Il mio quartiere
“I ricordi non muoiono mai, stanno con noi..” Così dice una bellissima canzone di Amedeo Minghi.
Ed è la stessa emozione che mi ha spinto a scrivere il mio primo libro “Foggia, Stazione di Foggia” intriso, appunto, di ricordi e spezzoni di vita del nostro recente passato.
Dopo aver letto il libro, molti mi hanno chiesto e ricordato di tanti altri momenti belli e tradizioni legate agli anni della nostra adolescenza; alla famiglia; al quartiere, alla nostra città che meriterebbero di essere raccontate. Per questo, desiderando ringraziare i lettori e per tutti i miei concittadini, spero di fare cosa gradita a tutti i miei raccontando questi altri “scorci” e “sguardi” sul nostro passato, ricordando sempre, che ciascuno di noi può, in ogni momento, “aprire” i “cassetti della memoria” che celano e custodiscono gelosamente il passato e tornare, almeno per un attimo, indietro nel tempo.
“I negozi alimentari di una volta”
Iniziamo dunque questa, breve, passeggiata nel passato, partendo da qualcosa alla quale, come ho avuto modo di capire dalle tante segnalazioni ricevute, siamo ancora tutti legati. I mitici formaggini Tommy; i cremini e le “sigarette” di cioccolato o di gomma da masticare, le caramelle “golia e le “mou”.
Negli anni 60 e 70 i negozi di generi alimentari che avevamo sotto casa e i cui titolari conoscevano oramai a memoria le abitudini delle famiglie del quartiere e le loro “preferenze” gastronomiche, mettevano vicino alla cassa o sul banco di esposizione , in bella mostra, le scatole contenente dei buonissimi triangoli di cioccolato (surrogato!) con le noccioline tritate che facevano impazzire i bambini. Ma anche i grandi! Io andavo spesso a comperare qualcosa al negozio sotto casa e, naturalmente, con il resto, oltre a farci un po’ di cresta ( ma le mamme lo sapevano bene e per questo ci mandavano) comperavo i formaggini. 10 lire ciascuno, il costo. Li mangiavo in un sol boccone e rimanevano i segni del “misfatto!” perché ci sporcavamo l’angolo della bocca; i denti erano “testimoni” a nostro sfavore perché le noccioline vi si attaccavano; anche l’alito ci “condannava” inesorabilmente. Insieme ai formaggini c’erano i contenitori di caramelline tonde alla liquirizia, le golia. Con 10 lire se ne potevano avere 10; lo stesso per le caramelle mou, bigusto: metà al latte, metà alla liquirizia. Piacevano molto, a noi, ma anche ai dentisti che dovevano poi curare le nostre carie…
Le sigarette di cioccolato e gommose erano invece rinchiuse in veri e propri pacchetti come quelli delle sigarette e avvolte in una carta velina che occorreva togliere, ovviamente, prima di mangiarle. Facevamo i “gradassi” imitando gli adulti che fumavano, con la differenza, molto importante, che quelle nostre non procuravano danni.
Nei negozi faceva quasi sempre bella mostra di sé la mitica “Mucca Carolina” o la Susanna , che si vincevano con la raccolta delle etichette dei formaggini; erano gonfiabili e di diversa grandezza. Intorno a questi oggetti, nacque anche un modo di dire tra ragazzi. Sovente, a chi credeva di aver realizzato chissà quale cosa e se ne vantava con gli amici, si rispondeva: “Bravo, hai vinto la mucca Carolina!”. Nel periodo che stiamo esaminando, quello del pieno boom economico, le ditte non badavano a spese e buna parte degli alimenti per bambini regalavano qualcosa. I formaggini mio, per esempio, in doppia confezione, regalavano delle card la cui immagine cambiava secondo di come la si muoveva. Anche ingombranti fustini di detersivo per la lavatrice.
In bidoni di forma cilindrica pesanti 3 o 5 kg , regalavano varie cose; anche orologi, macchinette fotografiche ecc.
