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I ricordi di un bambino

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Ricevo e pubblico volentieri una preziosa testimonianza del mio caro amico Raffaele Fujani, foggiano ormai “esule” da anni a Milano:

Caro Alberto,

l’ultimo aggiornamento sui terribili bombardamenti “liberatori” del ’43 mi hanno fatto fare un salto nel passato.

Avevo quasi sei anni allorquando cominciai ad assistere a quella rappresentazione di morte e ricordo moltissime cose.

Abitavo in via Francesco Crispi al 112 e mi trovavo sul balcone prospiciente via Capozzi, di fronte alla chiesa di San Michele ed il mio sguardo si perdeva lontano, tra i campi coltivati che si trovavano alle spalle della chiesa, quando sentii un sordo boato e vidi apparire all’orizzonte un fungo nero laddove, poi mi dissero, c’era il campo di aviazione Gino Lisa. Fui scosso da questo episodio e chiesi a mio padre cosa fosse accaduto. La risposta fu “ è la guerra “!

Il giorno dopo sentii del trambusto in via Capozzi, mi affacciai al balcone e vidi transitare a bassissima velocità un camion, privato delle sponde laterali sul cui pianale vie era una bara avvolta dal tricolore sabaudo ed un uomo seduto di spalle alla cabina di guida si sbracciava e gridava il suo dolore. Bandiera, bara,dolore,caldo e sudore saranno i temi ricorrenti per quella terribile estate foggiana.

Nei pressi di via La Fede – via Risorgimento era stato costruito un ricovero ( parola impropria per indicare solo un paraschegge ) che era rappresentato da un lungo e profondo fossato a forma di esse, ricoperto da  un muretto di mattoni che terminava ad arco. Nella mente dell’architetto le schegge che avessero colpito il rifugio sarebbero state sparate lontano per via della curva del tetto. E se cadevano le bombe? Pazienza, la cosa non era prevista!!

Quando suonava l’allarme, sempre all’ora di pranzo, si toglievano i tegami dal fuoco di carbone, si prendeva una bottiglia di acqua ed una pagnotta di pane e si correva al ricovero lasciandoci inghiottire dalla sua buca alquanto profonda. Qualche volta si riemergeva al suono del cessato allarme e qualche altra volta si restava li sotto in attesa della bomba.

Il ricovero era a forma di “esse” e ad centro della parte superiore cadde una bomba facendo 19 morti, mentre io e la mia famiglia che eravamo nella parte inferiore del ricovero fummo risparmiati per pochi metri dal momento che un’altra bomba, cadendo così vicina all’entrata del ricovero, fece un cratere profondissimo il sui confine era appunto l’entrata del ricovero stesso. Ricordo che uscimmo a stento correndo il rischio di cadervi dentro.

Ricordo anche un bombardamento notturno. La mia famiglia era nel ricovero e la gente continuava ad entrare. Quando si apriva la porta si vedeva della luce e mio padre gridava di spegnere le lampadine che pensava fossero nelle mani delle persone giusto per non inciampare.

Non erano lampadine, ma bengala dei bombardieri che avevano illuminato a giorno la città per meglio colpirla.

La nostra parte del rifugio era sotto la protezione della Madonna dei Sette Veli e mio nonno vi portò un quadro che bene in vista dava conforto e coraggio a tutti noi. Si pregava sempre e si cantava il Salve Regina. Nei momenti di silenzio ricordo che io stesso intonavo questo canto e nonostante fosse il canto di un bimbo di sei anni, tutti i “ ricoverati “ riprendevano a cantare forse per farsi coraggio.

Foggia era ridotta ad un ammasso di macerie, la stesso palazzo in cui abitavo venne abbattuto per metà risparmiando la mia abitazione.

Non appena i “liberatori” ci liberarono, terminando la mattanza, a casa nostra si presentò l’interprete che ci disse che avevamo due ore di tempo per abbandonare la casa che serviva ai militari. Alle nostre rimostranze ci fece capire che non c’era niente da fare. La stessa scena si ripeté per altre tre volte ed alla fine andammo ad abitare in via Capozzi 54 con altre tre famiglie ovviamente nella stessa abitazione. Vi erano quattro stanze,una cucina ed un bagno. Ogni stanza una famiglia di quattro persone e nella piccola stanza che era rimasta vuota, per modo di dire, vennero accatastate tutte le suppellettili delle tre famiglie.

Un bel giorno arrivò il famigerato interprete che ci disse che se non fossimo stati generosi ad ospitare due ufficiali dell’aviazione americana avremmo dovuto abbandonare anche questa casa.

Sgomberammo alla ben meglio la stanzetta, approntammo due lettini e consegnammo il tutto a Max e John ( sì, si chiamavano proprio così ).

Due persone perbene,ci portavano regalini e vettovaglie dal loro accampamento e ci dissero che erano piloti dei bombardieri e che avevano ricevuto l’ordine di effettuare tante ondate di bombardamenti pari al numero della data del giorno. Dopo averne fatte alcune, vedendo la distruzione procurata, delle 19 ondate, sedici le buttarono a mare nel golfo di Manfredonia. Non si sentirono di maramaldeggiare!

Una volta però Max venne portato a braccia a notte inoltrata perché ubriaco fradicio e gli assistenti lo deposero sul suo letto e se ne andarono. John già dormiva, ma dopo un’oretta dalla stanzetta si senti gridare, conati di vomito e richiesta di aiuto da parte di John. Ci alzammo, mia madre aprì la porta della cameretta e vide un lago di vino e Max che nuotava all’interno. Mia madre pensò che fosse arrivato il momento della vendetta,quello del riscatto delle popolazioni distrutte e non ci pensò più due volte. Andò in cucina, prese il bastone col quale lavava per terra ed attinse Max con una gragnola di colpi inferti con la forza dell’angelo vendicatore. Con le altre donne ripulì la stanza e con l’aiuto degli uomini John raggiunse il suo giaciglio.

Al mattino seguente il malcapitato non si capacitò delle numerose ammaccature ed attribuendole alla notte brava chiese umilmente scusa e tornò al suo accampamento.

Finita la guerra tutti noi ringraziammo Iddio per la salvezza e cantando e salmodiando prendemmo parte a tutte le innumerevoli processioni che ogni parrocchia organizzava, Altri tempi !

Un abbraccio

Lello