Il gatto del Municipio
Questo è il titolo di un gustoso, divertente e, per altri versi, attuale episodio (il perché lo vedremo in seguito) che Arturo Oreste Bucci (Foggia 1879-1967 giornalista ed autore di testi di interesse locale) ci ha consegnato in “Vecchia Foggia – Tutto non è ancora travolto” dato alle stampe il 25 novembre 1965, quinto volumetto di una collana con la quale il Bucci ha consentito di far arrivare fino a noi una serie di “quadretti”: fatti, personaggi, eventi ed avvenimenti, vita comune della Foggia di una volta.
E veniamo al “gatto” di cui Bucci così racconta:
“Ciò che, questa volta, vado rievocando, fa parte della cronaca cittadina di circa settant’anni fa (dovremmo essere intorno al 1895 NdA); allorché il Municipio aveva la sede nell’antico Palazzo Arpi.
In quegli anni ebbe grande successo, entrando nell’uso comune, la frase “sembra il gatto del Municipio” che indicava voracità e illecita bramosia di lucro; frase, qualche volta, ancora adoperata, ma senza che dai più si conosca l’origine e il significato.
Si era ai tempi in cui i Partiti d’ordine non erano costituiti ed inquadrati secondo l’attuale ordinamento amministrativo, organizzativo e propagandistico.
Qui da noi, come altrove, le forze monarchico-costituzionali erano divise in due grossi raggruppamenti – continuamente in contrasto – guidati da pochi esponenti delle due correnti. Motivo per cui era frequente vedere gli aderenti – unicamente per protestare contro un torto ricevuto, una mancata raccomandazione, un favore non ottenuto – passare con la massima semplicità, da un settore all’altro.
Dei giolittiani, chiamati liberali o progressisti, ma più comunemente dagli avversari “unghie lunghe” era capo l’On. Pietro Castellino, che nelle precedenti elezioni politiche aveva sconfitto il conservatore On. Eugenio Maury.
Per ritorsione ai demo-costituzionali era stato dato il nomignolo di Vicci, cioè buoni soltanto a pavoneggiarsi come tacchini, ma di scarsa capacità e attività; specialmente durante il periodo elettorale, in cui occorreva essere abbastanza abili e furbi nella pastetta.
Il Municipio, del tempo in cui mi occupo, era amministrato dai liberali, fatti segno ad ogni controllo – palese ed occulto – da parte degli oppositori; i quali a mezzo di un impiegato, fedelissimo Viccio, vennero a conoscenza di un comodo e facile sistema di prelevamento di fondi dalla Cassa comunale, adottato da un amministratore; prelevamento che giustificava con buoni su pezzi di carta, recanti la sua firma e vistati dalla Ragioneria, motivati da spese per “alimenti al gatto del Municipio”.
La sensazionale notizia del giochetto, così poco pulito, pervenuto alle orecchie dei vicci, fu tenuta gelosamente custodita, allo scopo di renderla pubblica durante il periodo delle lezioni amministrative che si avvicinavano; in modo da far scoppiare la scandalosa bomba nel momento più delicato della lotta per la conquista del Comune.
Iniziatasi, infatti, la lotta elettorale, con comizi pubblici, edizioni straordinarie di giornali, affissioni di manifesti, una sera in un affollatissimo comizio – per il quale vi era stata una speciale, intensa preparazione propagandistica – l’Avv. Ettore Valentini denunciò quanto si verificava al Comune, esibendo la prova con i documenti firmati dall’Amministratore.
Inutile descrivere la enorme impressione che ricevette la folla degli ascoltatori, i quali dopo qualche minuto – quasi vi fosse stata una preventiva intesa – cominciarono a miagolare, imitando il verso del gatto.
Sciolto il comizio se ne parlò fino a notte inoltrata, formandosi, ovunque capannelli di persone che commentavano, in senso, certamente, non benevolo.
Entrò così da quella sera, nell’uso comune, la frase: “sembra il gatto del Municipio” che come si è visto, significava avidità e disonestà.
E’ ovvio aggiungere che “il gatto del Municipio” fu il tema di tutti i comizi delle altre poche sere che precedettero le elezioni.
Lo scandalo esercitò una grande influenza sull’opinione pubblica, e valse ad assicurare la vittoria ai vicci, i quali insediati nel Palazzo Arpi, restarono ad amministrare la città fino al 1920; quando si costituì il blocco delle forze libero-costituzionali.”
Qui finisce il racconto del Bucci, e mi tocca spiegare il perché di quell’ “attuale” iniziale. Prima mi chiedo: quanto si poteva spendere all’epoca per “far mangiare il gatto” tutti i giorni? Quindi mi rispondo: ammesso per ipotesi che allora come ora fosse in corso l’euro, con un euro, un euro e cinquanta si poteva acquistare un buon quantitativo di macinato misto o dei croccantini (ma allora no c’erano!) che in due porzioni giornaliere permettevano al gatto di leccarsi i baffi per tutto il resto del tempo.
E’ facile qui far due conticini per vedere a quanto ammontava la spesa per un anno, due, anche cinque. Riportando all’ “attuale” dei nostri giorni, e volendo per un solo attimo accostare la spesa per gli “alimenti al gatto del Municipio” alle cifre della corrente discussione sull’ipotetico “dissesto del bilancio comunale”, riesce veramente difficile addossare, questa volta, la colpa ad un solo “gatto”, nel nostro caso si tratta certamente di un famelico e numeroso branco di “leoni”!
Certo, qualcuno dirà: “mondo è, mondo è stato e mondo sarà”, ma il fatto che chi si “lecca i baffi” fa parte sempre del mondo dei felini, oltre ad una riprova, è anche una novità. Perciò penso che il lupo, con riferimento all’agnello, e la balena, con riferimento a Pinocchio, possano essere assolti, se non guardati con un poco di indulgenza.”