Michele Angiolillo
Per questa lettera aperta, Angiolillo viene condannato in contumacia a diciotto mesi di carcere e tre anni di domicilio coatto alle Isole Tremiti, che riesce ad evitare partendo partendo per Genova e di lì a Marsiglia, poi a Barcellona.
Angiolillo è a Barcellona, dove è presente una nutrita e organizzata colonia di emigranti italiani, quando, il 7/6/1896 una bomba scoppia durant la processione del Corpus Domini provocando dodici morti e numerosi feriti (Mario Laterza scrive di tredici morti e trentacinque feriti di cui molti bambini). L’attentato subito individuato di matrice anarchica, risultò poi essere stato opera di agenti provocatori della polizia, ma diede il via ad una repressione da parte del Governatore Canovas del Castillo, che coinvolse quattrocento persone fra anarchici, socialisti e repubblicani di cui diversi italiani seguaci delle teorie bakunianearrestati, rinchiusi e torturati nella fortezza di Montjuich. “Accertate” ed estorte con la tortura le responsabilità della strage, vennero comminate da un Tribunale militare 29 condanne a morte e 59 ergastoli. E’ probabile che alcune condanne siano state commutate perchè il Laterza parla di 5 condannati a morte (Tommaso Aschieri, Giuseppe Molas, Antonio Nogues, Luis Mas, Giovanni Alsina), venti condanne a pene diverse e sessantuno espulsi dalla Spagna.
Nell’agosto 1896 Angiolillo lascia Barcellona e il suo lavoro nella tipografia della rivista “Ciencia Social” e torna a Marsiglia dove sconta un mese di carcere per aver fornito false generalità. Espulso dalla Francia, trova riparo in Belgio, prima a Liegi, poi a Bordeaux dove trova lavoro nella tipografia Briannèe.
Agli inizi di marzo 1897, Angiolillo si trafserisce nuovamente a Londra rientrando in contatto con molti anarchici arrestati e torturati per la strage di Barcellona che lì avevano trovato rifugio; a giugno il gruppo si infoltisce di altri ottanta esplulsi, e va da se che l’odio verso Canovas del Castillo e il governo spagnolo per la repressione e per i fatti di Montjuich sia pane quotidiano, così come lo era la solidarietà e la mutua assistenza che legava i vari gruppi, gruppetti e circoli libertari ed anarchici frequentati anche da Michele Angiolillo, che trova lavoro come compositore pressio la tipografia “Wertheimer&Leo Printers”.
E’ in questo clima che Angiolillo matura l’idea di un gesto eclatante, che si indirizza nei confronti di Canovas, simbolo del potere spagnolo, al suo arrivo a Parigi dove si trasferisce, e dopo gli incontri avuti con il medico portoricano Emetrio Betances y Alcan (conosciuto per le sue lotte a favore dell’abolizione della schiavitù e per l’incitamento alla rivolta del popolo contro la Spagna che in quegli anni occupa Puerto Rico, Cuba e le Filippine).
Michele Angiolillo nel luglio 1897 lascia Parigi per Bordeaux, poi si reca a Madrid dove, spacciandosi per un giornalista, ottine notizia sul Canovas che si trova, per cure, alle terme di Santa Agueda nei Paesi Baschi. Il 4 agosto 1897 Angiolillo arriva a Santa Agueda e si registra alle terme con il nome di Emilio Rinaldi, cittadino italiano di 26 anni. Per tre giorni studia i movimenti del Canovas e l’8 agosto, domenica, assiste alla messa cui partecipa anche il Canovas in compagnia della moglie. Attende che i due si separano al termine della funzione, ha già deciso di usare il revolver che si è procurato e non l’esplosivo, di cui pure è fornito, a causa della presenza di molti bambini nelle terme, e all’una scarica quattro colpi, tre a segno, uno a vuoto, sul Canovas intendo a leggere un giornale seduto su una panchina di legno.
