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Il mercato della frutta

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Il nostro mercato rionale di frutta e verdura era, ed è, un emporio a cielo aperto.

Il mercato della frutta di via Rosati

Il mercato della frutta di via Rosati

Negli anni che racconto, le bancarelle non erano rimosse dopo la chiusura del mercato, ma rimanevano sulla via, che era così tenuta in ostaggio da anni: monumento dedicato all’approssimazione amministrativa ed al potere della ragione della forza.
Terminata la vendita, le bancarelle venivano impacchettate con teloni a contenere la merce non venduta, che rimaneva così pronta per il giorno dopo. La merce, con i rifiuti accumulati nella mattinata, diventava oggetto di attrazione dei ratti di tutta la città, che popolavano così un quartiere parallelo a quello che abitavano gli umani.
Il connubio uomini topi era fatto di regole non scritte, ma rispettate con raro senso civico per la mia città, una, quella più essenziale, stabiliva i tempi della presenza tra le bancarelle del mercato: quando c’erano gli umani non potevano esserci i topi, questi ultimi avevano, poi, campo libero dopo l’impacchettamento delle bancarelle.
A bancarelle chiuse i topi uscivano in comitiva per la via del mercato, costituendo attrazione turistica quale monumento al degrado ed alla sciatteria di una città e della sua classe dirigente.
Addetti alla vigilanza ed al rispetto delle regole erano deputati i ragazzi, che, con solerzia degna di miglior causa, dovevano dare la alla caccia a quei topi riottosi al rispetto rigoroso dell’alternarsi della presenza tra uomini e topi tra le bancarelle del mercato.
Le cacce, in verità abbastanza frequenti, si susseguivano con alterne fortune : ogni successo determinava per il fortunato cacciatore l’inserimento nell’albo degli eroi, riconosciuti difensori dell’integrità del quartiere, contro i contravventori del vivere civile tra la comunità degli umani e quella dei topi.
Le regole sono regole e vanno rispettate, uomini o ratti che si sia!!
La sera, poi, sparivano uomini e topi e tra le bancarelle prendevano la scena “i guardiani”.
I guardiani appartenevano ad una genia particolare: non umani e neppure topi, ma rispettati e temuti dagli uni e dagli altri.
I “guardiani”, spinti da raro spirito altruistico, avevano convinto i commercianti della necessità che le mercanzie restassero sul posto, già pronte per il giorno dopo, ad evitare inutili strapazzi e fossero preservate dai malintenzionati che, in mancanza di controlli, potevano approfittarsi di mele, pere e , dio non voglia, di un cespo d’insalata.
Tutto questo veniva assicurato con un prezzo modico e con la libertà per i “guardiani” di profittare delle mercanzie coperte dai teloni.
Complice la presenza di ogni ben di Dio conservato sotto i teloni e la teglie che il vicino forno “offriva” ai guardiani, il mercato diventava la notte una grande “tavolata” e punto d’incontro di perditempo, di ogni risma e di ogni età.
Il luogo diventava cenacolo di cultura e cottura!!!
Arrivavano personaggi riconoscibili da soprannomi improponibili, e la compagnia si attardava in racconti di vita e di malavita.
I racconti avevano un fascino particolare perché fatti dagli attori principali che, complice la presenza di noi “studenti”, abbellivano gli eventi che avevano vissuto con la “forza etica” del loro punto di vista.
A questi cenacoli erano ammessi alcuni “studenti”, perditempo nottambuli nelle torride serate che la nostra città riesce ad offrire ai suoi abitatori durante l’estate, ed in particolare a quelli chi tornavano per le vacanze dalle sedi universitarie.
Questi ultimi, in verità molto, ma molto pochi, pur preparandosi alla scalata sociale erano lo stesso figli del quartiere, senza se e senza ma, come si direbbe oggi.
Quelle serate erano, a loro modo, delle vere lezioni di vita, e ad ogni di fine serata c’era da trarre un insegnamento.
Una sera uno dei “custodi”, con un soprannome che faceva riferimento ad un suo difetto fisico, accettato tra i custodi per spirito solo di solidarietà, non avendo da esibire grossi “meriti” per appartenere alla “società dei custodi”, mi chiese quanti anni di studi avessi fatto fino a quel momento.
Fatto un rapido calcolo, con una punta di orgogliosa vanità ed un tantino di supponenza gli diedi la risposta.
Nella mia visione delle cose mi aspettavo, nel mio tronfio orgoglio, una risposta di ammirazione e rispetto per tutte quelle ore trascorse dietro una scrivania ad accrescere le mie conoscenze, ma la mia aspettativa rimase delusa.
Il “guardiano”, guardandomi con il solo occhio che aveva e che spiegava la genesi del suo soprannome, con in suoi canoni di riferimenti mi disse, ammirato si, ma non per le mie motivazioni, che con tutti quegli anni avrei tranquillamente già scontato una condanna per omicidio preterintenzionale.
Quella risposta, quella sera, mi fece capire tutto sul relativismo !!!

(Salvatore Onorati)