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I matrimoni di una volta

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I preparativi dei matrimoni di una volta erano davvero ridotti all’osso, però non mancava niente: dai confetti agli orchestrali. La sposa, insieme alla mamma, la nonna e la zia “nubile” (zitellona,si diceva!) che non mancava mai in ogni famiglia, viveva molto intensamente il tempo precedente il fatidico giorno dedicandosi in modo particolare alla “biancheria”. Il corredo era infatti anche nelle famiglie meno abbienti,la cosa alla quale più  si teneva. Allora si contavano i capi, si sceglievano le lenzuola e la biancheria per arredare la camera da letto per la prima notte, si aveva cura di tenerlo un po’ fuori dalla cassapanca dove, insieme alle “palline” di naftalina, era stato rinchiuso per anni e una volta sistemato lo si metteva esposto per una settimana prima del matrimonio, in modo che tutti potessero ammirarlo e, soprattutto, perché nessuno potesse dire che la sposa non aveva un buon corredo. Apro una piccola parentesi perchè il corredo per la sposa (ma anche a volte per lo sposo)  era in realtà un arte e una “storia” che iniziava da bambina. I genitori sin da quando avevano la figlia “femmina” non pensavano ad altro che a preparare il corredo … per quando si sarebbe dovuta sposare! Ora, chi aveva la fortuna (perché non dimentichiamo che stiamo parlando di un periodo economicamente molto povero) di avere in casa una persona particolarmente esperta con i ferri e l’uncinetto, il cotone, il lino, la raffia, il ricamo ecc. aveva in parte risolto il problema perché si provvedeva a “ricamare” asciugamano e lenzuola a mano nella propria famiglia. Chi invece non poteva, si indebitava presso i negozi all’epoca più accorsati per acquistare i capi del corredo. A volte la spesa era piuttosto elevata e i debiti duravano tutta la vita. Più tardi, verso gli anni 60 cominciò un’altra “tradizione”, quella di acquistare il corredo dai “Commessi Fiorentini”: erano, questi, commercianti (molto scaltri e furbi!!) i quali avendo capito che in questa parte dell’Italia (perché il corredo non e’ naturalmente solo foggiano) c’era da guadagnare bene, scendevano una volta al mese con il loro campionario e utilizzando il “passaparola” da una famiglia all’altra,  facevano loro visita convincendoli a comperare. Il pagamento avveniva poi con (..comodi!!) bollettini postali, mensilmente. In realtà non si sarebbe più finito di pagare sino al giorno del matrimonio perché c’era sempre qualcosa di nuovo o utile da prendere.

Tornando al matrimonio, il corredo, ovviamente, era un vero e proprio “status simbol” ma per chi era davvero povero rappresentava veramente tutto agli occhi del futuro sposo, per questo i sacrifici si facevano volentieri. Molto spesso i genitori degli sposi, specie tra gli strati più poveri che non avevano case o beni di altro genere da scambiarsi, si riunivano in veri e propri “summit ” dove si scambiavano “note” trascritte su semplici foglietti, con scritto l’elenco della dote degli sposi: dote che era costituita per la maggior parte, appunto, dai corredi.

Gli invitati  ai matrimoni, almeno sino agli anni 60, erano molto meno di oggi, ci si limitava ai parenti, al “compare” di battesimo e cresima (quando quest’ultimo non fosse già un parente), a qualche vecchio amico d’infanzia. Tuttavia alla  “cerimonia” spesso si “intrufolavano”, naturalmente ben accetti, i vicini di casa più…intimi, qualche “anziana”abitante del quartiere dove risiedevano i novelli nubendi  che non si perdeva mai nessun matrimonio!

Gli abiti degli sposi di allora non erano molto diversi da quelli di oggi: vestito bianco per la sposa, ma anche a volte color ocra; completo “nuovo di zecca”, o “riciclato”  dal proprio matrimonio per gli invitati maschi: grigio o blu, ma andava di moda, specie tra i contadini e pastori, anche il meno nobile marrone e, agli inizi del secolo, i pantaloni alla zuava che specie tra i nostri “terrazzani” venivano utilizzati anche come abiti “buoni” per queste occasioni. La cravatta, spesso non proprio intonata, era  corta tanto da fermarsi a livello dell’ombelico.

L’abito della sposa invece, seppure meno appariscente di quelli di oggi, era molto ben fatto: di organza o seta, spessissimo, specie tra i meno abbienti, ma anche tra i più ricchi, aveva il grande valore di essere stato fatto a mano dalla sposa stessa, dalla mamma oppure dalla nonna. Alcuni di questi abiti hanno acquistato oggi un valore grandissimo perché interamente  personalizzati, cuciti e ricamati a mano.

