a quei tragici giorni tra maggio e settembre del ’43 e proviamo a rivivere con l’immaginazione i momenti immediatamente precedenti e successivi agli eventi de quo ci domandiamo:-Quale sarebbe dovuta essere la reazione dei popolo foggiano? E contro di chi? I tedeschi? Non era possibile perché erano ancora nostri alleati e, anzi diedero entrambi le mani ad aiutare a seppellire cadaveri, estrarre corpi dalle macerie ecc.ecc. Allora dovevamo resistere e combattere contro i futuri alleati? Ma come!!! armando (di che? Se si escludono le forcinelle che allora andavano di moda o qualche boomerang chi ci dava le armi?) donne,bambini e anziani? atteso che i giovani erano quasi tutti in guerra!!! E così si sarebbero dovute organizzare imboscate agli aerei ….. Signor De Santis, è troppo facile e sarebbe una offesa alla sua intelligenza se solo mi permettessi di scriverLe di quali sarebbero stati i risultati di questa….penosa…. resistenza…..Forse io ci sarei ancora perché sono venuto dopo e i miei genitori non essendo oriundi sarebbero comunque vissuti, ma Lei….e credo quasi più nessuno di questa Città si sarebbe salvato dalla reazione anglo-americana. Avrebbero compiuto un vero sterminio. Allora si che avremmo meritato la medaglia al valor militare!! ! !
Ma non è così. Anche la razionale decisione, imposta o casuale, del popolo eroico di Foggia di non reagire in modo attivo ai bombardamenti DEVE essere qualificata come AZIONE DI RESISTENZA IN GUERRA. Vera e propria strategia tesa a limitare, stante la evidente disparità delle forze in campo, la perdita di più numerose vite umane. Azione di guerra che basta e avanza per giustificare la concessione della medaglia d’oro al valor militare alla nostra Citta.
Questi i fatti e gli atti sino all’8 settembre. Quello che è accaduto dopo ,ai fini della concessione di sì alta onorificenza da parte del Capo Dello Stato, NON può e NON deve interessare. Dopo i bombardamenti del 19 agosto Foggia era oramai distrutta e allo stremo. Con una frase presa in prestito dal Nuovo Testamento potremmo dire: Tutto era oramai compiuto!
Sia chiaro gentile Sig. De Santis, e qui termino scusandomi per essermi così tanto prolungato ma è un mio “vizio” quello di iniziare a scrivere, quando decido di farlo,e non terminare più. Sia chiaro! dunque che queste mie parole non vogliono essere una reprimenda o chissà cosa contro gli anglo/americani che pure hanno portato democrazia e libertà nel nostro Paese prendendosi questo sì, in cambio, tutto ciò che potevano…..in ogni senso. Ma l’opulenza ha un prezzo e noi, mi pare, anche con uno sguardo alle ultimissime vicende di casa nostra, che questo prezzo lo stiamo ancora pagando.
Le sono infinitamente grato per il tempo che vorrà,se lo riterrà opportuno, dedicare alla lettura di queste testimonianze.
Auguro con tutto il cuore che la Sua iniziativa di veder eretto un monumento a perenne ricordo dei tragici avvenimenti nonché di poter presto inaugurare un museo a ciò dedicato, ottengano al più presto compimento.
Salvatore Aiezza