Giorgio Rognoni
Proveniente dal Milan, nel Foggia giocò 3 stagioni, due di B ed una di A collezionando complessivamente 94 presenze e 14 gol. Ha giocato anche nel Modena, nel Cesena e nella Pistoiese dove concluse la carriera nel 1983 e dove morì tre anni dopo, precisamente il 20 marzo del 1986 non ancora quarantenne La morte avvenne per un misterioso male e la sua scomparsa sarà oggetto di indagine del Procuratore torinese Raffaele Guariniello, perchè probabilmente collegata a sostanze dopanti assunte durante la carriera.
dall’Intrepido del 13.12.73
Giorgio Rognoni: la fine di un equivoco
Tutto rossonero il destino del regista del Foggia
Ha da poco compiuto i 27 anni (Giorgio Rognoni è nato a Modena il 26 ottobre del 1946) ed è quindi nell’età che di solito viene definita quella della “piena maturità tecnica ed atletica”. Per quanto riguarda la prima parte di tale etichetta, Rognoni è una eccezione alla regola: a vent’anni era già rifinito tecnicamente quanto bastava per giustificare l’assunzione nella rosa di prima squadra di un club prestigioso come il Milan.
Se la sua carriera alla corte di Rocco non è stata esaltante, la colpa è stata solo in parte sua. Ci spieghiamo. Il calcio moderno ha, tra i suoi molti meriti, un torto evidente e cioè quello di aver reso confuse le idee per quel che riguarda i ruoli, specie quelli d’attacco. Fra “ali tornanti”, “centravanti tattici”, “mezze punte” e “rifinitori” non ci si capisce più niente. E in molti tecnici – anche ai massimi livelli – si è creata la convinzione che, ad esempio, una mezz’ala possa figurare bene anche come ala tattica o un centravanti puro essere efficace anche come mezza punta. Se non che ci sono calciatori molto duttili e altri no. La maggioranza ha anzi una vocazione tanto precisa per un certo ruolo da escludere la possibilità di poter essere impiegato positivamente in un altro.
Rognoni, al Milan, è stato appunto vittima di un equivoco tattico di questo tipo. Nato interno, si è visto utilizzare quasi sempre come punta. Certi esperimenti erano imposti da una parte dalla presenza nell’organico di interni “inamovibili” come Rivera e incoraggiati dall’altra dal fatto che Giorgio disponeva, in effetti, di qualche virtù tipica delle punte (come, ad esempio, il “dribbling” stretto e il vigoroso spunto in velocità). Rimaneva comunque il fatto che la sua vocazione al tiro era modesta, che tendeva a perdere quota nei contatti con l’uomo e che, in area di rigore, mancava della freddezza caratteristica dei grandi realizzatori.
Non appena, invece, arretrava sulla tre-quarti o addirittura a metà campo era come per un profugo tornare a casa.
E che il suo ruolo naturale fosse quello del regista lo hanno confermato clamorosamente le sue brillantissime stagioni foggiane e segnatamente l’ultima che lo ha visto fra i principali protagonisti della promozione in Serie A dei simpatici “satanelli”.
Destinato evidentemente ai colori rossoneri (Milan e Foggia hanno maglie identiche), Giorgio ha tuttavia trovato nella squadra foggiana la vera dimensione di se stesso anche sul piano umano: alla tensione che ne angustiava le giornate milanesi, è subentrata la serenità e la consapevolezza del soggiorno a Foggia dove la solidarietà dell’ambiente ne ha favorito in modo preciso il clamoroso riscatto.
A Milano, oltretutto, si era creato un altro pericoloso equivoco per il quale si era indotti a credere che il giocatore avesse grossi limiti agonistici a dispetto di una taglia atletica tutt’altro che deficitaria (70 Kg distribuiti su 1,80 di altezza). La verità era … la solita e cioè che Giorgio, non essendo una punta, si smarriva, una volta a contatto con gli estremi difensori avversari. In realtà ora che si muove nella zona di campo a lui congeniale, non appare carente neanche sul piano agonistico e molti “tackles”, anche aspri, lo vedono uscire vittorioso.
Dotato di un palleggio rifinito e di finte istintive di grande efficacia, Giorgio sa distinguersi soprattutto nella sapiente difesa della palla e in certi scambi corti con la propria ala che frastornano anche antagonisti smaliziati.
