Padre Odorico Tempesta
da “La Gazzetta del Mezzogiorno” di sabato 8 febbraio 2003
Addio a padre Odorico
Organizzò i soccorsi dopo i bombardamenti del ’43
All’età di 90 anni si è spento padre Odorico Tempesta, il francescano della chiesa di “Gesù e Maria” che fu tra i protagonisti della ricostruzione morale di Foggia durante i bombardamenti del 1943 oltre che della materiale ricomposizione delle migliaia di vittime subite dalla città. I funerali di padre Odorico si sono svolti ieri pomeriggio, nella chiesa di Santa Maria di San Luca a Valenzano.
Ha celebrato la messa l’arcivescovo di Bari, mons. Francesco Cacucci – che conosceva personalmente il francescano – mentre il ministro provinciale dei frati Minori di Puglia e Molise, padre Donato Sardella, ne ha ripercorso la vita ai numerosi fedeli intervenuti. Superiore in diversi conventi, segretario provinciale, docente di teologia dogmatica, padre Odorico è stato anche insignito di diversi riconoscimenti letterari. A Foggia nel 1943, prestò soccorso a migliaia di persone organizzando una vera e propria “missione” come quelle che oggi Gino Strada allestisce in Afghanistan con Emergency dopo il bombardamento che provocò circa 20 mila vittime, per “dare onore – ha scritto nel libro Foggia nelle ore della sua tragedia – all’abito che indosso”. Dopo l’esperienza foggiana padre Odorico riaprì il convento valenzanese nel 1946, dopo oltre ottanta anni di chiusura.
L’ultima volta che venne a Foggia fu nel marzo del 1998 in occasione del premio “Rotary per la pace” assegnato ogni anno dal club Rotary Foggia Umberto Giordano. In quell’occasione padre Odorico, in un affollatissima sala rosa, ripercorse gli anni della guerra e della tragedia di Foggia che, come detto, aveva fissato in un libro-diario: “Credo che ancora oggi, in Italia, sia difficilmente immaginabile ciò che avvenne a Foggia nel 1943. La città fu immolata per la patria e per questo motivo, ancora oggi, bisogna battersi per avere la medaglia d’oro al valore militare, perchè in quei giorni Foggia fu un bersaglio militare e basta”
Filippo Santigliano
La triste testimonianza di Padre Odorico Tempesta
Tra le testimonianze più struggenti sui giorni di quella terribile estate del ’43, c’è quella di padre Odorico Tempesta, francescano della Chiesa di Gesù e Maria che si prodigò a salvare vite umane, a ricomporre le salme e a dare assistenza ai tanti feriti bisognosi di assistenza. Padre Odorico, morto nel 2003 all’età di 90 anni, raccolse in un libro (Foggia nelle ore della sua tragedia – I Quaderni del Rosone) tutti i suoi appunti di quei giorni organizzandoli come in un diario riportando giorno per giorno gli avvenimenti bellici nella città di Foggia. Abbiamo voluto riportare quello che il Padre scrisse su uno dei giorni più tristemente ricordato nella nostra città per i suoi 7643 morti dichiarati:
22 luglio 1943, giovedì
Anche se con ritardo, mi provo a mettere in iscritto i brevi appunti di episodi, fissati su pezzi di carta, degli avvenimenti vissuti in questa giornata.
Dopo la celebrazione della Santa Messa mi affrettai a far partire dalla ferrovia un biglietto espresso per i miei cari, in ansia per quello che avveniva e si diceva di Foggia.
Volli,poi, passare per l’Opera Pia Barone – trasformata in Ospedale Militare – per felicitarmi con il Direttore, Col.Medico, per essere uscito illeso da un incidente automobilistico. Approfittai anche per riprendermi dal Dr.Gabriele La Selva il libro che gli avevo prestato e al quale ero molto legato: “L’Uomo” di Ernesto Hellò.
Ripresi la strada di ritorno qualche minuto dopo le ore 9,30. Arrivato a Piazza Carmine, ecco il tristemente noto e agghiacciante rombo dei motori delle Fortezze Volanti sterminatrici, e subito dopo lo stridulo lacerante ululato dalle sirene, che strazia l’aria e i cuori!
Incito la gente che era sulla Piazza e davanti alle case a rifugiarsi, a venire con me in Chiesa. Mi tirai dietro un uomo tutto tremante, proveniente dal Gargano, che accompagnava il figlio al Distretto Militare.
Nel cosiddetto rifugio della chiesa, erano riparati i religiosi del convento:P.Vincenzo Blunno, Guardiano, P.Ippolito Montesano, P.Giocondo del Buono, P.Amedeo Gravina, P.Emilio Coco, il Giudice Istruttore Capo Dr.Vito Maselli, il fratello di costui, il Cancelliere Capo del Tribunale, Cav. Gaetano Cinese, il Dr.Paolo Martinelli e alcuni altri. Il fragoroso rumore si fa più vicino: è sopra di noi!… Mi affaccio sull’ingresso della chiesa e riesco a contare ‘ad occhio’ sin a 27-30 aerei della prima formazione, veloci come frece e luccicanti ai raggi del solleone; seguivano altre due formazioni; tutte provenivano dalla stessa direzione: Sansevero, Lucera, Via Napoli.