Sui negozi di genere alimentari degli anni che vanno dal 60 sino all’80, e’ il caso di dire due parole.
Ogni quartiere ( dei quali parlerò di qui a poco) aveva i suoi alimentari di riferimento e, in ciascun quartiere, tra i vari negozi, c’era sempre quello più fortunato che aveva più clienti dei concorrenti.
Tutti ricorderete certamente le insegne che avevano: “Drogheria”, “Minimarket”, “Supermarket”, “Salumeria”, “Bottegone”, il classico: “Alimentari da…(seguito dal nome del titolare)” a volte riportavano i generi venduti: “Latteria”, “Pane e pasta” e così via. Ma oramai noi eravamo abituati a riconoscerli per i nomi del salumiere ( che era anche il titolare, commesso, cassiere ecc…). Molti di noi ricorderanno ancora come, negli anni della nostra infanzia, prima dell’avvento dei nuovi negozi e delle severe norme sanitarie, nazionali ed europee, che gran parte delle tradizioni hanno fatto perdere, esistevano ancora a Foggia, (in provincia sarebbero durati ancora per diversi anni) gli “alimentari” con gli arredamenti tipici di quel tempo. Un grosso banco per tagliare il pane e, dietro, un grande mobile in legno con gli scaffali per il pane stesso, per i salumi e tanti cassetti. Cosa c’era in quei cassetti? La pasta, cari ragazzi di oggi. A quel tempo, infatti, la pasta, come pure i biscotti da latte, si vendeva a peso, su richiesta. I negozianti la riponevano, sfusa, nei cassetti, secondo il tipo: rigatoni, spaghetti, ziti, pastina da brodo ecc. Ciascuno ne comperava la quantità di cui aveva bisogno. La stessa cosa avveniva per la cioccolata spalmabile ( nutella di oggi) e la marmellata, in particolare la cotognata. Anche questi alimenti si vendevano a peso e il negoziante la prendeva da grossi contenitori in vetro e la riponeva sulla carta oleata che poi avvolgeva e ci consegnava: 50 lire di nutella, 20 lire di marmellata ecc.
Un omaggio va doverosamente fatto alla mitica signora “Rosa, o Rosetta, per alcuni” la titolare del forno che faceva, io credo in assoluto, la pizza al taglio più buona di Foggia. Si trovava alle spalle delle poste, vicino al dopolavoro, all’angolo in uno dei locali dove oggi c’è Montepeloso. La signora Rosa aveva due grandi prerogative: una,quella di fare una pizza fantastica; alta al punto giusto, croccante, ben cotta. L’altra, quella per la quale si conquistava la simpatia di tutti, era il suo modo di comportarsi. Prendeva a cattive parole noi avventori, a volte ci cacciava anche, gridava se parlavamo e, secondo lei, davamo fastidio e, a volte, minacciava anche , ma senza mai ovviamente darle seguito. Era un carattere esuberante ma oramai era anche entrata nel “personaggio” e un po’ lo faceva apposta. La pizza si comperava a tranci o, anche, intera. la tagliava in grossi triangoli e se ne chiedevano 50 o 100 lire. Rosa l’avvolgeva nella carta oleata e ce la consegnava. Solo a ricordarla mi viene davvero l’acquolina in bocca. Inutile dire che la pizzeria era frequentatissima la mattina da quelli che marinavano la scuola o quando c’era qualche sciopero oppure se si usciva prima; insomma una meta obbligata per noi ragazzi.
Il vino e il latte erano venduti sfusi, prelevati direttamente dalle damigiane, il vino, o da grossi bidoni di latta con il coperchio a tenuta stagna per il latte. Il venditore con il mestolo riempiva le bottiglie di vetro che portavano le nostre mamme. In alcuni quartieri più storici di Foggia il “lattaio” passava ancora di casa in casa, la sera, annunciando il suo arrivo con il suono di una campanella. In molti casi le donne mettevano fuori dalla porta i recipienti per poi ritirarli la mattina con il latte fresco. Ben presto però arrivò sugli scaffali dei negozi di alimentari il primo latte imbottigliato. All’inizio le bottiglie erano di vetro rigato, trasparente, senza alcuna etichetta, se non qualche dicitura ( latte fresco, pastorizzato, scremato ecc) posta sul tappo stesso della bottiglia. Ma, causa i costi elevati di questi contenitori, fecero la loro comparsa i “tetrapak!” ossia i contenitori di cartone plastificato. I primi contenitori erano, come molti ricorderanno, di forma trapezoidali, davvero belli e contenevano il latte della “Daunia latte.” Oramai sono diventati oggetto da museo.