Come molti palleggiatori è incline, qualche volta, a trattenere la palla un po’ più di quanto le esigenze della manovra collettiva pretenderebbero, ma in compenso quando si decide al passaggio lo fa con una precisione eccellente e con vivo senso opportunistico (calibrando cioè il “servizio” col compagno più smarcato). In certe repentine digressioni all’ala – soprattutto sulla fascia destra – sa essere irresistibile e la buona attitudine al cross in velocità le rende spesso molto producesti.
I suoi limiti sono, comunque, assai meno numerose delle sue doti e si esauriscono, in pratica, nella prevedibilità delle sue conclusioni da fuori area e in saltuari periodi di “morbidezza” nell’affrontare i contrasti. Ma, nel complesso, il giocatore “c’è”, sia tecnicamente sia per quanto attiene alla mentalità cui un professionista del calcio deve potersi giovare; e il Foggia e Toneatto non hanno dubbi circa la conferma che in questo senso Giorgio saprà dare anche nella stagione che ospita il ritorno fra le elette degli indomabili “satanelli”. (Sandro Ciotti)
dall’Intrepido del 13.12.73
Giorgio Rognoni
“C’era una volta…” si potrebbe chiamare questa linea diretta. C’era una volta un ragazzo timidissimo, chiuso, introverso che non riusciva a ritrovare la sua strada. Ora c’è un uomo sicuro, un campione afermato che si sta battendo per portare una squadra in serie A. Il campione è Giorgio Rognoni, la squadra il Foggia. Su Rognoni-uomo poco si sa; tanto il suo carattere è schivo, chiuso. Un’intervista con lui è sempre stata una difficile impresa. Oggi più maturo, marito e padre felice, la cosa diventa più facile e si scopre un Rognoni inedito, completamente nuovo, persino ottimista.
“Sono nato il 26 ottobre del 1946 a Modena. I miei genitori venivano da famiglie modeste. Mio padre era operaio, mia madre di professione faceva la … mamma, tanta tenerezza per me e mia sorella, così che la mia infanzia è trascorsa felice, circondata da mille attenzioni. Forse sono stato troppo coccolato e proprio per questo quando ho avuto i primi contatti col “mondo esterno” e, particolarmente con il mondo difficile del calcio, ho avuto difficoltà d’adattamento e mi sono chiuso in me stesso. Così dal bambino eternamente gioioso, mi sono trasformato in un adolescente ombroso.
Molte volte mi hanno rimproverato di essere chiuso, di non saper esternare i miei sentimenti. Chissà quanta gente avrò deluso col mio carattere. Mi dicevano: Ma come?… Hai giocato così bene e non dici niente, non salti dalla gioia, te ne stai lì impassibile? Io avevo l’inferno o il paradiso dentro, avrei voluto urlare, saltare, ma qualcosa più forte di me mi bloccava. Oggi è diverso sono cambiato e non solo come uomo, ma anche come giocatore. Riesco a comunicare con le persone, a farmi finalmente “comprendere”. Di questa trasformazione devo ringraziare soprattutto mia moglie che ha saputo pian piano cambiarmi, ma devo molto anche all’ambiente che ho trovato a Foggia. Qui mi sento finalmente capito, compreso, aiutato. Quanto sono lontani i tempi tristi del Milan. Certo che mi rimarrà dentro per tutta la vita un segno profondissimo dei giorni passati in maglia rossonera. Un incubo. Non riuscivano a capirmi, né come uomo né come giocatore. Sono stati momenti amari. Avevo sì molti amici fra i compagni di squadra, ma mi sembrava d’essere solo ugualmente. In campo, poi, mi facevano giocare da punta, mentre io sono una mezzala e ho bisogno, per rendere ala massimo delle mie possibilità, di partire da lontano. Perciò ho rimediato magre paurose e il mio morale, di conseguenza era sempre più a terra e questo non tornava a vantaggio dei miei rapporti con la società. Comunque non desidero accusare nessuno, una squadra di calcio deve essere una macchina per far gol ed ottenere successi; non è pensabile che si trasformi in una scuola per giovani introversi.
Nonostante queste delusioni, quando seppi d’essere stato ceduto, provai un grande dispiacere: lasciavo degli amici, l’ambiente nel quale avevo mosso i primi passi e scendevo nel purgatorio della B. Mi ricordo ero al mare, mia moglie lesse sul giornale la notizia del mio trasferimento al Foggia. Il Milan mi aveva dato ampie assicurazioni che non mi avrebbe ceduto ad una squadra di B. Ci rimasi molto male: al dilà del rapporto professionale, ci dovrebbe sempre essere il rapporto umano. Sarebbe bastata una telefonata per rendermi meno amaro il distacco, invece niente. Arrivai a Foggia piuttosto amareggiato convinto di acer sceso un gradino e che la mia carriera fosse addirittura già in fase calante. Invece ho dovuto ricredermi perché proprio qui è nata la mia riscossa, proprio qui si è visto il vero Rognoni. A Foggia tutto mi dà sicurezza. Al Milan non ero nessuno, mi sentivo inferiore come se fossi alla ricerca di un’elemosina.