Mi affrettai ad aprire e a spalancare il portone e il tamburo della chiesa ad evitare violenti spostamenti d’aria, e subito una picchiata diabolica, assordante. Le esplosioni furono di una forza e violenza eccezionali, sconvolgenti, incredibili: porte e finestroni della chiesa spalancati, vetri in frantumi, sedie, banchi rovesciati e scoppi sempre più sinistri, laceranti che venivano dal di fuori e nuvole di polvere…
La chiesa sussultava, dondolava, sembrava che si spaccasse in due, che la volta ne venisse giù, che si aprisse il suolo…!
Rivissi i momenti del tragico terremoto del 22 luglio del 1930 penosa coincidenza!, quando l’ira del Vulture distrusse decine di città e paesi della Puglia e della Lucania.tutta una desolazione!
Sentivo qualcosa di tremendamente irrequieto in me. Volevo sottrarmi a un evento che non conoscevo, che non riuscivo a determinare, a una specie di incubo…, volevo rendermi conto di quanto accadeva attorno a me… vedere…! Ed uscii dalla chiesa liberandomi dalle pressioni dei Confratelli, che mi suggerivano a non commettere atti temerari.
Salli sul terrazzo del convento: spaventosa la calamità che s’era abbattuta sulla tanto desolata Città! Non una zona, non un quartiere, ma tutta Foggia era avvolta da una densa coltre funerea!
Dagli aeroporti alla Stazione, dalla Villa agli Ospedali, dal Campo Sportivo al Cimitero, era tutta una desolazione!
Ho avuto l’impressione che noi – la nostra zona – eravamo al centro del barbarico assalto. davanti e dietro il nostro convento colonne di fumo e dense nuvole di terra.
Per le strade profonda incommensurabile tristezza e silenzio di morte, in particolare nelle persone in ansiosa ricerca dei cari congiunti e della casa…!
Sentivo nel mio spirito, annichilito dall’immane disastro, un non so che di indefinibile e di violento, di assoluta impotenza e di grande abnegazione, di terrore e di temerarietà!
Che potevo fare?… Che c’era da fare?… Restare?… Aspettare?… Chi?…
Era impossibile! Mi dava di massima viltà lo “stare”. Qualcuno poteva aver bisogno anche di me!
Sfidare gli eventi!?…
Gli aerei continuavano la strage degli innocenti!
Scendo in chiesa, prendo l’Olio Santo; davanti all’altare della Vergine Immacolata, un Sacerdote è disteso sul pavimento: è P.Giocondo: piangeva come un bimbo!…
Saluto tutti ed esco sulla strada.
…E’ un tenente dell’E.I.!, gronda sangue; con la mano sinistra sorregge il braccio destro lacerato da schegge; in tutta fretta e ad alta voce mi dice: “Padre, ecco i cavalieri…, ecco i signori…, ecco i salvatori! Hanno distrutto la Stazione!… Hanno distrutto Foggia!… Sono centinaia, migliaia i morti. Andate, andate e vedrete!…!”
Nulla ho potuto fare per lui. Con la stessa fretta va verso Via Capozzi per raggiungere gli Ospedali Riuniti.
Il giovane ufficiale, con le sue ferite, con il suo sangue, più che con le parole, intendeva confutare la tendenziosa propaganda di certa nostra gente, che sosteneva che gli americani e gli inglesi facevano una guerra ‘pulita’, colpendo e distruggendo soltanto obiettivi militari!”
Il rumore degli aerei continuava e cadevano ancora bombe e altre case crollavano e cresceva il numero delle vittime!
Una tragedia!… Una catastrofe!… Era un piangere!
Il pensiero di rendermi utile – nonostante il periodico ritorno delle febbri malariche (ero al secondo giorno) – mi fece essere temerario. “Il Signore mi aiuterà!”
Mi sia permesso aprire una breve parentesi. Da alcuni anni ero afflitto da febbri malariche, che periodicamente, per tre giorni al mese mi costringevano a stare nel letto con temperature altissime… dal 22 luglio 1943 non s’è più verificata simile sofferenza, a tutt’oggi, 1995.
Mi reco in Via Meridiana, entro nella prima casa colpita. Trepidavo. Silenzio! Sotto la parete ad angolo, sulla sinistra, vidi una chioma affiorare dal terriccio… Mi sentii un altro. Ebbi una forza di spirito che non credevo possedere sino allora. Il pensiero della morte accese in me il desiderio di esporre la vita per i fratelli. Rimossi il terriccio dalla testa, dagli occhi, dalla bocca; un forte respiro – sembrava invocazione di un moribondo!… – Un secondo respiro, più lungo… Dagli occhi ormai liberi una scintilla di vita!… E poi: “Padre Odorico!” mi sentii chiamare… Ebbi un sussulto. la morte era stat sconfitta! La carità trionfava vittoriosa! “Padre Odorico” continua la donna “stamattina mi avete dato la Comunione!” O Dio dei deboli e dei misericordiosi! “Sono Nigro,la mamma di Elio” (il figlioletto di 9 anni, araldico di S.Francesco). Continuai a scavare con le mani, con le unghie. Mi commossi quando all’altezza del petto vidi le mani intrecciate, come legate in un’ultima speranza di vita, ai chicchi del Santo Rosario.