L’acqua minerale? Non esisteva. Ce la facevamo in casa con la famosa “idrolitica” . Erano delle bustine di una polvere che messa nelle bottiglie di acqua , le rendeva frizzanti.
Un ultimo omaggio, per chiudere questo capitolo dedicato ai negozi di generi alimentari, voglio farlo alle “storiche” bottigliette contenenti la “Gassosa” una bibita dolciastra, molto gasata, che per molte generazioni rappresentava, oltre l’acqua e il vino, l’unica bevanda disponibile ( dopo la guerra, arrivò la coca cola, ma la gassosa per anni conservò il primato nelle vendite delle bibite). Le bottigliette di gassosa erano bellissime. Io ne conservo ancora qualcuna. Erano in vetro, da un quarto e mezzo litro. Avevano strane foggie: di vetro rigato, ondulate, con il colo allungato e così via. Con la gassosa i nostri nonni erano soliti diluire il vino rosso. Io qualche volta lo faccio ancora e, vi assicuro che il risultato è ottimo.
Il Quartiere , ovvero “…U quartijr”
Foggia detiene un indubbio primato. E’ stata di certo l’antesignana della divisione della città in quelle che sono oggi le “circoscrizioni”. Non ci credete eh? Ebbene, dovete sapere che una volta finita la guerra e ripopolatasi la città, la successiva espansione urbanistica e il boom economico portarono rapidamente alla trasformazione dei suoi confini, che si allargarono sino a Via Bari, Via San Severo, Via Ascoli. Nacquero così tanti agglomerati come il CEP, Candelaro, Rione Serpente o nuova tangente, San Pio X, che si affiancarono al rione Croci, San Lorenzo, Stazione. Ciascuno di questi rioni o quartieri era una specie di feudo; una città nella città, dove, oltre alle regole generali valide per tutti i cittadini, occorreva rispettare anche le regole che vigevano al loro interno. In ogni quartiere c’era una specie di “capo” che insieme ai suoi fedelissimi faceva da bulletto e davano fastidio a tutti gli altri ragazzi dello stesso rione.
Nel quartiere si viveva dunque quasi in modo autonomo dal resto della città; infatti ciascuno aveva la sua Chiesa, la farmacia, il tabacchino, la macelleria, l’elettrauto, il market, l’immancabile bar e il circoletto dove si giocava a biliardo, a carte e si vedeva la tv. Era, in sostanza, una specie di Paesello, autonomo, che bastava a se stesso. La vita si svolgeva intorno ai luoghi che ho citato. Nella chiesa si davano appuntamento i “bravi” ragazzi del rione che facevano i chierichetti, partecipavano al catechismo, creavano gruppi di amici che si trattenevano nei locali della chiesa a suonare la chitarra oppure a giocare al ping pong, organizzavano, a volte insieme ai sacerdoti, delle rappresentazioni teatrali. Il bar era il luogo dove si riunivano i più “discoli” del quartiere. Quelli che non andavano a scuola, i c.d. “grezzotti” o “zannieri” o, anche, “ uagliunastr” che davano comunque fastidio a quelli che “loro” ritenevano essere i “bravi ragazzi” del rione e sul quale, sempre “loro!” esercitavano come detto, una specie di supremazia. Nel bar si fumava, giocavano al flipper, (quello che dava come premio altre palline da giocare e faceva uscire il tilt che ti fregava la partita..), giocavano a carte o a carambola e bevevano birra. Di tanto in tanto, passando davanti a qualche saracinesca a pianterreno si poteva ascoltare della musica (o almeno quella che sembrava essere tale) proveniente dal loro interno. Erano gruppi di amici (quattro o cinque) che avendo la disponibilità di strumenti musicali, mettevano su un complessino e si divertivano a passare i pomeriggi suonando. Di solito c’era un organo, la chitarra e la batteria. Per un certo periodo ho fatto parte anche io di una specie di questi complessi ma, non avendo nessuno di noi la batteria, decidemmo di “crearla” artigianalmente unendo due fustini di detersivo per la lavatrice ( i famosi dixan) e i coperchi leggeri delle pentole di rame che qualcuno aveva in casa per fare da piattino.
