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L’omicidio di Giovanni Panunzio

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da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 7 novembre 1992

Il titolo della Gazzetta del Mezzogiorno

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FOGGIA – “Mentre noi qui discutiamo, hanno sparato ad un costruttore”… Le parole del sindaco Salvatore Chirolli, alle 23.30, gettano nel silenzio l’assise comunale impegnata nella maratona dell’adozione del piano regolatore generale. Ancora non si sa in consiglio che l’imprenditore è morto. Ammazzato dal racket, probabilmente.

Giovanni Panunzio, 51 anni, uno dei più noti costruttori foggiani, l’uomo che con il suo memoriale aveva portato all’arresto di 14 presunti mafiosi, è steso su un lettino del pronto soccorso. Scuotono la testa i medici davanti a quel corpo crivellato di colpi. Il foggiano, da oltre tre anni vittima di richieste estorsive nell’ordine di un paio di miliardi, è caduto in un agguato alle 22.40 in via Napoli.

Giovanni Panunzio s’era trattenuto in consiglio sino a poco prima d’essere ucciso. Sulla sua “Y 10” percorreva via Napoli quando i killer (forse a bordo di una moto) sono entrati in azione, sparando quattro, forse più colpi di pistola. L’imprenditore, colpito alle spalle, al polso sinistro e sembra pure alla gola, s’è accasciato sul volante. Due persone l’hanno trasportato al vicino nosocomio, una corsa contro il tempo inutile.

E la città continua a pagare il suo prezzo agli “uomini della paura”. Qui dove chi non paga il “pizzo”, chi non scende a patti col crimine organizzato, viene ammazzato. Il racket aveva già mirato ad altezza d’uomo. L’aveva fatto il 29 aprile ’88 ferendo gravemente Eliseo Zanasi, ex presidente della sezione edili dell’Assindustria (tre persone arrestate, condannate in primo grado ed assolte in appello). Si era ripetuto un anno più tardi, il 10 aprile. Salvatore Spezzati, altro noto costruttore, su colpito al volto dalle pistolettate esplose da un motociclista mai identificato. Anche lui se l’era cavata dopo qualche giorno tra la vita e la morte.

Chi non ce l’aveva fatta era stato Nicola Ciuffreda, assassinato nel suo cantiere in pieno centro, la mattina del 14 settembre del ’90. Anche lui non aveva subito il ricatto della mafia foggiana che pretendeva la “solita” tangente di due miliardi.

Quella richiesta se l’era sentita fare tante, troppe volte, pure Giovanni Panunzio. La prima telefonata, nel dicembre ’89. Aveva tentato di scendere a patti con chi lo taglieggiava, dopo i primi avvertimenti (due persone gli si avvicinarono ma la pistola s’inceppò). Una prima tranche di 35 milioni venne consegnata – sostiene la squadra mobile – il 30 maggio del ’90 dal figlio ad un mediatore, arrestato.

Panunzio sapeva che poteva anche essere assassinato. Ecco perchè aveva affidato ad un memoriale le sue paure, i suoi sospetti, chissà fors’anche le sue certezze. E quel memoriale, poi confermato davanti al magistrato, il 27 dicembre scorso aveva fatto scattare un nuovo blitz antimafia in città. In carcere, con l’accusa di associazione di stampo mafioso finalizzata all’estorsione, erano finite 14 persone. Nomi anche di spicco della mala, come quelli di Giuseppe Spiritoso, Leonardo Piserchia, Antonio Bernardo, Pompeo Raffaele Carella, il padre Mario (morto qualche mese fa), Leonardo Corvino (l’uomo già arrestato nel maggio ’90 quando ritirò i soldi dall’imprenditore), Francesco Selicato, aniello Palmieri, Salvatore e Pasquale Campaniello (questi nove tuttora detenuti). Ed ancora Salvatore Chierabella (in libertà da qualche mese per le precarie condizioni di salute); Antonio Vinciguerra, Michele Delli Carri e Antonio Vincenzo Pellegrino, questi ultimi tre scarcerati due settimane dopo l’arresto per insufficienza d’indizi.

E mentre la città viene passata al setaccio, 17 minuti dopo la mezzanotte il consiglio vota il prg, mentre monta la rabbia dei costruttori. “Avete fatto ammazzare un uomo…”, “Siamo in guerra, siamo in guerra…”. Le urla si perdono dietro quell’imprenditore accompagnato fuori dalla polizia.

Gianni Rinaldi e Filippo Santigliano

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da “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’8 novembre 1992

Il titolo della Gazzetta del Mezzogiorno

Il titolo della Gazzetta del Mezzogiorno

FOGGIA – Gli occhi non mentono. E basta guardarli per capire quanto sia stato duro il colpo. Tanto più doloroso perchè inatteso. Lo si capisce dal viso desolato del questore. Dallo sguardo angosciato del vice dirigente della squadra mobile. “Sono amareggiato”, un sussurro la voce del commissario. Dagli sguardi tesi e dagli scatti di nervi dei poliziotti. Gli hanno ammazzato l’uomo che aveva rotto il fronte dell’omertà. L’uomo che, dopo titubanze e tentativi di venire a patti col crimine, aveva puntato il dito contro la mafia foggiana. L’uomo punito due volte: per non aver pagato un “pizzo” da 2 miliardi e per aver osato parlare e accusare.