Tirai da sotto il letto dove giaceva, l’infelice semi schiacciato da calcinacci e utensili. Mi riproposi di ritornare subito. Era un soldato, figlio della stessa Nigro, arrivato a Foggia qualche ora prima per una breve licenza. Il bravo e buono Aldino era in condizioni disperate. Sentii altri gridi di aiuto e sentivo anche di non potercela fare da solo. Chiamai allora i soldati in servizio presso il Padiglione Militare (nei locali dell’ex nostro convento), che immediatamente vennero ad aiutarmi. Erano in tre.
Sulla soglia, sotto l’architrave della porta d’ingresso, v’era un groviglio di corpi: un’anziana donna, cieca, che gridava e tentava di sottrarsi dalla stretta delle macerie e dalla pressione di due fanciulli morti, i cui corpicini avevano fatto da cuscinetto e impedito che la vecchietta venisse anche lei schiacciata dall’architrave. Anche questi ragazzi erano figli della signora Nigro che fu tratta in salvo del tutto dai soldati e dal marito che era in servizio presso la Questura di Foggia. Aldino invece morì sulle rovine della casa sotto gli occhi della mamma.
Ripresi il cammino verso la Stazione. Superata Piazza XX Settembre, infilai Corso Cairoli. All’altezza di Via Dante, mi imbatto in due donne, vestite di nero, ricoperte di terriccio, con ferite sulle braccia, ma con negli occhi e nell’abbandono della persona descritta l’immane tragedia dalla quale erano miracolosamente scampate. vengono verso di me; mi chiamano: “Padre Odorico…!” e piangono. Non le avevo riconosciute. Tanto che domandai: “Chi siete?” “Siamo le sorelle di Tonino” ed io: “E Tonino dov’è?” Non sanno dirmi nulla! Il terrore s’impossessò di me! Invitai le signorine a seguirmi. Bussai, e ripetutamente, al rifugio del Banco di Napoli. Non volevano aprirmi. Detti il mio nome e dissi che accompagnavo le sorelle del Commissario Giannattelli. Aprirono.
… Raggiunsi Piazza Lanza. Detti uno sguardo veloce al Corso Vittorio Emanuele. Distrutti: il Palazzo Pedone, il grande complesso del Gran Caffè Norge… Esplosioni venivano dalla vicina Armeria su Piazza Lanza… Grosse buche con il sospetto di bombe inesplose sulla medesima Piazza. Colpite e distrutte diverse case su Via della Pace, Via Garofano…
Raggiunta Piazza Cavour, all’angolo di Palzzo Vaccarella feci a tempo a gettarmi disteso lungo il muro, seguito da un altro signore che mi chiamò – era un mio vecchio amico di Collegio: il prof. Pasquale Ciavarella di san Marco in Lamis, arrivato appena da Benevento -. Non abbiamo avuto il tempo di di scambiarci un saluto quando dalla stazione una squadriglia di aerei “Spitfire” dall’infernale sibilo di morte, fulminei, a bassissima quota raggiungono la Piazza mitragliando e poi dirottano sulla Villa seminando la morte.
Morti sulla citata Piazza, sotto il Pronao, tra le aiuole della Villa. Nessuno potrà descrivere il quadro che era davanti ai nostri occhi! Incredibile!
Diverse centinaia, i feriti tra i soldati usciti (si disse “costretti”) dalla Caserma Miale, gravemente colpita e danneggiata e gli impiegati del Palazzo degli Uffici Statali, del Provveditorato agli Studi, delle scuole.
Superata l’ondata di sterminio, fu un fuggire dagli uffici, dai negozi, dalle abitazioni, dai portoni…; un intrecciarsi di voci, di grida disperate, di nomi, di invocazioni… Si piangono i morti…! Si trasportano i feriti con ogni mezzo possibile…! Non sono pochi a chiedere aiuto! Si corre dappertutto, specie dove più violenta, sanguinosa, brutale si è abbattuta la barbarie degli anglo-americani!
Il Viale era uno spettacolo a sé stante, unico! Quanto mai desolante e pietoso. Le vittime erano sparse ovunque si girava lo sguardo. A me non restava che impartire un’unica benedizione e assoluzione accompagnata da una umilissima e breve preghiera a Dio Misericordioso! Mi dovevo rendere utile ai feriti a ai vivi!
Il bombardamento era cessato da poco e corsi immediatamente a via M.Sabotino, al n.2, ove abita mio zio con tutta la famiglia. Di fronte era in fiamme il Cinema Cicolella e sulla strada due corpi di uomini che bruciavano ancora: mi adoprai a spegnere le fiammelle con manate di detriti. Il portone è semiapertoe dietro, sulla sinistra vi è il corpo di una donna non ancora irrigidito, immerso nel sangue! Chi era? Nel palazzo nessu segno di vita. Salgo sino al terzo piano. L’ingresso era spalancato. Vi entro: finestre sventrate, polvere e calcinacci d’ogni parte, mobili frantumati…; do voce: silenzio!
All’improvviso sento sbattere qualcosa sul pavimento… corro immediatamente… ascolto dei lamenti! Era zi Donato, il Cav. Bianchi, suocero di mio zio, il quale, benchè anziano, era riuscito a liberarsi, non del tutto, da sotto il mezzanino, che stava per soffocarlo. Era sporco di sangue che continuava ad uscire dalla testa e da altre diverse ferite. Dopo averlo tirato fuori, lo prendo in braccio e scendo sulla strada; lo adagio sul camion a fianco del soldato tedesco, che lo portò all’Ospedale della Croce Rossa, ove era anche il genero.
