Foggia nel ‘700
Quando Carlo III di Borbone diventa re di Napoli e della Sicilia nel 1734, Foggia era una città di circa 10.000 abitanti di una certa importanza e che era attiva nello scambio commerciale con le province limitrofe dei suoi prodotti derivanti dall’agricoltura e dalla pastorizia. La società era costituita dai proprietari terrieri, dai mercanti di grano, dai negozianti, dagli artigiani e soprattutto dagli edili che ebbero molto da fare soprattutto dopo il terribile terremoto del 1731; infine c’erano tanti lavoratori dei campi le cui condizioni di vita erano di poco al di sopra dell’estrema povertà. In città si annoveravano anche numerosi forestieri, come i pastori abruzzesi che vivevano a Foggia anche per 6 mesi all’anno, molti funzionari della Dogana, molti commercianti stranieri (inglesi e francesi), veneziani che scambiavano i loro prodotti con il grano e con la lana e una forte rappresentanza di abitanti di Corato che commerciavano il formaggio in botteghe che, anche dopo secoli, vengono chiamate ancora “quaratini”.
Forte era la presenza del ceto ecclesiastico anche perché le famiglie avevano il desiderio di avere un figlio sacerdote per garantirgli un futuro sicuro, l’accesso nelle famiglie nobili grazie alle ricchezze che la Chiesa aveva accumulato gestendo i numerosi lasciti di fedeli deceduti, dai contributi annui che riceveva dai Comuni e dalle agevolazioni fiscali di cui godeva.
Foggia era amministrata dal Decurionato i cui 60 membri, eletti tra un numero ristretto di persone, procedevano ad eleggere il Mastrogiurato, quattro consiglieri e l’incaricato della custodia del peculio pubblico. All’inizio potevano farne parte solo i nativi di Foggia che avessero rendite di una certa importanza, poi fu estesa la possibilità anche ai forestieri. Le elezioni avvenivano il 15 agosto e le cariche venivano assegnate il 1° settembre. Dopo una cerimonia religiosa, il Mastrogiurato uscente consegnava al nuovo i sigilli, le chiavi della città, il libro rosso, dove erano registrate le scritture pubbliche, i pesi e le misure. Il nuovo governo nominava due governatori per la cappella dell’Iconavetere, due per il Sacro Monte di Pietà, due per l’ospedale. Assumeva infine i medici fisici, chirurghi e pratici, i maestri elementari comunali, gli avvocati.
Nel mese di maggio i Decurioni nominavano il sindaco e due consiglieri; il sindaco durava un anno ma poteva essere riconfermato per un altro anno con una maggioranza dei due terzi dei voti.
L’economia della città era florida e ciò permise anche la nomina nel 1698 di un Governatore della Dogana foggiano, Vincenzo Vidman.
Comunque le amministrazioni non sempre si distinsero per il buon governo: infatti vi furono numerose inchieste per indebite appropriazioni delle pubbliche entrate e di imposizioni arbitrarie di tasse. Furono in molti infatti a pensare che il terremoto fosse da attribuire alla giustizia divina per la cattiva condotta degli amministratori della città.
Dopo il terremoto il Comune provvide parzialmente alla riparazione dei danni della Cattedrale poiché gravato da numerosi debiti mentre le abitazioni furono ricostruite dai sacrifici degli stessi privati che riconsegnarono la dovuta dignità ad una città piegata dal clamoroso evento.
Tra il 14 aprile e il 28 giugno 1797 la Corte napoletana si trasferì a Foggia per le nozze tra il Principe ereditario Francesco di Borbone e la Principessa Clementina d’Austria. I festeggiamenti straordinari furono organizzati dal Mastrogiurato Bianco e dal presidente della Dogana Giuseppe Gargani. Nell’ultimo ricevimento tenuto in onore degli sposi, il Re concesse il titolo di Marchese ad alcuni cittadini foggiani (Giuseppe Liborio, Francesco Paolo Celentano, i fratelli Filiasi, Domenico De Luca, Filippo Saggese, Domenico Freda) che avevano offerto al sovrano magnifici equipaggi per le carrozze, come premio per l’industriosità.
La panoramica sul settecento a Foggia non può dimenticare la nascita del Borgo Croci, nato tra la fine del Seicento e i primi del Settecento, nell’area di confluenza dei tratturi per Celano e L’Aquila , vicino alla Chiesa delle Croci. Il borgo fu popolato dopo il terremoto dai foggiani che vi costruirono case di legno. Dopo la paura per il sisma che contò 245 morti, numerosi feriti e tantissime case abbattute compresa quella comunale, la gente ritornò nelle zone della città da cui proveniva e a Borgo Croci rimasero le famiglie più povere quasi a formare un’altra città, con le proprie peculiarità e le proprie abitudini. In questo borgo abitava il “terrazzano” il quale, pur di non stare alle dipendenze del padrone, preferiva vivere miseramente raccogliendo dalla terra quello che poteva bastare per far sopravvivere la sua famiglia. Il terrazzano era una persona dall’ignoranza più crassa, dalla forte superstizione, dal forte turpiloquio e dalla facilità con la quale maneggiava il coltello. Il suo dialetto, il crocese, era più aspro e gutturale, certamente diverso da quello parlato dal resto della popolazione foggiana, quasi come prova tangibile di una marcata differenza etnica. Caratteristico era anche l’antichissimo costume tradizionale che indossavano, dalle brache su calzettoni bianchi, dal cappotto a ruota con berrettino di cotone bianco nascosto sotto un ruvido cappello floscio.
(ved. anche Terremoto del 1731)