A Foggia mi hanno accolto come un fratello. Tutti avevano la più grande fiducia in me e questo mi ha dato un morale incredibile. Finalmente mi sono sentito sicuro delle mie possibilità, ho stretto i denti e ho giurato che, a costo di qualunque sacrificio, mai avrei deluso le persone che credevano in me. Oggi mi sento soddisfatto, gioco non per professione, ma perché sono un innamorato del calcio, il pallone non mi viene mai a noia ed è un continuo divertimento: allenamento e partita. Quanto sono lonatni i tempi del Milan quando pensai addirittura di smettere e cambiare mestiere.”
La carriera di Giorgio Rognoni è iniziata fra i giovani del Modena: il giocatore passò nella prima squadra – che militava in serie B – durante la stagione ’64-’65, durante la quale giocò una sola partita. L’anno successivo diventò titolare e giocò quindici partite. La stagione successiva gicò ventinove incontri realizzando anche cinque gol. Nel 1967-68 passò al Milan.
Il suo esordio in serie A avvenne nell’incontro Mantova-Milan vinto dai rossoneri per 1-0: “Fu veramente una giornata indimenticabile, – ci rivela Giorgio – mi dissero che avrei giocato solo qualche ora prima dell’incontro. L’allenatore mi chiese se ero emozionato; barai e dissi di no invece mi sentivo addirittura tremare. Capivo che mi stavo giocando in quella partita buona parte della mia vita futura e non solo mia, ma anche della mia famiglia. Quando un giovane si avvicina allo sport, provenendo da una famiglia modesta, non ha il diritto di fallire perché è in gioco anche il futuro di tutti i suoi. Io mi sentivo maledettamente responsabilizzato. I sacrifici di mio padre, di mia madre, una buona dote per mia sorella… finalmente un po’ di benessere per tutti dipendeva da me.
Entrai in campo con tutte queste cose dentro. Era l’undici febbraio del 68. Me la cavai benino. Quella stagione giocai solo un’altra partita; nel campionato successivo nove. Nel 1969-70 giocai ventitré partite e segnai due gol; l’anno dopo venti partite e un gol. L’anno scorso al Foggia ho giocato trentadue partite e realizzato cinque gol. Quest’anno giochiamo col grande traguardo della serie A. Ci impegniamo tutti al massimo e penso che il segreto dei nostri successi sia il grande affiatamento che c’è fra noi. Al di là di ogni retorica siamo veramente ‘tutti per uno e uno per tutti’.
In campo non ci chiediamo mai quali siano i compiti dell’uno o dell’altro, cerchiamo di giocare entro schemi precisi, ma dandoci anche una mano. Non c’è rigorosamente il compito di ‘curare’ questo o quel giocatore; ci diamo tutti un gran daffare per neutralizzare le azioni avversarie, senza personalismi che risulterebbero deleteri per la squadra. Il calcio è principalmente un gioco d’assieme.
L’unico mio cruccio, sul principio, erano i tifosi che non ci stavano vicini come avremmo desiderato. Probabilmente risentivano ancora della delusione dello scorso campionato quando al Foggia scappò, per un soffio, la promozione. Questo ci amareggiava non poco e il nostro primo traguardo era proprio conquistare la loro fiducia e il loro affetto. Da qualche domenica la gioia di vedere lo stadio sempre gremito e in trasferta sono molti i tifosi che ci seguono. Questo ci è servito da sprone per condurre bene questo lungo, lunghissimo campionato di B che sembra non debba finire mai. Comunque non cederemo proprio adesso con la promozione ad un soffio, siamo decisi a tenere duro fino alla fine, a non farci superare, a costo di cadere tutti stremati in mezzo al campo.
Mentirei se negassi di aver una profonda nostalgia per i campi della massima divisione. E’ un ritorno che sogno, ma non voglio ritornare in A con una qualsiasi squadra, neppure fosse titolatissima: desidero tornare alla ribalta del grande calcio con il Foggia, che considero veramente il punto principale della mia carriera perché solo qui ho trovato il vero Rognoni. La serie A è una soddisfazione che i miei compagni di squadra meritano e un successo che Toneatto, il nostro allenatore, ha lungamente e seriamente preparato.