… avevo fatto pochi passi su via Monfalcone quando fui colpito da lamenti che venivano da via Podgora.
Altro terrificante spettacolo!
Impartii l’Assoluzione Generale su quanti vi si trovavano: vivi e defunti, e mi portai sul posto donde continuavano a venir lamenti! Era una ragazza sui 18 anni! Vicino a lei altri feriti, tutti in gravi condizioni, e corpi senza vita!… E un groviglio di quattro, cinque morti!
Dalla inferriata del sovrastante balcone penzolavano due corpi… erano degli sposi, usciti dalla chiesa di Gesù e Maria, nella quale, minuti prima, s’era celebrato il sacro rito del loro Matrimoni! non hanno fatto in tempo per raggiungere la Ferrovia e partire. La ragazza continuava ad invocare aiuto… Io ero e mi sentivo più che mai solo… impotente… Nè si vedeva qualcuno che avesse potuto darmi un minimo di aiuto… Distinsi il rumore di un camion fermo sul piazzale della Stazione. Lo raggiunsi: non v’era alcuno… al suono del clacson, sbucò un soldato tedesco. Lo chiamai: “fratello” e lo invitai a seguirmi col mezzo che dovette fermarsi all’inizio della via, perchè non si poteva andare oltre, non tanto per le macerie delle case crollate, quanto per il timore di schiacciare con i corpi dei morti, i tanti feriti coperti dai detriti. Mi riportai sul luogo dov’era la ragazza. Ebbi l’impressione che non vi fosse più alito di vita in quel corpo delicato di fanciulla. tesi l’orecchio per sentire se respirasse ancora e con senso di profondo sconforto, sommessamente, mi domandavo:”Morta?!” A fil di voce sentii rispondere:”Viva…!” Invitai il soldato ad aiutarmi a risollevarla, e poichè questi, non potendo far diversamente, la cinse forte per le gambe – mentre io la reggevo per le ascelle – lei scongiurò: “Laciatemi, lasciatemi morire qui!” Si lamentava per le gravi ferite. Aveva le gambe insanguinate con tante schegge conficcate, la guancia destra fortemente cianotica, l’occhio sinistro tumefatto, appesantito da grumi di sangue. Pregai il Signore di darmi forza. Mi piegai in ginocchio sulle macerie. Le conficcai le mani sotto la schiena e con estrema delicatezza feci in modo di adagiarla sulle mie braccia. Il soldato mi aiutò a rialzarmi e a collocarla sul piano del camion. Poichè il sole colpiva forte, spiegai sui suoi occhi un candido fazzoletto.
Andammo a prendere un altro giovane in gravi condizioni. Nel rivedermi, la signorina, con voce di pianto, mi dice:”Padre… quel ragazzo che era a me vicino è mio fratello…! Vi prego…” Pensavo di far tardi. Era vivo. Semicoperto dalle macerie aveva la testa aspersa di sangue per una larga ferita e il petto lacerato da schegge! Lo portammo sul camion. La sorella mi trascinò sino ai bordi per aiutarci perchè non gli facessimo del male. Glielo adagiamo a fianco e lei continua a chiamarlo:”Lino… Lino… Lino!…” e con ineffabile affetto lo accarezzava emettendo profondi sospiri… Non aveva lacrime… L’immane tragedia ne aveva disseccato la sorgente! Distese sul viso del fratello il suo fazzoletto e restò a guardarlo senza muover ciglio!
Tornammo a raccogliere un altro povero infelice: un Sottufficiale della P.S., dopo che l’ebbi adagiato sull’automezzo, ebbe la forza di dirmi: “Padre, cercate nel rifugio accanto di mia moglie. Il suo cognome è Caserta… Deve dare alla luce un bimbo. Cercatela, vi prego…!” Nel dirmi questo mi consegnò la sua “Berretta” di servizio con documenti e valori. Era di Roseto Valfortore ed era arrivato con il direttissimo delle ore 9.30 proveniente da Roma ove prestava servizio e che ha dovuto lasciare dopo il bombardamento del 19 luglio per portare in salvo la famiglia…. Venni a sapere nella giornata che la sig.ra Caserta rintracciò il marito nell’Ospedale della Croce Rossa e che il poverino terminò i suoi giorni, non molto dopo con nelle pupille l’immagine del figlio atteso con tanto amore e con nel cuore i suoi vagiti!….
… Padre Agostino mi invitò ad andare con lui nel rifugio del II Incis, ove aveva appreso notizie della famiglia Sartorio. Scena straziante! Dinanzi al portone d’ingresso una “Topolino” divorata dalle fiamme e dietro, in piedi, come una statua, il corpo carbonizzato di un uomo in atteggiamento di respingere un’aggressione! Entrammo nel rifugio; tra i tanti feriti e i diversi morti, la Signora Sartorio, e il nipote Sottotenente Gigino. La nonna, anziana e cieca chiedeva del nipote, che tanto amava e del tanto sangue da cui si sentiva bagnata…! Le dicemmo che Gigino era stato portato altrove (al cimitero, dissanguato per l’asportazione di una gamba). Anche la nonnina qualche giorno dopo terminò la sua giornata terrena!
