Gli Ospedali a Foggia
E’ difficile stabilire quale fu il primo ospedale di Foggia e quando fu istituito. Di certo si sa però che molti ordini religiosi aprirono ricoveri (ospitium) per gli infermi e non solo durante le guerre e le epidemie. Una pianta della città del 1583, (disegno di anonimo e testi attribuiti a Padre Angelo Rocca e conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma) registra, tra le altre, la seguente didascalia: “Hospitale de Santa Chaterina” e lo colloca sull’attuale via Arpi, di fronte alla Chiesa di Sant’Agostino, nelle immediate vicinanze di una delle cinque porte, la Porta Piccola (oggi scomparsa) che si apriva dove oggi via Arpi si innesta su via Pasquale Fuiani.
E’ importante questo elemento perché si tratta dello stesso luogo in cui troviamo, successivamente, l’Ospedale “San Giovanni di Dio” , che nei primi anni del ‘900 si chiamerà “Umberto I”, per ricordare il Re che morì sotto i colpi dell’anarchico Gaetano Bresci, a Monza, il 29 luglio 1900. Proprio in quegli anni, l’Ispettore Generale della Sanità Pubblica, Druetti, dichiarò in un suo rapporto che l’ospedale “Umberto I” era uno dei maggiori e più importanti nosocomi del Mezzogiorno. Ma facciamo un passo indietro.
Tra il 1720 e il 1730, Gerolamo Calvanese, nelle sue “Memorie per la città di Foggia”, scrive nel capitolo “Conventi e confraternite”: “E’ la città adornata di più conventi religiosi, come sono li Padri Predicatori, eremiti di Sant’Agostino, Chierici regolari – volgarmente Teatini – Minori Osservanti, Minori Conventuali, Padri Cappuccini, Padri di San Pietro Alcantara, Padri dell’Ospedale di S. Giovanni di Dio, l’Ospizio de’ Padri Scalzi Agostiniani, l’Ospizio de’ Padri Scalzi Teresiani, l’Ospizio de’ Padri Camaldulesi Ospizio dei Padri della Compagnia di Gesù del Collegio Romano, li quali tutti tengono case e chiese cospicue, et abitazioni copiose e molto nobili. Vi sono studii, lettori, generali, noviziati e copiosi regolari per ogni convento. Vi sono due monasteri di donne con clausura, l’uno sotto il titolo di Santa Chiara e l’altro dell’Annunziata, un conservatorio dell’Orfane, un altro de’ poveri, la confraternita del SS. Sacramento, quella di Santo Giovanni Gerosolimitano, di S. Antonio Abate e della Concetta che aiutano a ben morire, quella de’ Morti, di Santa Monica, di S.to Donato, del 3° Ordine di S. Francesco e de’ Dolori della Vergine.”
Dal 1348 risiedevano a Foggia e, sicuramente fino al 1750, i monaci della regola benedettina, i “Celestini” che, come risulta da un documento conservato a Montecassino, avevano un loro Convento e una chiesa, entrambi dedicati a Santa Caterina di Alessandria. Si tratta della stessa chiesa che sarà poi intitolata a San Giovanni di Dio. Una traccia importante è tuttora visibile sulla facciata della chiesa in via Arpi. E’ la “ruota”, elemento ornamentale posto sulla porta e che ci dice che frati, preti, monache e suore non si occupavano solo di curare l’anima dei fratelli ma anche il corpo e che sperimentavano cure e rimedi antichissimi con tanta carità e spirito di sacrificio. Aiutati dalle confraternite e dalle offerte dei nobili foggiani, alleviavano le sofferenze dei malati, toglievano dalla strada gli orfani e offrivano un rifugio sicuro a chi ne aveva bisogno. Sempre pronti, durante i terremoti, i saccheggi, le epidemie, ad intervenire al servizio della gente colpita e debole. A causa della scarsità di mezzi e di conoscenze scientifiche, non di rado capitava che le disgrazie colpissero anche chi cercava di prestare soccorso. E’ il caso di don Antonio Silvestri, morto di colera nel 1837 e del quale riferiamo in questo in un intero capitolo a lui dedicato.
