La vecchia cereria
Vecchia perché datata, e dimenticata perché così fa comodo a questa città che si appresta a duplicarsi, o a partorirne un’altra, vedi Foggia2, mentre trova comodo nascondersi dietro eventi come il terremoto del 1731, l’incendio del Comune del 1898 e i bombardamenti aerei dell’estate del ’43, che in effetti molto hanno distrutto e portato via, ma molto ancora ha fatto in seguito la mano cieca, avida ed ignorante dell’uomo.
L’elenco di quest’ultimo scempio sarebbe lungo a partire dall’immediato dopoguerra con la distruzione totale dell’antico Piano delle Fosse, ad appena l‘altro ieri, lo scempio dell’ex Piazza Mercato Arpi, ed a ciò che è in itinere come Masseria Pantano e i Silos del grano, i più grandi d’Europa quando furono costruiti nel 1937.
Ma concentriamoci, e costerniamoci, su quel che resta della vecchia cereria.
Per il vero una persona attendibile mi ha detto che esiste un altro rudere di un opificio identico, a 150 metri circa fuori Porta Grande, quasi di fronte alla “Banchina di San Giovanni” con un prospetto che da su via E. Fioritto.
Quello di cui invece mi occupo io è in zona centrale, poco distante dalla Chiesa di S. Stefano a ridosso di Via Matteotti, quartieri ottocenteschi.
Due corpi di fabbrica simili, affiancati, con tetti a falde a spiovere e tegole.
Attualmente, demoliti parte dei muri perimetrali di una specie di cortiletto interno (‘u scuìrte), per pericolo di crollo, e messo in sicurezza tramite una cintura di recinzione, dà con un lato sulla parte terminale di Via Normanno, una piazzetta per posteggio auto.
E’ su questo lato che presenta due grosse aperture di accesso, una sola rimasta ad arco con l’originale stipite di pietra, l’altra rimaneggiata, sicuramente già dotate di grossi portoni in legno, ora da serrande metalliche. Questa facciata conserva ancora tracce di un antico colore rossastro.
Gira, su Via P. Scrocco, il lato più anonimo, non ricordo aperture, ed ha l’altro lato posteriore su via Umberto Garofalo. Questo è il prospetto che conserva ancora tanta della sua originalità, e forse era l’ingresso principale, con i suoi attacchi in pietra per equini, che guardava verso la città. Si può notare il materiale misto di costruzione, qualche finestrella alta con crociera in ferro, un bell’architrave di pietra, un portoncino in legno, ed uno molto più grande, a due ante, ad arco, quello dell’epoca con chiusura esterna a “varròne e catenàzze” (barra di ferro e catenaccio).
La via che su questo lato lo costeggia, fino a toccarlo, non c’è marciapiede, mostra ancora tratti di un antico “mosaico” di acciottolato di fiume.
Il quarto lato è addossato, contiguo e comune col altre costruzioni d’epoca, case basse. A volte una forcella di legno (‘a furcìne), una corda tesa e dei panni ad asciugare completano questo squarcio di antica Foggia.
Un particolare ancora, forse il più importante e pregiato, ci permette di datare il manufatto, con certezza almeno da una certa epoca. E’ la piastrella in maiolica bianca, bordata di colori tenui (verde pisello e giallo limone) , recante il numero 16, il civico del portoncino all’epoca.
Forse ce ne saranno ancora cinque di queste piastrelle in tutta Foggia, e risalgono al periodo “francese” 1806-1815, prima Giuseppe Bonaparte e poi Giacchino Murat Re di Napoli.
Se si considera che fu T. A. Edison, intorno al 1879, a produrre ed iniziare a commercializzare la prima lampadina a filo di carbonio che funzionava solo per circa 45 ore, si può comprendere l’importanza di questi opifici che producevano candele, ceri, ecc.
La loro ubicazione originaria, chissà se per ragioni di sicurezza dell’epoca, era distante dalla zona urbanizzata. Sulla parte iniziale di Vi Manfredonia il primo di cui si è accennato, Fra Via U. Garofalo e Via Normanno l‘altro, via, quest’ultima, che si è formata dopo il 1842, anno di ultimazione della costruzione della Chiesa Santo Stefano, sul confine dello “Stradone da San Pasquale a Gesù e Maria”, vecchia circonvallazione di Foggia. Chiesa intorno alla quale si sviluppò l’insediamento abitativo. (Raffaele De Seneen)