… Dalla zona della Stazione – zona da me battuta nella quale, senza alcun forse, si è avuto il maggior numero di vittime -, siamo ripartiti per l’Ospedale con altri 15 feriti circa adagiati su un carrettone del Servizio Ferroviario trainato da due cavalli. Dall’accento compresi che erano della provincia di Bari, venuti a Foggia per acquistare sacchetti di grano, farina, legumi, pane, uova per i bisogni di famiglia. Tra gli infelici che gridavano per le ferite e i traumi riportati v’era una donna che riconobbi essere una Terziaria di Capurso, la sig.ra Mele, in condizioni penosissime per lo snodamento di una gamba. Dopo il ricovero volle partire per casa dove terminò i suoi giorni tra spasimi orrendi.
Gli Ospedali Riuniti, come pire la Maternità, il Brefotrofio, la Croce Rossa, molte cliniche private, l’Altamura, l’Opera pia Barone erano super affollati tanto che si addivenne ad una classificazione per il ricovero dei civili e per quello dei militari. Il Sanatorio (Croce Rossa) fu riservato ai civili. Qui v’erano le Suore Bianche Francescane, dal grande cuore. Il loro sacrificio è degno di lode e merita di essere ricordato. Angeli in bianco vestite, erano in continuo movimento dall’uno all’altro capezzale, per dare una carezza materna, un sorriso, una speranza; per asciugare lacrime e ferite; per raccogliere sospiri e… aneliti! … e mormorare alle orecchie dei poveri pazienti parole e invocazionidi pace e perdono; a ripetere, sacerdotesse della Croce, le cento e mille volte, la giaculatoria con annessa Indulgenza Plenaria: “Gesù mio, misericordia!”, ripetevano i poveri Martiri. Era l’ultima invocazione! … E le suore ricomponevano i loro corpi disfatti nel sonno della pace in Dio!
… In un portone, quasi in fondo a Via Pestalozzi, v’erano due anziane signore ed una terza molto giovane, con un bimbo in braccio, che piangeva disperatamente invocando la sua figlioletta Paolina. Voleva ad ogni costo uscire per la sua ricerca. La indussi a desistere perchè l’avrei ricercata io. Su un cumulo di macerie di una palazzina distrutta, nelle immediate vicinanze notai una manina che affiorava e che era ancora calda. Mi affrettai a metter fuori il corpicino, ma senza vita. Staccai un pezzo dal vestitino azzurro e lo feci vedere alla mamma, che al vederlo svenne tra le braccia delle due vecchiette mentre io le dicevo: “La Paolina è in Paradiso!” Aveva appena cinque anni. Avevano lasciato la Sicilia per un luogo più sicuro il giorno prima!”
… Raggiungo via Salomone per recarmi in Prefettura. A metà strada entrai in una casa abbattuta qualche ora prima. Detti voce: “Vi è qualcuno?” Mi sentii chiamare per nome: “Padre Odorico, sono qui, sono qui! Sono sotto il letto. Sono Mario di Ascoli, l’amico di Padre Ezechia. Ci siamo visti a Sant’Antonio, quando siete venuto a predicare…” E gridava per i dolori atroci. Aveva molte ferite e la gamba destra fracassata (gliel’avrei tagliata se mi fosse stata data la possibilità). Lo adagiai su un rudere di sedia, che trascinai sulla strada, perchè fosse in vista. L’unico che passò e fermai era dell’UNPA (Unione Nazionale per Assistenza Antiaerea e Assistenza Civile). Mi rispose: “Padre, vado in cerca della mia famiglia”. Anche lui aveva ragione. Lasciai Mario sulla strada e andai in cerca di qualche altro. Ma vengo fermato da un giovane che mi dice e supplica: “Padre, sotto a quell’angolo, lì, vi sono parecchie persone vive…!” Poche parole che mi indussero a crederci. Il giovane continuava a dire: “Povera nonna, povera nonna…”, per cui dissi al giovane: “Se piangi la nonna, lascia libero me!” E lui: “Sì,si, Padre, sono vive, credetemi. Mi hanno detto anche come si può accedere…” Bisognava rompere un muretto-tampone tra due diverse abitazioni: una su Via Salomone, l’altra su Via Parisi, dalla quale fu aperto il varco. Un raggio di luce pieno di pulviscolo mi fece vedere un quadro di tragica tristezza. In un angolino sette persone disposte a forma di piramide… Praticata l’apertura, raccolsi per prima un’anziana donna (seepi che morì a Vasto) e mi vidi sfuggire una bambina di tre-quattro anni, invano da me chiamata ed invitata a fermarsi. Aiutai le altre ad uscire dall’infernale bolgia, che stava per schiacciarle nella morsa di terra che sempre più riduceva la possibilità di sopravvivere. Tra le salvate sette donne con la bambina, la signora Assunta Spezzati con sua nipote Assunta Verderosa; poi la signora Casolari Assunta, emigrata poi in Francia. Poi ancora la signora Marciello Diana in De Stefano, la mamma e la figlia Asmary, la bimba che dopo la “dissepoltura” fuggì in cerca di luce e di vita (dopo diversi anni fui invitato a benedire le nozze della signorina De Stefano Asmary con il dott. Giorgio Bevilaccqua). La nonna,invece, trovò la morte sotto le macerie. Il giovane che mi indicò il fatale sito, e mi aiutò per il salvataggio era una nipote della signora Marciello.