Michele Angiolillo non risponde alle domande del magistrato incaricato del caso e viene trasferito nel carcere di Vergara, il suo riconoscimento definitivo avviene sulla scorta di testimonianze fornite da un incaricato di polizia appositamente inviato da Foggia. Il giorno 14 inizia il processo a porte chiuse dinanzi a un tribunale militare, Angiolillo è difeso d’ufficio da un tenente di artiglieria che nell’arringa chiede il riconoscimento dell’infermità mentale per il suo assistito, mentre il pubblico ministero ne aveva già chiesto la condanna alla pena di morte.Questa l’autodifesa dell’Angiolillo rocambolescamente trapelata dalle mura del carcere di Vergara:
“Signori, voglio prima di tutto ripetere qui quello che ebbi occasione di dire al magistrato istruttore che mi ha interrogato: io non ho complici. Voi cercherete invano un essare umano al quale io abbia partecipato il mio progetto. Io non ne ho parlato ad anima viva. Io ho concepita, preparata, eseguita l’uccisione del sig. Canovas assolutamente da solo.”
“Signori, voi non avete dinanzi un assassino, ma un giustiziero.”
“Da parecchi anni io seguo attentamente gli eventi di Europa. Ho studiato la situazione della Spagna e delle varie nazioni che le stanno vicino:Portogallo, Francia, Italia, Svizzera, Belgio, Inghilterra. Le mie occupazioni e le mie simpatie mi han messo in contatto continuo con la popolazione laboriosa e povera di questi paesi.Dappertutto ho incontrato lo spettacolo doloroso della miseria. Dappertutto ho inteso gli stessi lamenti, ho visto correre le stesse lagrime, ho sentito agitarsi le stesse rivolte, sorgere le stesse aspirazioni.”
“Ed anche dappertutto constatato presso i ricchi ed i governi la stessa durezza di cuore, lo stesso disprezzo delle vite umane.”
“Queste osservazioni generalizzate mi hanno condotto ad odiare le iniquità che pesano sulle società umane e che ne sono la base.”
“Degli uomini ardenti, energici, innamorati della giustizia si sono incontrati con me sulla via della rivolta. Questi esseri che l’ingiustizia indigna e che aspirano ad un mondo di benessere e di armonia, sono gli anarchici. Io ho simpatizzato con loro e li ho amati come fratelli.”
“E tutto d’un tratto ho appreso, insieme al pubblico inorridito che in questa terra di Spagna, terra classica dell’inquisizione, la schiatta dei torturatori non era morta. Ho saputo che delle centinaia di esseri umani, chiusi in una fortezza ormai tristemente celebre, vi subivano le peggiori torture. Ho saputo che erano rimessi in vigore, con quell’aumento di raffinatezza che porta seco il progresso scientifico, tutti i procedimenti dei carnefici del Medio Evo. Ho saputo che cinque di questi uomini sono stati assassinati, che altri settanta erano stati condannati a pene severe, che quelli di cui si era dovuto riconoscere l’innocenza, erano colpiti da bando, e che tutti questi esseri erano anarchici, o considerati come tali.”
“Allora io, mi son detto, o Signori, che tali atrocità non dovevano restare impunite, ed ho cercato i responsabili. Al di sopra dei gendarmi facenti funzione di carnefici, degli ufficiali facenti funzione di giudici e che tutti eseguivano degli ordini, io ho visto colui che questi ordini dava.”
“Ho sentito al fondo del mio cuore un odio invincibile contro quest’uomo di stato che governava col terrore e colla tortura, contro questo ministro, che mandava al macello migliaia di giovani soldati, contro questo patentato che riduceva alla miseria, schiacciandolo sotto le imposte, questo popolo spagnuolo che potrebbe essere tanto prospero in un paese così felice e ricco, contro quest’erede dei Caligola e dei Nerone, questo successore di Torquemada, quest’emulo di Stambuloff e di Abdul-Hamid; contro questo mostro di cui io son felice e fiero di aver sbarazzato il mondo: Canovas de Castillo.”
“E’ egli una cattiva azione abbattere una tigre sanguinaria i cui artigli lacerano dei petti, le cui mascelle stritolano delle teste umane? E’ egli un delitto schiacciare il rettile dal morso letale?”
“Per la carneficina fatta, la mia vittima era da solo più che cento tigri, più che mille rettili. Essa personificava, in ciò che hanno di più ripugnante, la ferocia religiosa, la crudeltà militare, l’implacabilità della magistratura, la tirannia del potere e la cupidità delle classi possidenti.”
“Io ne ho sbarazzato la Spagna, l’Europa, il mondo intero. Ecco perchè io non sono un assassino, ma un giustiziero!”
“Ed ora, che vi ho fatto conoscere, o Signori, i motivi che mi hanno spinto, mi resta ad indicarmi le conseguenze probabili del mio atto dal punto di vista sociale in generale e dal punto di vista spagnolo in particolare……….”