Don Antonio Vincenzo Maria Silvestri, Servo di Dio, nasce a Foggia il 17 gennaio 1773 e, sebbene avviato al sacerdozio a 12 anni, non risulta che sia mai stato in seminario. E’ certo invece che abbia vissuto la sua vita di chierico al servizio della chiesa dell’Annunziata. Ordinato sacerdote nel 1797, è rettore della chiesa di Sant’ Agostino e custode della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli durante il periodo murattiano della soppressione dei conventi. La sua affidabilità, il suo zelo, la sua capacità di immedesimarsi nei problemi di ognuno lo rendono presto popolarissimo: il suo aspetto trasandato, il passo affrettato e un paio di scarpe chiodate diventano familiari al popolo foggiano. La sua ansia di aiutare i bisognosi trova una prima concreta risposta nell’ istituzione di una piccola casa di ricovero per le donne anziane ed ammalate. Secondo Casimiro Perifano, storico foggiano, la sua casa si trovava in un vicolo adiacente la chiesa di San Giovanni di Dio e ospitava al piano terra le donne anziane e, al piano superiore, le ammalate di tisi. Con l’aiuto delle elemosine, ben presto l’Opera progredisce e la piccola casa non basta più. Don Antonio Silvestri trasferisce le sue donne nei pressi della chiesa di Sant’Eligio, in una casa presa in affitto dalla famiglia Mastrolillo. L’ Ospedale delle donne sarà anche ospitato in un grande palazzo al Piano delle Fosse (sull’attuale via della Repubblica). L’opera di Don Antonio non conosce soste: raccoglie viveri e abiti per i carcerati e nel 1824 fonda il Conservatorio del Buon Consiglio, collegato alla chiesa di Sant’Eligio, di cui diventa Rettore. Nel Conservatorio, le donne lavorano e studiano: vengono creati un laboratorio per la tessitura, una scuola di ricamo, una scuola di musica e canto, per le fanciulle di ogni ceto sociale. Nel 1836 un’epidemia di colera funesta la Capitanata e Foggia in particolare. Don Antonio Silvestri, l’uomo che aveva fatto la sua parte anche in questa occasione, muore a causa dello stesso morbo che aveva combattuto. Aveva 64 anni e sarà uno dei 561 morti di colera a Foggia nel 1837. I bollettini ufficiali parlano di 27.234 casi di colera e di 11.374 morti sui 312.433 abitanti della Provincia.
La cura degli infermi, nel decennio 1860-1870, pare affidata per lo più al medico locale. Le malattie più diffuse risultano le febbri malariche, le infezioni intestinali, la cachessie, lo scorbuto, la tigna. Si rileva, inoltre, la presenza del vaiolo, del tifo, delle malattie difteriche e delle malattie veneree. Nelle zone montuose, invece, per lo più sono diagnosticate forme patologiche dell’apparato respiratorio. L’intima connessione tra clima, topografia e quadro patologico viene così a porsi come uno degli interessi principali della ricerca scientifica.
Il ritorno del colera, che si manifesta a San Severo il 26 luglio 1865 e che si attenua nel novembre 1867, spinge le autorità ad interessarsi più da vicino delle condizioni igienico-sanitarie della Capitanata. Il quadro sanitario della provincia, nel primo decennio post-unitario, non mostra aspetti soddisfacenti. La popolazione risulta scarsa rispetto all’estensione territoriale, la densità media è di 40,89 abitanti per chilometro quadrato, mentre per la maggior parte delle province italiane è di 83,90 circa. La vita media è di 29,77 anni, e nelle altre province è di 31,77. L’epidemia colerica del 1865-67 provocò in totale 3.326 morti e le conseguenze si risentono anche negli anni successivi. Da una “Tabella dei nati e dei morti”, firmata dal dottor Luigi Della Martora risulta che la città capoluogo ebbe 1.265 nati e 1.322 morti nel 1865. Il divario si mantiene alto anche dopo questo periodo, con 12.147 nati e 12.948 morti a Foggia; 126.809 nascite e 126.582 morti nell’intera provincia.
Nel 1866 si contano 150 medici-chirurghi, 125 medici, 31 chirurghi, 334 flebotomi, 265 farmacisti, 13 veterinarii, 134 levatrici e quasi tutti i comuni della Capitanata dispongono di medici condotti nella proporzione di un medico per 2.844 abitanti, e, nello stesso anno risultano già costituiti due comitati medici, uno a Foggia, istituito il 15 ottobre 1863, ed un altro a San Severo.