Seppi,poi, che il giovane muratore Mario di Ascoli fu accompagnato in Ospedale.
… Raggiunsi in gran fretta la Prefettura. Da circa 20 minuti regge la tregua aerea! Le Autorità sono dinanzi all’ingresso del Palazzo.
ll Prefetto mi chiede notizie. Rispondo: “quasi tutto il rione San Pasquale e Madonna del Carmine è gravemente danneggiato, con molti morti”
Il Podestà Pepe e il Colonnello Morrone mi chiedono delle loro case. Li rassicurai che non avevano subito danni. Mentre li saluto per recarmi a Via Napoli, gravemente danneggiata e da me non ancora visitata, il Prefetto mi chiede sul da farsi. Avendo io percepito un certo rumore (il Prefetto dal 15 luglio, in seguito al violento scoppio alla Ferrovia, avvertiva debolezza all’udito) e con poche parole feci intendere che “arrivano!” E lui: “Ma Padre Temp…”, non terminò la parola che il rombo degli aerei divenne fragoroso, tragico: era la quinta ondata!
Appena in tempo ci spingiamo nel rifugio della Questura (uscita posteriore) e una grandinata di bombe seminò attorno a noi rovine e fiamme.
Sembrò, come fu realmente, che bersaglio di questa ondata fosse la Prefettura, il Comune, la Cattedrale, via Arpi, in una parola il Centro Storico di Foggia.
Uscii fuori dal rifugio, a 7-8 metri, all’angolo di Vico Tesoro, quasi rasa al suolo e in fiamme la casa del Canonico Penitenziere della Cattedrale, Don Francesco P. La Torre, che vide crollare una vita di sacrifici e tante speranze! Non gli rimanevano che gli occhi per piangere su tanta tragedia della sua Città e della sua casa e famiglia.
Nello stesso tempo voci di aiuto venivano da una larga fossa addossata al muro del rifugio, profonda circa tre metri (ignoravo che fosse l’uscita ancora in costruzione del rifugio stesso). Tra le voci riconobbi quella robusta del Colonnello. Lo aiutai a venirne fuori e così uniti tirammo su il Generale Caperdoni. Nulla potemmo fare per il Prefetto perchè arrivò subito la sesta ondata.
Nuovo panico, altre bombe! Rovine che si accumulano a rovine! Momenti da finimondo!
… Dal Vico Sant’Angelo vedo scendere verso di noi una giovane donna, dalle vesti in brandelli e coperta di sanguinanti ferite. Non volle entrare nel rifugio del Comune: è terrorizzata. Vedo una bicicletta abbandonata ai bordi della fontana di fronte e invito la poverina a disporsi sul telaio per accompagnarla ai vicini Ospedali Riuniti, quando un sottufficiale d’Aviazione (di Bologna, di passaggio per Foggia) mi dice: “Padre, permettete che l’accompagni io, la vostra opera può essere più utile ad altri infelici”. Gli indicai la strada e partì.
Per Via delle Maestre uscii a Piazza Cattedrale, lato Sud Est; vedo raccolta parecchia gente, scesa dal Subappennino per le solite provviste settimanali. Mi chiedono notizie. Raccomando di stare riparati e che solo al colpo di cannone (le sirene erano fuori uso e il suono delle campane non raggiungeva la periferia della Città) potevano uscire all’aperto e raggiungere la loro destinazione. Alcuni avevano escoriazioni sul viso e sulle mani, forse per cadute.
Per Corso Vittorio Emanuele scesi a Piazza Cavour. Qui un sergente della Croce Rossa, fermo all’ingresso della Caserma dei Carabinieri, insisteva perchè scendessi nel rifugio. Gli dico che sono sacerdote e come tale potevo circolare, pur sapendo dei pericoli, per essere utile a chi ne avesse avuto bisogno. Impossibile! Dovevo scendere! Provvidenzialmente un amico, il Capitano D’Ecclesia mi abbraccia e mi domanda cosa era successo al Generale, al Prefetto… Gli spiegai: “Nulla di grave, li ho aiutati a venir fuori dal rifugio e che mi recavo alla Stazione perchè vi mancavo dal mattino”. Il “bravo” sergente, confuso, mi chiese perdono e una benedizione. Era di Barletta, di passaggio per Bologna, sua sede.
Raggiunsi la Ferrovia.
Ogni descrizione è inadeguata! Le parole non riescono a dar corpo alle immagini vissute. Realtà sconvolgenti non possono essere tradotte in iscritto, nè per figure: superano la stessa fantasia!
La Stazione di Foggia, che era un gioiello d’arte, così piena di vita e di febbrile attività per il grande continuo movimento di merci e di viaggiatori; che allaccia il Nord al Sud, l’Adriatico al Tirreno; così accogliente e così piena di poesia per la foggia delle vesti e i tanti dialetti e le diverse lingue, che vi si intrecciano sotto il suo cielo, oggi è irriconoscibile! E’ distrutta E’ tutta un pianto! Tutto in sfacelo!
Le centinaia di bombe d’ogni calibro, sganciate sulla sua ristretta area, nelle 5-6 incursioni subite, selvagge e bestiali, indiscriminate, hanno rimescolato più volte quelle macerie bagnate da tanto sangue!
Tra i detriti e i tufi dei paraschegge, dinanzi al rifugio del sottopassaggio, anche il corpo del Dirigente Capo, il dr. Giuseppe D’Amore.