Un altro sogno segretissimo ho dentro. E’ così grande che non ne parlo mai con nessuno. Vorrei, desidero con tutto me stesso, tornare a vestire la maglia azzurra. Per me è il traguardo più ambito. Debuttai nella nazionale B mentre giocavo in maglia rossonera. Fu a Genova il 19 febbraio del 1970. Giocammo con la Spagna. Fu un incontro entusiasmante, vincemmo per uno a zero, convincendo tecnici e sportivi con uno spettacolo di bel gioco. Da allora la passione, la ‘malattia’ per la maglia azzurra mi è rimasta dentro e pagherei qualsiasi prezzo per tornare in azzurro. Quel giorno a Genova c’erano i miei genitori, mia moglie, e io sapevo che in quel momento li stavo ripagando di tutti i sacrifici che la mia professione comporta. Lunghi distacchi, dolorose lontananze, sia da giovane con i miei genitori, che da sposato con mia moglie e la mia bambina. Una vita condizionata. Ma fu allora, mentre in campo sentivo l’inno di Mameli e l’applauso degli sportivi, che mi sentii ripagato di tutto. Felice.
Oggi sto lottando anche per questo. Un mio ritorno in A potrebbe significare anche un ritorno in azzurro. Però lasciatemelo dire: sarebbe bello e giusto se, più spesso, i tecnici guardassero giù verso la B. Anche tra i cadetti c’è gente che sa giocare al calcio…” (Enzo Tortora)
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Da: “La Gazzetta dello Sport” del 21/3/86
IMPROVVISA SCOMPARSA DI GIORGIO ROGNONI
Giocò in coppa Campioni al fianco di Rivera e Schnellinger
Pistoia – Stroncato da un male incurabile, è morto, a soli quarant’anni, Giorgio Rognoni. Aveva giocato nel Milan, nel Cesena, nel Modena, nel Foggia e nella Pistoiese. In coppia con Frustalupi aveva portato in serie A la squadra toscana. Rognoni era nato a Modena, ma da alcuni anni risiedeva a Pistoia. Lascia la moglie ed un figlio. I funerali si svolgeranno domani nella chiesa di San Michele Arcangelo di Pistoia: la salma poi verrà trasportata a Modena.
Lo ricordiamo quasi vent’anni fa quando arrivò al Milan. Era un ragazzo timido, introverso, sembrava soffrisse un poco di condizionamento nel ritrovarsi accanto Gianni Rivera e Fabio Cudicini, Karl Schnellinger e Kurt Hamrin, Giovanni Trapattoni e Angelo Benedetto Sormani. Erano i compagni di un grande Milan che, proprio in quella stagione, vinse il titolo e Giorgio Rognoni giocò da titolare un paio di partite. Nereo Rocco lo apprezzava e sosteneva che se quel ragazzo avesse posseduto un poco più di grinta, con lo stile che possedeva, il gioco di finta, l’assiduità di manovra, sarebbe arrivato lontano.
Col Milan partecipò alle imprese di Coppa dei Campioni e di Coppa Intercontinentale nel 1969 e sino all’annata ’70-’71 si rese prezioso in un collettivo che pur non svettando come in precedenza, si destreggiava con merito nelle prime posizioni della classifica di campionato.
Dopo quattro anni Rognoni venne mandato al Foggia. Allora non esisteva lo svincolo e lui lo seppe mentre stava al mare in vacanza con la famiglia. Non nascose la propria delusione e tuttavia al Foggia si fermò tre stagioni facendosi apprezzare. . Nel ’74-’75 indossò la casacca del Cesena ed anche in Romagna Giorgio Rognoni si fece benvolere al punto che molti tifosi cesenati non gradirono la partenza – dopo un quadriennio in bianconero – di questo valido centrocampista verso altri lidi.
Approdò a Pistoia dove confermò la propria qualità tecnica con l’aggiunta di un’esperienza ormai collaudata e, con la maglia arancione, partecipò alla stupenda avventura della promozione dalla B alla A nella stagione ’79-’80. E ancora, dopo la parentesi tra le grandi, tornando in serie cadetta, Rognoni rimase fedele alla Pistoiese sino all’83.
La morte lo ha ghermito d’improvviso ancora assai giovane ed il rimpianto è anche più cocente. Lascia un ricordo vivo di ragazzo generoso e pieno di umanità.
(fonte: www.magliarossonera.it)
ved. anche Quando la stampa parlava di Rognoni