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Le elezioni politiche

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“Le elezioni politiche” era il titolo di un capitolo di una serie di fascicoletti che A. Oreste Bucci, pubblicò fra il 1960 ed il 1965 a stampa dello Stabilimento Tipolitografico Cav. L. Cappetta & F. – Foggia:

Confrontare il vecchio ed il nuovo costume politico, come i metodi di propaganda dei vari partiti non mi sembra fuori posto. 

Nel periodo elettorale di qualche  anno fa, allorchè l’atmosfera era abbastanza riscaldata dato che i numerosi manifesti policromi avevano tappezzato le strade, ed i comizi si seguivano senza interruzione, incontrai un giovane amico il quale meravigliato di tanto accanimento mi chiese se negli anni precedenti il “ventennio”, ai “ludi cartacei” si fosse accordata così reclamistica ampiezza. 

“Non è una novità, poichè prima si verificava qualche cosa di peggio”: fu la mia risposta. 

Bisogna premettere – aggiunsi – che i Partiti politici, qualificati e costituiti erano solo il repubblicano e il socialista, nei quali vigeva il tesseramento degli iscritti e funzionavano le sezioni comunali, le Federazioni provinciali con a capo la Direzione Nazionale retta dal Segretario del Partito. Gli altri raggruppamenti non potevano definirsi partiti, poichè non avendo alcun ordinamento amministrativo, erano privi dei quadri delle forze aderenti, sulle quali poter far o meno  affidamento.

Si trattava della massa amorfa che faceva capo agli esponenti più in vista del posto (alcuni dei quali passavano spesso da una coalizione all’altra) militanti nelle file costituzionali-monarchiche e che si dividevano tra il “Centro giolittiano” che ebbe per candidati al Parlamento l’Avv. Antonio Tota e l’on. Castellino e la destra “salandrina” rappresentata dall’on. Maury, e successivamente dall’on. Valentini; sui quali per decenni con gravissimo pregiudizio degli interessi vitali cittadini, si polarizzarono le passioni del popolo foggiano. 

Coalizioni uguali esistevano negli altri centri meridionali; quasi tutte faziose, prive di ogni contenuto ideologico che si reggevano in piedi più di nome che di fatto; pronte, però, a stringersi nei ranghi e sprizzare tutto il fuoco delle loro energie, non appena si respirava aria di elezioni. 

Erano i fiduciari dei capi fazione che “in loco”, coltivavano le “clientele” ed incrementavano, col piccolo favore, le correnti popolari di simpatia per il proprio candidato: creando stati d’animo che talvolta esplodevano in vivi contrasti ed inimicizie, ponendo le famiglie l’una contro l’altra. Nel contempo i fiduciari assoldavano per i propri bisogni intimidatori, il fiore della canaglia cittadina; massa manovrabile nelle giornate di maggiore accensione degli animi, ed in quelle successive alla vittoria; in cui era lecito ai vincitori, compiere ogni atto incivile provocatore. 

Spesso nei comizi gli oratori eccedevano: i “sinistri” mancando di rispetto alle istituzioni ed eccitando la folla all’odio di classe, interrotti dai rappresentanti della Legge che il più delle volte, cinta la fascia tricolore, dopo i rituali squilli di tromba, ordinavano agli agenti di sciogliere l’assembramento; i “destri” con discorsi e frasi inopportuni e affatto convenienti, toccando perfino la purezza della vita domestica degli avversari; giustificato motivo, per tanti capi di famiglia amanti del quieto vivere, di girare al largo durante le parate di piazza, onde sfuggire al dileggio ed alle triviali offese. 

Si verificavano così situazioni odiose e mortificanti, aggravate dalle insolenze del canagliume al soldo dei “comitati cittadini” che spesso degeneravano in risse; molti, infatti, ricorderanno il tragico episodio della primavera del 1910, in cui colpito dal piombo di due “bravacci” cadde al suolo, innocentemente, l’onesto operaio ferroviario Bovenga, mentre era intento ad ascoltare, in piazza Oberdan, il discorso dell’Avv. Domenico Fioritto. 