Che desolazione!
L’unico conforto è vedere i cari amici ferrovieri – Superiori e semplici addetti – negli uffici semidistrutti e tra i binari, nelle officine ancora in fiamme e sui treni, lavorare con spirito di vero eroismo, sorretti dal ricordo di tantissimi fraterni compagni di lavoro, eroicamente caduti sulla breccia, ai quali va la perenne riconoscenza di tutti i figli dell’eroica Città e degli italiani!
Nel loro nome, nel loro ricordo e nel sangue da loro versato la certezza della rinascita della Martire Foggia e della nostra Italia.
Il sole è ancora caldo. Non si ha cognizione del tempo. Mi reco a “Gesù e Maria”.
I Frati, con P.Agostino e P.Egidio, sono fuori a prestare la loro solidarietà, umana e cristiana, alle famiglie colpite dal furore della guerra.
… Passai dopo al Convento San Pasquale. Anche qui non v’è alcun religioso: tutti impegnati negli ospedali. Attorno al Convento sono cadute tante bombe.
… In Via Capozzi, Corso Garibaldi e vie adiacenti, sono aumentate le case distrutte.
In Piazza Prefettura le Autorità, Prefetto compreso, sono preoccupate per il da farsi nell’incertezza dello svolgimento delle operazioni belliche.
Si parlò del lavoro che ci attendeva; della necessità di preparare i mezzi opportuni e le squadre di soccorso e di soldati per il lavoro in città e al Cimitero, nonchè per la identificazione delle vittime e per provvedere a coloro che desideravano allontanarsi da Foggia e per i senza tetto.
Poichè vi sono ancora diverse ore di luce, con il Capitano e un gruppo dei suoi soldati, si decise iniziare il lavoro di sgombero dei morti della zona da noi scelta: la Ferrovia!
Non avendo di meglio ci adattiamo su un camion delle FF.A.A., un residuato della guerra ’15-’18 (ogni volta che si doveva riprendere il cammino, il Capitano doveva soffiare per mezzo di una sonda nel motorino), e ci siamo avviati verso il Viale.
Lo spettacolo che offriva il Viale, dopo l’uragano del nuovo proditorio assalto aereo, nel momento di silenzio religioso in cui ci accingevamo a rimuovere le Vittime, diveniva, nella sua cruda realtà, più tragico, più sconvolgente!
Tutti i Palazzi, nuovi e belli, sono stati colpiti, sventrati, distrutti; così il Palazzo delle Poste, il Palazzo Viola, dei Ferrovieri…
Che dire dei seppelliti sotto le immense rovine e dei falciati dalle violenti raffiche dei diabolici “Spitfire”? Dei colpiti nelle gambe, nel petto, nell’addome? Dei giacenti sotto le chiome delle piante, sotto le saracinesche accartocciate dei negozi, agli angoli delle starde o dei Circoli, nei Caffè, ove i feriti s’erano rifugiati in attesa di aiuti, mai arrivati o della morte?
Iniziamo la pietosa raccolta dei Caduti!
Sulla soglia dell’Ufficio telefonico (angolo Palazzo dell’Acquedotto) raccogliamo il primo morto: un Tenente dell’E.I. di Lucera, con altri 5-6 caduti; dietro la saracinesca della tabaccheria a fianco, riconobbi il Capostazione Giuseppe Giudici, come se fosse lì, seduto: aveva una lacerazione dal petto all’addome!
Sui marciapiedi e per il Viale furono calcolati circa 80 morti.
In meno di due ore ne furono raccolti una metà e ci recammo al Cimitero ove ne trovammo altri, almeno una cinquantina, e tanta gente nell’affannosa e triste ricerca di trovare o riconoscere persone care.
Tra questi il Vice Questore Barbisio in cerca del cognato.
Sull’ampia sconvolta Piazza della Stazione, sparsi un po’ dappertutto ciò che ritenevamo cumuli di fanghiglia eterogenea, era invece quello che restava di tanti corpi umani investiti dalle fiamme e proiettati lontano dalle violenti esplosioni e schiacciati sul selciato (sui cui binari erano sempre in sosta vagoni di esplosivi), tra detriti, lamiere, pezzi di binari e ferri contorti… fu infatti una puleggia conficcata in un cranio a svelarci l’identità di quei resti.
La loro rimozione, per motivi ovvi, fu rimandata a qualche ora più tardi, prima della notte!
L’operazione fu eseguita servendoci di pale, ceste, sacchi in uso presso le FF.SS. e di tende e tovagliati.
Mentre un Sottotenente del nostro gruppo amministrava il Battesimo, in forma straordinaria, ad un bimbo (da lui ritenuto vivo e fuori per metà dal grembo materno – l’altro gemello era stato proiettato fuori senza vita), ed io con altri due soldati trasportavo il corpo irrigidito di un soldato tedesco sul camion fermo dinanzi al Circolo dei Ferrovieri, sentimmo la voce del Capitano che intimo l’Alt! I quattro o cinque soldati che erano con lui avevano tentato di allontanarsi… Perchè? Accorsi immediatamente. Sfiniti e depressi per l’inusitato lavoro e fortemente impressionati dalla inaspettata e drammatica scena. I giovani soldati, infatti, avevano visto il corpo di una donna, giacente sotto il marciapiede, vicino al circolo; stringeva ancora al petto un figlio di due-tre anni, morto e un secondo più grandicello per mano, morto anche questi… era decapitata! Nel sollevarla per deporla sul camion, si videro rotolare la testa tra i piedi! Fortemente impressionati lasciarono l’operazione e tentarono di allontanarsi! parecchi del Circolo videro lo svolgimento della scena! Scena che si è ripetuta quando io e due soldati, che erano sul camion già colmo, abbiamo cercato di sistemare la brandina sollevandola. Il capo della poverina mi rotola sui sandali! Nel riprenderlo gli spenti occhioni neri sono fissi su di me!
