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Il pranzo pasquale

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da. La Gazzetta del Mezzogiorno del 22 aprile 1973:

 

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“Immolati” circa quattromila agnelli – Pronti per il consumo oltre 200.000 uova e 1.500 quintali di frutta – Fra le leccornie al primo posto i tradizionali dolci fatti in casa

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Foggia, 21 aprile

Tutte le feste finiscono…a tavola. Anche la Pasqua naturalmente, non sfugge al richiamo gastronomico. Dice il proverbio: “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”. Può essere anche vero, ma in pratica la tradizione familiare, tenacemente radicata nelle abitudini della nostra gente, batte pure la saggezza antica del detto e conferma la regola del “non c’è gusto se non c’è sapore”.

pasqua3A tavola non si invecchia. Giusto. Tanto più se la “tavola” è spensierata, numerosa, arricchita dal calore della famiglia. L’allegria ed uno schietto bicchiere di vino nostrano fanno buon sangue; onorano il pranzo pasquale che profuma di consuetudine genuina ed odore di casalingo; condiscono di piacere festaiolo la lunga sfilata dei piatti tradizionali che, da generazioni, resistono al tempo ed alle raffinatezze della cucina elaborata.

Cosa mangiano i foggiani a Pasqua? Quanto spendono per il “pranzo della festa”? Le cifre, si capirà, non possono spaccare – come si dice – la lira o il chilo, ma è evidente che in questi giorni raggiungono valori iperbolici e toccano vertici record. Ovviamente è l’agnello il re del “boom” gastronomico pasquale. Si calcola che a Foggia, per il “banchetto” di Pasqua, vengano “sgozzati” circa quattromila teneri ed innocenti “capi”: uno sterminato gregge sacrificato sull’altare di un pantagruelico “rito della gola”. Ma è evidente che la frutta, gli ortaggi, le uova e tutti gli altri generi mangerecci durante la “settimana santa” attingono indici stratosferici.

Per la scorpacciata di Pasqua, infatti, “il movimento” ha raggiunto i duemilacinquecento-tremila quintali complessivi: di questi la maggior parte riguarda la frutta (circa 1.500 quintali), mentre la restante quantità è da dividersi fra le varie verdure ed ortaggi (cardi, patate, broccoli, insalate, carciofi ecc.), punte notevoli sono state registrate anche per gli altri alimentari: con buona approssimazione si può parlare di duecento quintali di carni diverse e di altrettanto smercio di salumi e formaggi. Per innaffiare con una certa… scorrevolezza, ma senza tuttavia alzare il gomito, l’abbondante pasto pasquale si calcola che occorreranno almeno 35 mila litri di vino: un “fiume” delle nostre generose viti che renderà più colorita ed euforica la tavola.

pasqua4Arance e mele vantano la preferenza tra la frutta. Per le verdure e gli ortaggi, il calcolo preferenziale è più difficile. Ma certamente le patate ed i cardi si accaparrano i primi posti in questa graduatoria del consumo tenuto conto che costituiscono la base dei piatti più tradizionali. Quelli della “minestra dei cardoncelli” e dell’agnello al forno. Ad ogni modo sono le uova che, a parità appunto dell’agnello, non temono concorrenza e battono ogni primato. Rappresentano, d’altronde, il simbolo della Pasqua ed entrano un poco in quasi tutte le “portate” del pranzo pasquale, e tanto più nei dolci fatti in casa. Un conteggio approssimativo indica in 200-250 mila uova il consumo per questa particolare festa: un numero che certamente rappresenta un quantitativo eccezionale.

Dai quintali ai milioni il passo è breve anche se molto oneroso. Il gusto della tavola costerà stavolta, coi tempi che corrono, parecchio; senza dubbio più degli anni scorsi. Per il “peccato di gola” della domenica di Pasqua a Foggia andrà in fumo una cifra aggirantesi intorno al mezzo miliardo. Tuttavia saranno soldi spesi bene. Perchè, diciamo, finiranno nella propria…pancia e, salvo gli immancabili abusi per i quali sarà necessario il solito cucchiaino di bicarbonato, diventeranno tutta salute.

Il “menù” pasquale dei foggiani, naturalmente, comprende per lo più “piatti” tipici, confezionati in casa. Si comincia con “u beneditt” (un antipasto di affettato di “soppressata”, uova sode, arance, limoni, ricotta e mozzarella), poi segue un “primo” composto da “i carduncill” (minestra di teneri cardi cotti nel brodo di carne e conditi con uovo battuto), quindi “a tiell o furn” (una pietanza di agnello e patate al forno), e la “scurzim” (frutta secca assortita). Chiudono il pranzo i dolci della tradizione: “a pizza ca’ ricott” (sfoglia dolce imbottita di un impasto di ricotta, zucchero e canditi), i “tarall cu’ naspr” (ciambelle pennellate di zucchero filato e bianco di uovo) e “i squarcell” (altre ciambelle cosparse di piccolissimi confetti e spesso con al centro un uovo sodo colorato).

E’ evidente che i tempi moderni, il progresso e… la fretta hanno influito negativamente su alcune abitudini tradizionali che tuttavia, nonostante l’invasione nordista di “colombe” e di altri prodotti confezionati e pronti, restano maggiormente radicati nei quartieri più popolari della città come quelli delle “Croci” e dei “Caprai”, dove tuttora, ad esempio, è molto sentita l’usanza di benedire la tavola, prima di inziare il pranzo, con un rametto di ulivo immerso nell’ “acqua santa” prelevata in chiesa: un’usanza che ha dato il nome all’antipasto pasquale “u beneditt”, cioè “il benedetto”.

G.S.