In quanto a pubblicità non si può dire che i manifesti difettassero (naturalmente mancava la radio per completare il quadro); anzi erano più vistosi degli attuali, dato che non vi erano preoccupanti risparmi di carta e di inchiostro. Qualche concittadino anziano ricorderà quelli allegorici, tanto mordaci, che allestiva il pittore Andrea Mariani (della destra salandrina), il quale in una notte fece affiggere su tutta la lunga facciata del palazzo Vescovile (ex Convento dei Domenicani, destinato alla demolizione dalla inconsulta ed arbitraria opera del Vescovo Carta, fortunatamente mandato a respirare altra aria, prima che combinasse nuovi guai, ed al quale va attribuita pure la responsabilità del deturpamento della Cattedrale)  la scritta “W. Maury”, della quale ogni lettera superava l’altezza umana e avente un proprio significato. Scritta che riportò grande successo, perfino fuori provincia, provocando commenti ed ilarità anche tra gli avversari.

Ma non era finito poichè nella domenica di votazione regnava il massimo accanimento e si concentravano tutti gli sforzi, specialmente nell’accaparramento dei voti per cui era rimasto addirittura “storico” il telegramma convenzionale  di un candidato comprovinciale, ad un suo fiduciario: “Comprate porci qualunque prezzo”; mentre altri elettori sui quali non si poteva fare soverchio affidamento, venivano addirittura sequestrati ed inviati in campagna, ove gozzovigliavano fino a votazione avvenuta. 

Molti elettori preferivano recarsi per tempo a deporre la loro scheda nell’urna, per rincasare subito poichè i facinorosi, i “pagnottisti” (così erano chiamati quelli che vendevano il loro voto) piantonavano gli ingressi delle sezioni per controllare i votanti ed allontanare, spesso con le minacce, gli avversari più timidi; a qualcuno dei quali ritiravano perfino il certificato elettorale. 

Nel pomeriggio, quando i fumi del vino, salivano alla testa, era compromettente transitare per qualche via periferica o girare per le sezioni elettorali, a causa delle provocazioni e degli sberleffi della canaglia pagata, tanto che la forza pubblica doveva intervenire nelle frequenti colluttazioni, accompagnando qualcuno in Caserma, che veniva però subito rilasciato se riconosciuto partigiano del candidato governativo; altrimenti al malcapitato si “sfilava” un coltello a serramanico in tasca per giustificare il passaggio al “fresco”. 

Nè i cortei e le fiaccolate – in cui si alternavano gli spari fragorosi delle “calcasse” – che si organizzavano dopo la vittoria, si svolgevano con calma, data la larga distribuzione di limoni agli sconfitti; limoni che i più accesi portavano – per la strada – infilati ai bastoni. 

Accompagnati da insulti e parolacce, durante le dimostrazioni serali, che si svolgevano al canto di ritornelli e di “zazà e zezè”, aventi il loro particolare significato, i limoni venivano lanciati contro le finestre e le porte degli avversari più in vista. 

Preso di mira era il Circolo democratico costituzionale salandrino, chiamato dei “vicci” (appellativo bene appropriato ai torpidi, pavidi e borioso soci, che un anno perdettero le elezioni politiche per essersi rintanati vigliaccamente nelle case, ai primi dubbi spari di esultanza dei castelliniani), sulla cui porta d’ingresso, venivano lanciate dalle “unghie lunghe” (liberali) chicchi di grano turco.

Tra i ricordi dei tanti oltraggi e violenze che si commettevano, resta memorabile l’assalto ad una nota farmacia del centro – a stento contenuto, all’ultimo momento, dalla forza pubblica – il cui proprietario partigiano dell’on. Maury prima di soccombere pose mano alle bottiglie di acidi ed infiammabili  per lanciarle contro gli imbestialiti ed avvinazzati provocatori. 

Oggi, come è stato generalmente riconosciuto dalla stampa di ogni colore e da personalità politiche, la lotta elettorale in ogni località meridionale ha cambiato fisionomia.

E’ quindi grande motivo di compiacimento e conforto per tutti, poichè solo dalla onesta discussione e dal libero contrasto delle idee può venire fuori la verità, con grande vantaggio del costume politico e dell’educazione del nostro popolo.