Anche i veli per le confettate erano preparati dalla famiglia che partecipava in tutta la sua comunità a questo evento dandosi da fare,ciascuno per quel che sapeva e poteva,alla buona riuscita.

Molte volte le bomboniere venivano create in casa lavorando “di ferri e uncinetti”  per  creare piccoli contenitori coloratissimi, dalle forme più varie ma in modo che potessero contenere i confetti. Mia nonna preparò personalmente all’uncinetto (era molto brava e per molti anni lavorò anche per un famoso negozio di Foggia, la Phildar, ricamando copertine, lenzuola, cestini, centrini, bavette ecc) le bomboniere ed i fazzolettini tutti coloratissimi per il matrimonio dei miei genitori e i fazzolettini (che erano dei veri e propri centrini bellissimi) in occasione del matrimonio mio e di mia sorella.

Tuttavia non sempre c’era l’usanza delle bomboniere; talvolta al termine della cerimonia gli sposi passavano tra gli invitati con il vassoio “buono” di famiglia, sul quale venivano messi i confetti e con un cucchiaio ne dispensavano un certo numero agli astanti.

Il fotografo, fornito, agli inizi del secolo, della famosa macchinetta “a fuoco” poggiata sul treppiede e più avanti delle prime macchine fotografiche con i “rullini” che ogni tanto bisognava sostituire e l’immancabile flash, immortalava i momenti più belli, ma senza  esagerare con centinaia di foto, come si usa oggi (oltre ai cd,dvd,ecc.ecc). Il primo momento commovente (l’altro sarebbe stato quello in chiesa durante la celebrazione religiosa) era, per i genitori degli sposi, le foto che si facevano in casa  intorno al tavolo della stanza “buona”, che si apriva solo in “rare” occasioni, con il suo pavimento di marmo tirato a  lucido che ci si poteva specchiare. Era la prima foto ufficiale della sposa o dello sposo in abito nuziale. La sequenza fotografica aveva una gerarchia ben precisa: prima lo sposo o la sposa da sola, poi quella con la o le nonne, dopo con i genitori, infine anche con fratelli e sorelle.

Dopo le foto accedevano alla casa i vicini e quanti non avrebbero partecipato alla cerimonia, ai quali venivano offerti dolci (paste secche, biscotti fati in casa) e liquori, sempre casalinghi, che facevano bella mostra di sé sul tavolo insieme ai regali ricevuti dagli spose e come ho già detto, il corredo “esposto”. E’ inutile dire che le liste di nozze erano ben  al di là da venire  e perciò i “duplicati” dei regali non mancavano, anche se in genere, tra mamma e suocera, si cercava di spargere la voce tra gli invitati su quale fosse il regalo più utile o necessario agli sposi. Si  tenga peraltro presente che non erano rari i casi, anzi tutt’altro, in cui gli sposi sarebbero rimasti ad abitare  nella casa materna o paterna; vuoi per motivi economici, vuoi perché il nuovo nucleo familiare stava ancora finendo di costruirsi la propria casa che veniva su un po’ alla volta, quando i soldi lo permettevano, vuoi anche perché a volte le case di famiglia, specie di quelli benestanti, erano molto grandi, se non dei veri e propri palazzotti e permettevano l’abitazione di più persone.

Dopo le foto, il padre prendeva la sposa sotto il braccio e si formava un vero e proprio corteo che, a piedi (il tempo delle auto verrà più tardi), si incamminava verso la chiesa.

Durante il tragitto, proprio come una processione, al corteo nuziale si aggiungevano altre persone,  mentre dai lati della strada si applaudiva al passaggio degli sposi e si lanciavano confetti e l’immancabile riso.

Il corteo si riformava subito dopo la cerimonia in chiesa e l’immancabile foto sulla scalinata con tutta la parentela, per avviarsi verso la “sala” dove si sarebbe tenuta la festa. Durante il percorso, specie nei quartieri storici e quelli più vecchi di Foggia, poco e spesso bisognava fermarsi perché gli abitanti  ponevano un nastro bianco all’estremità della strada che gli sposi, incrociando le mani, dovevano tagliare. Era questa una forma di augurio molto in voga allora. Seguiva l’immancabile lancio di confetti e petali di fiori.

Dopo questo “tortuoso” ma “felice” percorso, si  giungeva dunque alla mitica “sala”….