L’ ospedale maschile, gestito dai frati di San Giovanni di Dio viene rivendicato dal Comune di Foggia nel 1869, sindaco Lorenzo Scillitani. Nel 1850 disponeva di 70 posti letto per militari e civili, destinati a salire a 190 nel 1884. Così ne parla nel 1876 Ferdinando Villani (storiografo foggiano): “… presso a cento infermi consetuamente raccoglie alla sua volta l’ospedale civile dei frati di San Giovanni di Dio, generosi di assistenza verso i tribolati e che sull’ampio vessillo della carità evangelica hanno scritto i loro nomi, gridando per l’indole istessa del loro istituto: fate bene o fratelli… l’ospedale civile… che può dirsi preziosissimo per la specialità degl’interni ordinamenti e per l’ammirabile disciplina. Ne fan pruova la nettezza delle sale, l’aria salubre che vi si respira, la scelta de’ letti, il lustro delle masserizie, la qualità de’ cibi e le sane vivande che si apprestano agli ammalati, la frequenza di valenti medici, ed anche le spirituali assistenze, onde i moribondi dormono l’ultimo sonno della vita sul capezzale di una buona coscienza.”
L’ospedale femminile, fondato da Silvestri, invece, è affidato alle Suore della Carità, sotto il titolo dei santi Caterina e Francesco da Paola, ottiene il riconoscimento giuridico nel 1856 e diventa Ospedale Provinciale nel 1864 e successivamente sarà intitolato al Re d’Italia Vittorio Emanuele II.
In questi anni arriva a ricoverare fino a 14 donne al giorno provenienti da ogni paese della Capitanata. Dopo vari traslochi troverà, infine, sistemazione, grazie all’intervento del Comune e della Provincia di Foggia, nel 1880, nell’ex Convento di Sant’Agostino, dove vi rimarrà anche nel secolo successivo. Il convento fu soggetto a continui interventi di manutenzione anche per aver subito un incendio il 6 ottobre 1899. Dalla fusione dell’Ospedale maschile “San Giovanni di Dio” (“Umberto I”) con quello femminile (“Vittorio Emanuele II”) nasceranno, nel 1928 gli “Ospedali Riuniti di Foggia”.
Le trattative durarono a lungo, quasi vent’anni e, alla fine, lo statuto degli Ospedali Riuniti fu approvato con la deliberazione n. 1021 del 29 febbraio 1928 del Comune di Foggia, che dall’11 novembre 1927, dopo tre commissari prefettizi in quattro anni, era adesso retto da un Podestà, l’avvocato Alberto Perrone. La nuova Amministrazione comunale “riordinò, disciplinò e rinvigorì” il personale degli antichi ospedali che si erano uniti.
I contributi economici precedentemente stanziati a favore dei due enti dai sindaci di Foggia fino al 1923, rimasero inalterati.
Nel frattempo, era terminata la costruzione di un nuovo padiglione dell’ex “Umberto I” in via Arpi e in via Manzoni grazie agli enormi sforzi della “Fondazione Siniscalco-Ceci” e inizialmente destinato a diventare un “tubercolosario”.
Ma così non fu, perché il Comune nel 1930 acquistò i terreni per costruire un ospedale sanatorio. Fu scelta un’area di 57.OOO mq., sulla “Foggia-Ascoli” e confinante con la nascente circumvallazione (l’attuale viale Ofanto). Il costo dell’operazione gravò in piccola parte sul bilancio del Comune e maggiormente sulla Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali. Stava nascendo l’Ospedale antitubercolare che sarà poi intitolato al colonnello Lorenzo d’Avanzo, caduto a Galz-Gdeif-Ghirba, in Africa, nel giugno del 1940 e insignito di medaglia d’oro alla memoria. Fondamentale per la sua realizzazione fu il lascito della famiglia De Piccolellis, inizialmente destinato alla costruzione di un ospizio che però sarebbe stato un doppione di quello istituito dalla “Fondazione Maria Grazia Barone”, tuttora operante. L’Ospedale “d’Avanzo”, durante la seconda guerra mondiale, ospitò la Croce Rossa Italiana diventando ospedale militare, continuò a curare i malati di tubercolosi e, come tutti i sanatori italiani era un complesso ospedaliero di proprietà dell’Inps, che riscuotendo i contributi assicurativi dei lavoratori dipendenti, ne garantiva l’assistenza e la cura per le malattie tubercolari. La tubercolosi, che tante vittime aveva mietuto nel passato, è oggi notevolmente ridotta e i “sanatori” si sono spopolati di questi ammalati. La riforma ospedaliera ha poi trasformato l’Ospedale d’Avanzo in un nosocomio provinciale specializzato broncopneumologico e ricovera tutti i malati con affezioni dell’apparato respiratorio, acute e croniche. Infine, non è più gestito dall’Inps, ma dalla Regione Puglia.