Giovanni Panunzio

Giovanni Panunzio

Sì il colpo è stato duro. Ma la risposta non si fa attendere. Undici i foggiani fermati su provvedimenti della procura, altri quattro ricercati. L’accusa parla di associazione mafiosa finalizzata ad una serie di estorsioni, a costruttori principalmente. “Ma in questo ambiente” rimarca il questore “è maturato l’omicidio”. Sono gli “uomini della paura” – sostengono poliziotti e magistrati ancora alla ricerca di prove – ad aver deciso pollice verso per Giovanni Panunzio, 51 anni, il costruttore ucciso alle 22,40 di venerdì. Rincasava, dopo aver assistito al consiglio comunale. “Una coincidenza, niente più”, s’affrettavano a smentire gli investigatori eventuali collegamenti tra l’agguato e l’adozione del piano regolatore generale atteso per anni.

Non se l’aspettavano quell’esecuzione brutale e plateale. Quel messaggio di forza del racket anche incurante, al momento di colpire, dei “suoi” uomini detenuti proprio per il taglieggio a Panunzio. Il costruttore era un “sorvegliato saltuario”!, godeva di una vigilanza “radio-collegata”. Quando si muoveva e lo comunicava, la polizia lo scortava. “Volanti” e auto della “Mobile” pattugliavano di tanto in tanto la casa, il cantiere, gli uffici, i Grandi magazzini Ferri di cui era socio. “Vigilanza saltuaria”. Ora ci si rende conto che non bastava. Che non poteva essere sufficiente.

E non se l’aspettava nemmeno Giovanni Panunzio, ex muratore che con gli anni aveva messo su una nota impresa di costruzioni. No, l’imprenditore non credeva che il racket lo colpisse adesso, pur sapendo bene di essere da tempo “l’uomo nel mirino”. Solitamente girava armato a bordo del suo “fuoristrada” blindato, l’imprenditore le cui accuse il 27 dicembre scorso avevano portato all’arresto di 14 presunti mafiosi, nove dei quali tuttora detenuti.

L’altra sera ha lasciato blindato e arma per tornarsene sulla “Y 10” nuova di zecca. Due centauri lo affiancano (ma non ci sono testimoni oculari), sparando diversi colpi con un revolver calibro 38.

Chi ha informato i sicari? Chi ha detto che Panunzio abbandonava la sala consiliare? La polizia acquisisce la cassetta di una emittente locale che aveva ripreso l’ultima seduta consiliare. Scrutano tra la gente, sperando di trovare la “vedetta”.

Pochi dubbi tra gli investigatori – ma anche poche prove – sull’ambiente nel quale è maturato l’omicidio. L’intera procura (il capo Baldassarre Virzì, i sostituti Roccantonio D’Amelio, Massimo Lucianetti e Giovanni Carofiglio) firma i 15 provvedimenti di fermo. Sull’elenco che alle 18,45 viene reso noto in Questura si leggono i nomi di Michele Mansueto, 38 anni; Cesare Antoniello (32); Donato Delli Carri (23); Teodorico Casorio (40); Mario Francavilla (39); Franco Spiritoso (33); Federico Trisciuoglio (39); Alfonso Gatta (44); Antonio Vinciguerra (45); Antonio Pota (42); Angelo Maglione, ventisettenne, rintracciato nella tarda serata.

Molti già coinvolti nel blitz antimafia del maggio ’91 (38 gli arrestati). Uno, Vinciguerra, già arrestato nel dicembre scorso, e scarcerato dopo due settimane, proprio per l’estorsione a Giovanni Panunzio.

Quali sono gli elementi raccolti? E’ una conferenza stampa amara quella tenuta dal Questore Domenico Bagnato, assediato dai cronisti.

“L’indagine va avanti dal ’91; già nel dicembre scorso portò all’arresto di 14 indagati per mafia” è laconico il Questore. Lancia anche lui il suo messaggio “Ci saranno presto altri sviluppi. Polizia e magistratura hanno dato una risposta ferma a fatti di estrema gravità”.

Una risposta fornita dopo l’omicidio, un blitz scattato in ritardo, pare già di sentirle le critiche. “No, non si poteva prevedere. Anche Panunzio da un bel po’ di tempo non ci comunicava i suoi spostamenti. Non aveva ricevuto minacce recentemente. Certo, l’omicidio ha accelerato l’emissione dei provvedimenti restrittivi. Le indagini, che andavano avanti da tempo, hanno bisogno di prove. Dopo quanto successo, abbiamo <stretto> per quegli episodi estorsivi per i quali avevamo elementi sufficienti”. Bagnato lascia la conferenza e torna giù, negli uffici della squadra mobile. Il pomeriggio il questore l’ha trascorso in Prefettura, dove è stato convocato in tutta fretta il comitato provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico.

Mentre già si parla di nuova visita della Commissione antimafia. L’ha chiesta formalmente il segretario, l’on. Franco Cafarelli, al presidente Luciano Violante. In una città impaurita per il messaggio della mafia (guai a parlare), in attesa di stringersi intorno ad un uomo che non voleva essere eroe (forse oggi i funerali), in una città che conta l’ennesima vittima del racket, ci si deve chiedere: ed ora a chi toccherà?

Gianni Rinaldi

 

La piazza dedicata a Giovanni Panunzio

La piazza dedicata a Giovanni Panunzio

La piazza dedicata a Giovanni Panunzio

La piazza dedicata a Giovanni Panunzio

Nella piazza una targa che ricorda il sacrificio dell'imprenditore foggiano

Nella piazza una targa che ricorda il sacrificio dell’imprenditore foggiano