Un’altra caratteristica dei nostri quartieri erano i pianterreni adibiti ad abitazioni, un fenomeno sino a qualche anno fa molto diffuso e, in alcune zone ancora in auge. Decine e decine di famiglie abitavano a piano terra in locali di piccole, a volte medie dimensioni, composte quasi sempre da un grande unico vano che si provvedeva a dividere attraverso pareti di carton gesso o grossi armadi, in modo da ricavarne una parte anteriore da destinare a “giorno” con la cucina e una parte posteriore dove trovava posto il letto matrimoniale. C’è da dire che in questi locali le famiglie che vi abitavano erano di solito anche molto numerose sicchè, la sera, si trasformavano in una specie di dormitori. I marciapiedi adiacenti i locali terranei erano sovente occupati da una serie di oggetti che ovviamente non trovavano spazio nelle già anguste abitazioni. Così era un fiorire di armadietti di varie forme e colori, stendibiancheria, corde appese al muro, giocattoli dei bambini più piccoli (tricicli, girelli ecc). In più di una occasione ( sotto casa mia lo facevano due famiglie) la sera con pazienza incredibile, alcuni spostavano i mobili per fare spazio alla propria auto così trasformando la casa in garage! Aggiungeteci poi che la notte le saracinesche venivano abbassate per cui queste abitazioni diventavano anche pericolose in caso fosse stato necessario un repentino abbandono delle stesse. Naturalmente era necessario stabilire anche una specie di “patto” di civile convivenza tra chi abitava a piano terra e gli inquilini dei piani superiori. Erano urla e “gastemi!” quando dai balconi si lasciava cadere qualcosa, di certo inavvertitamente, per esempio l’estate, quando i bambini erano soliti stare fuori, oppure se “scolava” l’acqua dai panni stesi. Se qualcuno, molto educatamente, si limitava a citofonare e richiamare l’attenzione del “colpevole” al piano superiore, in molti urlavano dalla strada alzando la testa in direzione del balcone incriminato e si stabiliva un reciproco dialogo ( poco ortodosso) tra gli interessati.
Altra fonte di “tensione” nei rapporti sociali tra “quelli del pianterreno” e gli altri, erano i ragazzini che, da quando iniziava a fare buon tempo, cioè dal mese di aprile, sino all’apertura delle scuole ( llora avveniva il giorno di San Remigio, il 1^ ottobre) cominciavano a giocare a pallone sulle vaie strade del quartiere o sui marciapiedi ( quando erano abbastanza larghi). Inutile dirvi di quante pallonate finivano vicino alle serrande o alle porte dei terranei; uno dei giochi a rischio era la pallamuro. Questa si giocava in uno spazio di muro tra due pianterreni e consisteva nel fare rimbalzare la palla una sola volta a terra e poi contro il muro; immaginate quante volte la palla invece del muro prendeva le serrande o la porta del malcapitato..! La cosa peggiorava se l’abitante era qualche anziana vecchietta che iniziava ad inveire e non la smetteva più. Spesso peraltro e ad onor del vero, le povere anziane venivano prese di mira dai più “discoli” del quartiere che davano violenti colpi alle serrande facendole spaventare ed allora avevano ben ragione di dirgliene quattro.