I padiglioni di via Arpi del vecchio “San Giovanni di Dio” oggi ospitano il centro Sert (Servizio recupero tossicodipendenti), il Centro di medicina sociale e servizio di alcologia e il Servizio Veterinario. L’ex Convento di Sant’Agostino, invece, dopo essere scampato alle ingenerose demolizioni del regime fascista, è ritornato alla Provincia di Foggia. Per anni fu la sede dell’ospedale femminile “Vittorio Emanuele II”, dell’ Ospedale provinciale di maternità e brefotrofio e negli anni ’80 ospitò il Cim (Centro di igiene mentale). Dopo radicali e poderosi lavori di ristrutturazione che sono serviti anche a cancellare le “tracce” lasciate dagli anarco-punk che lo avevano occupato e adibito a centro sociale tra il 1995 e il 1997, la Provincia vi ha istituito il Cioc, felice intuizione dell’Assessorato alla Formazione della Provincia per favorire l’integrazione dei cittadini extracomunitari e per indirizzare l’utilizzo dei fondi europei. Sul lato di via Fuiani, l’edificio ospita il Museo del Territorio.
E gli Ospedali Riuniti? Fin dal 1937 si impose la necessità di dotare Foggia di unastruttura ospedaliera efficiente e moderna. Il presidente degli Ospedali Riuniti di quegli anni, l’avvocato Annino Gentile, chiese all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, la concessione del Sanatorio di via Ascoli, già costruito ma non ancora adibito a tubercolosario. La richiesta, caldeggiata dal Prefetto, non fu accolta dall’Istituto proprietario e gli amministratori dell’ospedale cittadino si orientarono verso la costruzione “ex novo” di un centro ospedaliero dalla capacità di 500 letti per far fronte alle necessità di Foggia e della sua provincia. Il commendator Guarducci, Commissario prefettizio degli Ospedali Riuniti, nel 1942 deliberò la costruzione del nuovo ospedale, affidando all’architetto Ercole Rossi di Roma il compito di redigere il progetto. La guerra, già scoppiata nel 1940, si incaricò di fermare tutto e solo nel 1949, quando alla presidenza dell’ente ospedaliero foggiano troviamo Francesco Petruzzelli (banchiere, che negli anni ’50 sarà consigliere comunale dei Liberali al Comune di Foggia), si riuscirà ad ottenere dall’Alto Commissario di Igiene e Sanità il finanziamento per la costruzione del nuovo ospedale e la cessione del Sanatorio.
Il Ministero dei Lavori Pubblici stanziò 450 milioni di lire. I primi duecento giunsero a Foggia nel 1959 quando Petruzzelli era stato sostituito alla guida dell’Amministrazione dal dottor De Tullio. Inutile ricordare che ogni volta che si paventava l’ipotesi di costruire l’ospedale e di erogare fondi a questo scopo, si muoveva una ridda di dichiarazioni e rivendicazioni da parte dei parlamentari eletti nei collegi di Foggia e di Bari. La vera svolta, però, arriva nel 1962 con la nomina di Luigi Turtur a Presidente del Consiglio di Amministrazione degli Ospedali Riuniti. Luigi Turtur, ingegnere, nacque a Molfetta nel 1897. Giovanissimo partecipò alla I Guerra Mondiale guadagnandosi una medaglia d’argento al valor militare e tre croci di guerra. Laureatosi in ingegneria navale e meccanica, giunse a Foggia per insegnare presso l’Istituto Tecnico Industriale “Saverio Altamura”, del quale fu anche Presidente del Consiglio di Amministrazione per molti anni. Fu anche Presidente dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, Senatore dell’Ordine degli Ingegneri di Capitanata, Presidente dell’Ente Fiera di Foggia dal 1947 al 1951, Presidente dell’Istituto Autonomo Case Popolari, del Consorzio di Bonifica e, dal 1962 al 1971, Presidente degli Ospedali Riuniti di Foggia.
