I racconti di un nonno
Racconto di Manlio Croce, nato a Foggia il 28.01.1926 raccolto dal nipote Angelo Mauro Albanese e messo a diposizione di questo sito dall’amico Gianni Ruggiero
Vi racconto una delle giornate più terribili per la città di Foggia, così come l’ho raccolto da mio nonno.
Quel giorno del 22 Luglio del ‘43 lavoravo come meccanico nell’officina della Unione Serbatoi, situati all’epoca più o meno dove ora si trovano gli uffici dell’Amgas. Lì facevamo la manutenzione dei serbatoi da 75q che si alloggiavano a coppie sui vagoni per trasportare il vino lungo le ferrovie italiane. Io avevo 17 anni e noi operai eravamo tutti ragazzi che si finì col diventare tutti amici, così era prima.
Eravamo quindici quella mattina quando vedemmo le fortezze volanti arrivare da sud lungo la linea dei binari; erano tante, quel rombo inconfondibile, ..e già sganciavano bombe.
Già ad Aprile aerei ci studiavano di notte e poi i bombardamenti di Maggio e Giugno non potevano rimanere solo episodi, così pensammo di scavare un rifugio vicino a dove stavamo lavorando. Ma non pensavamo veramente di doverlo utilizzare. Eravamo quindici e quando quella mattina arrivarono gli aerei, i primi cominciarono ad urlare invocando il nome della loro Madonna ed ognuno prese una sua direzione diversa. Correre, bisognava correre veloci e nascondersi dove era possibile. Inutile dire che il nostro rifugio rimase vuoto.
Il rumore non ve lo so spiegare, sembrava che la città si dovesse spaccare, aprirsi in due e inghiottirci tutti. Tutto tremava e scoppiava. Io dovevo raggiungere via Piave, dov’era casa mia ed allora corsi, corsi veloce. A casa c’erano mio padre, mio fratello più piccolo e qualche parente, perché tutti gli altri erano sfollati ad Almenno San Bartolomeo (BG), qualcun altro invece era già a Milano dove avevamo dei parenti.
In via Piave c’era la casa paterna, il palazzotto che mio padre e noi figli avevamo costruito con le nostre mani; non credo di potervi dire a cosa pensassi, credo che come tutti, in un frangente come quello, fossi guidato da un primordiale istinto di sopravvivenza, automatico: raggiungere casa ed in fretta. Ho corso, corso veloce; ho visto di tutto, come ve lo racconto? Non c’era più nulla, eppure voci, urla, polvere, fumo, fuoco, caldo, morti ovunque. Non c’era vetro di finestra intatto: olio, acqua, gas, scintille e fuoco in una mattina già caldissima delle nostre. Quando sono arrivato a casa le due estremità della facciata erano state centrate da due bombe. Mio padre mio fratello erano lì con delle zie. Io ero sano e salvo, illeso ma sporco di sangue fino alla cintola …ma quel sangue non era mio !!
Un vero e proprio inferno. Era rimasta solo la disperazione, la desolazione, lo strazio e gli Spitfire che sventagliavano con le mitragliatrici la città sopravvissuta che scappava. Quelli della Caserma Miale erano scappati in villa e senza riparo erano andati incontro alla morte.
Poi subito con vanghe, martelli, secchi, ognuno cominciò la pulizia della propria casa, delle sue cose. Ci si aiutava tutti per quanto era possibile; le lacrime, la puzza, sia andava in cerca di parenti, di amici, si andava qui e là, si vagava dove si poteva, le macerie bloccavano totalmente alcune strade. Mi ricordo due cavalli davanti ad una abitazione a pian terreno, immobili, due statue, morti ritti sulle zampe, li spinsero e caddero a terra come fatti di legno. La stazione era un groviglio di distruzione, buchi enormi, fumo e fiamme, tanti vagoni della sussistenza bruciavano; semi ovunque, e brandelli di qualsiasi cosa. I cibi in scatola nei vagoni incendiati che scoppiavano all’improvviso e si sussultava impauriti, nessuno prendeva nulla, si lavorava.
Lavarsi, cibarsi, vivere non era possibile, si faceva, si andava avanti. A fine Luglio eravamo tutti sfollati a Milano, ma da lì inizia un’altra storia.