Gli abitanti dei vari rioni erano molto gelosi del quartiere e questa gelosia a volte era positiva per cui ad esempio ciascun rione organizzava delle feste in occasione del Santo della propria parrocchia; feste che coinvolgevano tutto il rione e, volendo che la propria fosse più bella di quella di un altro quartiere, tutti erano ben propensi a contribuire. C’erano le luminarie, i concertini, ovviamente la processione, le bancarelle del torrone e della frutta secca e, di solito sul piazzale vicino alle chiese o nelle sue immediate adiacenza, si mettevano le giostre che, il più delle volte, erano le “tre” attrazioni direi “storiche: Autoscontro, seggiolini con l’immancabile peluche che, se raccolto, ti faceva vincere un altro giro e le giostrine per i piccoli. A volte invece il senso di appartenenza poteva creare dei problemi. Era il caso dei “bulli” del quartiere che non vedevano di buon occhio ragazzi di un altro quartiere frequentare il proprio, specie poi se volevano conoscere le ragazze del loro rione. Le rivalità a volte erano molto accese e non di rado finivano a botte tra i gruppi di opposti quartieri. Certo è che molti di noi avevamo davvero il terrore di andare, infatti non andavamo, in certi quartieri più che in altri. Ricordo per esempio che nel nostro rione, quello del Carmine nuovo, tra Via Luigi Sturzo e Viale primo Maggio dove oggi c’è il tribunale, avevamo paura di avventurarci il pomeriggio e la sera per Corso Roma perché quasi sempre i ragazzini che abitavano le case popolari all’inizio del Corso ci impedivano di passare, sfottendoci e, a volte, prendendoci anche qualche soldo o le sigarette, se qualcuno fumava e, non di rado, se alzavamo la voce, ci scappava qualche schiaffo. Perciò quella strada la facevamo solo quando eravamo sicuri di non essere soli (così la mattina per andare a scuola, oppure accompagnati dai grandi). Paura che invece non avevano i ragazzi “forti” e più maneschi del quartiere che, anzi, ci andavano apposta per cercare la lite. Allo stesso modo scappavamo a casa e lasciavamo immediatamente di giocare a pallone, quando ci avvertivano che stavano venendo “quelli del tal quartiere” per non farci “fregare” il pallone (minimo che potesse capitare).
Un ultimo aspetto “quartieristico” erano le comitive che al loro interno si formavano e con le quali si trascorrevano i pomeriggi o, l’estate, le serate a giocare, parlare, andare a passeggio oppure organizzare festicciole casalinghe. Tra queste comitive nascevano a volte grandi amori che durano ancora oggi. Le comitive erano in genere composti da ragazzi che abitavano nello stesso palazzo e quelli immediatamente adiacenti. Il primo che finiva i compiti o che, l’estate, si svegliava dal pisolino (a quel tempo era obbligatorio e “imposto” dalle mamme: il pomeriggio, l’estate si dormiva e basta! ) correva giu’ a citofonare agli altri amici invitandoli a scendere, col pallone! Per iniziare a giocare interminabili partite (la scartatella) sino a quando era possibile vedere qualcosa.
I servizi municipalizzati e l’austerity degli anni 70
A Foggia la vecchia azienda per la raccolta dell’immondizia si chiamava AMNU (azienda municipalizzata per la nettezza urbana) e a differenza di oggi funzionava benissimo. Alla raccolta porta a porta che facevano gli spazzini del tempo (ora: operatori ecologici) e che, chissà perché funzionava benissimo, pian piano si è sostituita quella meccanizzata e con i cassettoni per la raccolta. Anche i sacchetti per i rifiuti, neri, si andavano a prendere presso a sede dell’azienda. C’era sempre, come al solito, qualcuno che abusava e dopo qualche tempo cessò la distribuzione gratuita.