Rivestì anche altri incarichi pubblici, ma il suo nome resta legato alla rinascita del quartiere fieristico, danneggiato dai bombardamenti aerei del 1943 e notevolmente ingombrato dai resti del deposito di carburante, il “Patrol Depot”, lasciati dalle truppe anglo-americane, che lo requisirono al loro arrivo a Foggia e lo restituirono nel 1948, e alla costruzione del “Monoblocco” degli Ospedali Riuniti di Foggia. Morì a Foggia nel 1976.
Per ricordare l’instancabile ingegnere e amministratore, gli Ospedali hanno dato il suo nome alla Sala convegni (che si trova sotto la nuova chiesa di San Giovanni di Dio) e nel 1991 il Comune di Foggia ha provveduto ad intitolargli una strada cittadina, via Luigi Turtur, da via de Petra al Campo della F.i.g.c.
L’Amministrazione Turtur tenne a battesimo il vero inizio dei lavori di costruzione del nuovo ospedale. L’area si trovava fuori dalla città ed era facilmente raggiungibile anche dall’Aeroporto Gino Lisa, dal quale era distante solo tre chilometri. I problemi, però, non erano terminati perché molti erano convinti del fatto che il terreno scelto non fosse edificabile a causa della sua franosità.
Problematiche ricomparse recentemente, nel 1997, quando si parlò del completamento del plesso che si trova su via Napoli (il terzo lotto, destinato ad ospitare la facoltà di Medicina dell’Università) e di ristrutturazione del Monoblocco (la prima costruzione). Alla fine degli anni ’60 l’ospedale era quasi ultimato, ma enormi difficoltà burocratiche impedivano la sua apertura. Infine, nel giugno del 1969, un evento curioso consentì l’inaugurazione non ufficiale del complesso. Circa 300 partecipanti ad un banchetto nuziale furono colpiti da intossicazione alimentare collettiva e le disponibilità di ricovero del “Siniscalco-Ceci” di via Arpi erano assolutamente insufficienti. Il Prefetto di Foggia, allora, con una propria ordinanza dispose l’apertura dell’ospedale per il ricovero degli ammalati. Così inizia la storia dei nuovi “Ospedali Riuniti” di Foggia, che saranno inaugurati ufficialmente nel 1972 e che oggi comprendono anche la Maternità, il Plesso Chirurgico-Pediatrico, costruiti successivamente di fronte al “Monoblocco”, e l’Ospedale “d’Avanzo”. Nel 1997 gli Ospedali Riuniti diventano azienda con il decreto del Presidente della Giunta Regionale del 31 gennaio 1997 e, precisamente Azienda Mista, per la presenza dell’Università di Bari, prima, e di Foggia successivamente.
Gli Ospedali Riuniti oggi contano 2082 dipendenti, di cui 365 medici, reparti moderni ed efficienti e una buona visibilità sul territorio. Numerose sono state le emergenze che gli Ospedali hanno dovuto fronteggiare, tra cui il ritorno del colera nel 1974, il terremoto del 1981 e, l’11 novembre del 1999, il crollo di un palazzo del vicino viale Giotto. Percorrendo viale Luigi Pinto si arriva al Complesso ospedaliero-universitario, in una zona che negli anni ha conosciuto un grande sviluppo edilizio e residenziale. Nel quartiere sono presenti impianti sportivi, un grande parco e scuole . Abbiamo visto come sia stata lunga e travagliata la strada che porta agli Ospedali Riuniti in una città come Foggia, dove è più difficile arrivare al traguardo, ma dove raggiungere un traguardo, tra mille difficoltà, vale di più che in molti altri posti di questo nostro mondo.
(fonte: www.ospedaliriuniti.it)
ved. anche don Antonio Silvestri