(A questo punto l’autodifesa dell’Angiolillo viene definitivamente interrotta dal Presidente del Tribunale che gli ingiunge formalmente il silenzio)
Non furono solo i fatti di Montjuich ad impressionare Angiolillo, la sua visione era ben più vasta anche se concentrò l’attenzione su chi, per lui in quel momento, rappresentava un simbolo dell’oppressione: Antonio Canovas del Castillo (Malaga 1828-Santa Agueda 1897), Presidente del Consiglio spagnolo, sosteneva la politica di repressione sanguinaria ai danni degli oppositori nelle colonie, ma anche in Spagna governava con il pugno di ferro. Sotto la sua Costituzione, che doveva durare per mezzo secolo, la Chiesa e i latifondisti erano tornati forti e avevano tutte le intenzioni di restare tali; di conseguenza le elezioni vennero spudoratamente manipolate: contadini e affittuari dovevano votare come il padrone comandava, se non volevano venire cacciati; gli scrutini erano effettuati da caporioni politici, i caciques, che sguinzagliavano bande armate note come El Partido de la Porra (il partito del manganello), e se queste non risultavano efficienti, le schede elettorali venivano distrutte o sostituite. La corruzione politica ed economica si estese da Madrid in misura molto superiore rispetto a quanto accaduto nei secoli precedenti. I tribunali erano corrotti fino alle preture di villaggio e nessun povero poteva sperare di fare sentire le proprie ragioni, per non parlare di ottenere giustizia.
Peraltro, in quel periodo, gli attentati ai potenti non si contano. Votati alla morte, disperati e anarchici si recavano al patibolo in pace con la propria coscienza rivoluzionaria.
Pochi mesi prima dell’atto firmato da Angiolillo, a Roma, aprile 1897, il giovane Pietro Acciarito aveva cercato di uccidere a colpi di pugnale il re d’Italia Umberto I. Fallì nell’intendo e venne condannato all’ergastolo. Nel 1898, un altro anarchico italiano – Luigi Luccheni – uccideva a colpi di lima, sul lungomare di Ginevra, Elisabetta d’Asburgo, imperatrice d’Austria e moglie di Francesco Giuseppe. Luccheni, condannato all’ergastolo, si impiccò in carcere. Passa un anno e l’anarchicio Gaetano Bresci, operaio tessitore, uccide a Monza con tre colpi di pistola il re Umberto I di Savoia, riuscendo così nell’impresa fallita dall’Acciarito. Condannato all’ergastolo, Gaetano Bresci muore in circostanze misteriose nel penitenziario di Santo Stefano.
Dopo la morte di Angiolillo, ci fu un fitto carteggio tra le autorità spagnole e Maria Michelina Lombardi, madre dell’anarchico; carteggio “mediato” dalla Prefettura di Foggia, dal ministero degli Esteri italiano e dall’Ambasciata d’Italia a Madrid. La signora Lombardi chiedeva la restituzione degli abiti del figlio e delle trenta pesetas che Angiolillo aveva addosso al momento dell’arresto. «Capirà – scrisse Maria Lombardi al Prefetto di Foggia nella lettera del 21 settembre 1897 – sono reliquie, ricordi che in certo qual modo allevieranno il grande dolore e ricorderanno il figlio morto disgraziatamente ancor giovane». Ma i pochi effetti personali di Michele Angiolillo furono bruciati il 25 ottobre 1897, ufficialmente perché tossici e quindi pericolosi. Uno degli abiti, “senza determinare quale” (questa la versione ufficiale comunicata dal governo spagnolo all’ambasciatore italiano a Madrid), era impregnato di acido prussico. In realtà il governo voleva evitare che si creasse un nuovo martire e tentò in ogni modo di cancellare la memoria di Angiolillo persino tramite la distruzione degli effetti personali.
Dall’omicidio di Canovas fino alla fine del secolo, il ricordo dell’anarchico fu tenacemente contrastato dalle autorità italiane e spagnole. La signora Maria Lombardi ricevette, il 22 marzo del 1898, soltanto le 30 pesetas, pari a 24,72 lire: circa la metà di uno stipendio medio, in Italia, dell’epoca. L’“eredità” di Angiolillo fu consegnata dal giudice istruttore spagnolo al console italiano a San Sebastian e da questi all’Ambasciata d’Italia a Madrid, i cui funzionari si preoccuparono di inviare il denaro alla mamma tramite il ministero degli Esteri.