L’ATAF, invece era già sorta nella prima metà degli anni 60. I mezzi erano ovviamente pochi e per le esigenze della città e le circolari erano divise in “destra” e “sinistra” secondo il giro della città che facevano. Molto quotata era, negli anni 70, la numero 6 perché faceva un largo giro per le strade più importanti e passava per il centro; era molto utilizzata dalle mamme che con i bambini andavano alla Standa oppure si fermavano in Piazza Italia. A differenza di oggi, i biglietti si acquistavano sulle circolari. Entrando, dalla parte posteriore, c’era, seduto sul suo sgabello e in divisa di ordinanza, il bigliettaio che staccava i tagliandi per la corsa. Non si sfuggiva e i “portoghesi” non erano ancora nati…
2 dicembre 1973: è questa la data che a tanti foggiani, come a tutti gli italiani, è rimasta impressa nella memoria. Rappresenta la prima domenica di austerity per gli italiani. Le avvisaglie di un’economia negativa, la crisi petrolifera, la guerra del Kippur, la forte svalutazione, erano state le avvisaglie di quello che poi sarebbe diventato un provvedimento ineluttabile. Tutti a piedi o in bicicletta per decreto. In realtà, si trattò del primo grande trauma economico dell’Occidente dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Oltre a non poter circolare, i cinema chiudevano prima, la pubblica illuminazione alle 21 si spegneva, così come le insegne e tutto ciò che era fonte di consumo energetico. Ma le strade deserte di Foggia resteranno immagini indelebili. Corso Roma, Corso Giannone, Viale Ofanto, il viale della stazione e il Corso principale, improvvisamente senza mezzi che vi circolavano. Per tanti fu la riscoperta della città. Intere famiglie a passeggio liberamente, senza essere “prigionieri” dei marciapiedi; mezzi di trasporto “compatibili” che affiancavano le bici e che nascevano dalla fantasia dei nostri concittadini. Sidecar a pedali, carriole di tutti i tipi, improvvisati tandem, monopattini artigianali. Persino i cavalli e i pony tornarono a riempire le strade. Le domeniche, pur nella drammaticità dei momenti, erano diventati giorni di festa e tutti i bambini aspettavano per divertirsi. Anche Foggia subì quindi la forte crisi economica degli anni 70 e, al pari delle altre città, a causa della crisi monetaria che aveva indotto la Banca d’Italia a stampare banconote in quantità almeno dieci volte superiore alla moneta metallica rimasta invece stabile, ben presto tutti: cittadini e commercianti, si trovarono senza disponibilità di monete con le conseguenze, facilmente immaginabili. Era diventato impossibile dare il resto, comperare gettoni telefonici ( all’epoca c’erano solo le cabine telefoniche pubbliche) o tutto quello che si pagava in moneta da 50 e 100 lire. All’inizio si accettavano caramelle e simili in resto, ma quando la cosa cominciò a diventare pesante anche da noi fecero la comparsa i primi mini-assegni; degli strani biglietti colorati emessi dalle banche per conto dei commercianti che avevano il valore facciale e nominale di 50, 100 e 150 lire. Fu una vera manna per cittadini e negozianti che potevano tornare così a regolare i loro conti normalmente. Quei biglietti divennero poi veri e propri pezzi da collezione a memoria di quei giorni di crisi.
Riflessione finale
……Erano altri tempi, sembrano lontani secoli ma, in realtà, parliamo di 40 anni fa, neanche, quasi, una generazione. Vivevamo la nostra città con davvero tanta semplicità. Non avevamo ancora i cellulari, internet, facebook, twitter , i pood, portatile ecc, che ci avrebbero cambiato la vita facilitandocela, certamente, ma anche facendoci perdere il contatto con le cose vere, semplici, annullando quasi le relazioni umane. Eppure anche noi avevamo il Il nostro “facebook” primordiale, molti di voi lo ricorderanno, era il “muro” prospiciente il Bar Catalano all’angolo tra Corso Roma con Via Bari e l’angolo del Palazzo degli studi su Corso Roma. Lì si lasciavano i messaggi per gli amici, la ragazza, ecc; e lì si potevano leggere le risposte dei vari interessati. Era diventato un vero murales. Il Ragioniere del Bar Catalano se ne prendeva di rabbia e ogni tanto ne beccava qualcuno che stava lasciando il proprio messaggio…….
(Salvatore Aiezza)