Sino agli albori degli anni 60 la festa nuziale (il pranzo di oggi) si  faceva in apposite sale che venivano fittate per l’occasione. Non tutti però potevano permettersi la sala e in tanti, specie a ridosso delle due guerre mondiali e subito dopo di esse, tornavano a casa dove si festeggiava molto modestamente tra pochi intimi. In taluni casi, le persone che vivevano in bei palazzi signorili organizzavano invece la festa nei loro ampi saloni.

I nostri concittadini andavano dunque, chi poteva, in queste famose e oramai storiche sale.

Tutti noi  ricordiamo certamente, per essere stata una tra le più   famose, la sala EDEN, che si trovava sotto il mitico palazzo Antenozio, in Via Fuiani, poco prima del distretto militare.

Nella sala EDEN si sono celebrate centinaia di nozze: per esservi stati invitati o per avervi fatto la festa del proprio matrimonio, buona parte dei foggiani sono passati da lì;  anche perchè  la sala veniva affittata per altre feste: comunioni, battesimi, compleanni ecc. Oggi al suo posto c’è un garage!!. Oltre alla EDEN, c’era  VILLA MARIA, nei pressi di Piazza Padre Pio, alle spalle degli attuali giardini; di proprietà degli odierni  gestori del “Bar Delle Rose” e spesso proprio con Gianni Zingaro, uno dei titolari, ci soffermiamo ancora a parlare dei vecchi tempi e della loro sala dove ebbi tra l’altro il piacere di festeggiare il battesimo dei miei due gemelli, dei quali uno purtroppo prematuramente scomparso. C’era poi la sala De Filippo, in Viale Ofanto, nei pressi della corrispondenza con l’attuale Viale Michelangelo e, sul viale della Stazione dove, subito dopo la guerra e per una decina di anni ci fu  la SALA IMBRIANI. Molti anziani ricordano ancora la sala Majestic, a Viale Ofanto e la sala al piano interrato del Bar Haiti. Cerano poi le più grandi ed accorsate sale Sarti e Cicolella.

L’arredamento di questi luoghi, che erano degli ambienti molto grandi, era ovviamente quello di un tempo e rispettava le condizioni economiche del dopoguerra: dunque spartano ma molto ben tenuto; pulito, completo di tutto ciò che poteva bastare per i bisogni degli sposi di allora. Non crediate infatti che si facessero lussuosi banchetti. Questi si limitavano ai dolci, per lo più pasticceria secca, che veniva ordinata nei bar più famosi della città. Per chi poteva permetterselo, perché magari li produceva per la propria famiglia, si aggiungeva un taglio di salsiccia casereccia e formaggio del proprio allevamento. A volte  si potevano  ordinare al Bar Casiello le famose  cassate che venivano poste in contenitori di metallo ghiacciati e bisognava stare attenti a non prenderli a mani nude  perchè altrimenti queste si appiccicavano e per staccale era necessario mettere mani e contenitore sotto l’acqua.

 Il vino era quello di cantina; prodotto dallo sposo o da qualche parente e bagnava il rinfresco.

La solita torta e lo spumante (molto spesso era vino spumante, cioè fermentato e fatto scorrere in teli di sacco a forma di imbuto dal quale goccia a goccia scendeva il frutto delle viti) chiudevano i festeggiamenti. Quello che non mancava mai era la musica. Fisarmonica, chitarra o mandolino e tamburello, allietavano sino al pomeriggio gli invitati con balli, tarantelle, quadriglie e canzonieri. Il bello di queste feste era che davvero tutti si stringevano agli sposi i quali erano sempre al centro della festa e, come si direbbe oggi, parafrasando una nota pubblicità: “tutto ruotava intorno a loro”

Solo sul finire degli anni 60 qualche sala cominciò ad attrezzarsi per preparare dei rustici, un pò di pizza e qualche primo piatto caldo ma sempre di modesta entità e pretesa. Per esempio il 7 marzo 1964 in occasione delle nozze di Rossana Pecorella e “Giacchino” Alfonso, al Sarti  furono serviti, una delle prime volte, i timballetti al forno. Erano comunque i segni dei nuovi…albori che avrebbero visto in poco tempo la nascita delle moderne super attrezzate sale da ( …multi)ricevimenti nelle quali, seduti in 6,8 o anche 10   intorno a vari tavoli, si tengono oggi interminabili pranzi che, se non fosse per la foto di rito o per il “passaggio” degli sposi, preoccupati di sapere se tutto vada bene, ci farebbero persino dimenticare che stiamo partecipando ad una grande festa. Questo è senz’altro al passo con la modernità ma pagando ad essa, a parer mio, lo scotto di quella sana semplicità ed armoniosità dei matrimoni di una volta.

(Salvatore Aiezza)