A distanza di metri dal Viale – angolo Via Monte Grappa Teatro Cicolella – rilevammo altri cadaveri, tra i quali quello di una donna, forse sulla quarantina, robusta e vestita di nero. Era inginocchiata, con la testa sulle braccia, appoggiate al muro. Cercai di stenderla allungando le estremità; sentii che la gamba destra si staccava. Feci disporre dietro la schiena una brandina militare e tentai di adagiarvela: mi accorsi che il corpo era in disfacimento! Un soldato la volle vedere in viso! E il capo si ripiegò all’indietro: una scena di grande pietà, ma sconvolgente! Sembrava fosse sgozzata! Il viso nero come carbone e gli occhi inverosimilmente sbarrati… era in decomposizione avanzata.
Fu allora che si decise di entrare nei ristoranti vicini, già preparati per il pranzo degli Ufficiali tedeschi e prender quanto v’era per avvolgere i corpi disfatti dal carbonio e orrendamente sfigurati dal carbonio!
All’improvviso un signore avanza verso di noi con le braccia aperte e alzate, supplicando a fermarci. “Sono il Capostazione Furore” dice “qui (indicando il portone) vi è il corpo di mia moglie!” Gli diciamo di averlo raccolto e sistemato sul camion e avvolto in un tovaglione. Lo volle vedere per l’ultima volta. Cosa che – se pur con rincrescimento e difficoltà di muoverci su corpi in condizioni… impossibili – gli permettemmo (non ignorando lo sconvolgimento che avrebbe sofferto) per dare un minimo di conforto ad un tanto infelice, che non ha più lacrime e neppure famiglia!
Il poverino continua a pregarci e ad andare con lui, una cinquantina di metri più avanti, nel giardino a fianco a raccogliere la sua figlia Italia e deporla presso la mamma. Gli diciamo che è impossibile ma che saremmo subito ritornati per prelevare anche altri. Lui insiste sino a commuoverci, più che con le parole con il suo atteggiamento! Non ci sentimmo di non accogliere l’accorato suo desiderio di infelice sposo e di padre sventurato!
Ci indirizzammo verso il rifugio, detto dei Ferrovieri.
Scene di grande tristezza! Dolorose a vedersi e indescrivibili a narrarsi!
Sull’ingresso del rifugio sono 4-5 cadaveri ammucchiati. Ad alcuni metri vediamo il povero Ciro raccogliere e venire verso di noi stringendo al petto e baciando le gambe della sua figlia Italia, che colpita in pieno è stata spezzata in due tronconi! le gambe erano state raccolte e messe lì dallo stesso padre, che vi s’era recato prima d’incontrar noi. Ci disse che a riporre dietro il portone il corpo della moglie era stata la figlia, la cui tragica sconcertante fine fu dovuta al tempo impiegato nell’operazione di trasporto della mamma!
Atto di pietà generosa che sublima il ricordo e l’amore di una figlia.
Al Cimitero facemmo appena in tempo a deporre i defunti, che poi sistemammo negli obitori, nelle sale di autopsia, sui pavimenti e sui piazzali all’intorno, quando arrivò un altro convoglio guidato da P.Egidio Costantino, il quale era molto affaticato e depresso.
I nuovi arrivati, intendo dire i vivi, a vedere lo spettacolo di orrore per le tante vittime, ebbero un brivido collettivo di ripugnanza; li vidi impallidire. Qualcuno barcollò e cadde!
Io ero premunito d’una capace boccetta di alcool denaturato ed ebbi il felice intuito di spruzzarlo sul viso a quanti mi circondavano. Così li liberai da un sicuro svenimento.
… Assolutamente impossibile fare la identificazione! Delle persone di mia conoscenza lasciai sulle spoglie pezzi di carta con nome e cognome.
Pregai l’Ufficiale che disponesse di alcuni soldati per il taglio di rami di pini, di cipressi, e di altro fogliame con cui ricoprire i corpi esposti all’aperto sotto il sole di luglio. L’assicurai che avrei subito chiesto altri rinforzi. Bisognava fare infretta per il pericolo di epidemia. I corpi, infatti, nella maggioranza, perdurando il caldo, erano in decomposizione.
Arrivavano intanto altri gruppi che portavano i resti dei loro cari congiunti o amici.
lasciammo che altri compissero il gravoso compito della tumulazione e noi con un altro mezzo dell’Aviazione Militare e quindici altri soldati, ritornammo al nostro lavoro. Sull’imbrunire depositammo un nuovo carico di caduti al Cimitero…
Mi incamminai per via Napoli.
Le orde barbariche, dal cielo, avevano lasciato il loro segno!
Quante le vittime? Non lo sapremo mai!
Passai per la Clinica Ventura. Il professore era stato chiamato d’urgenza dall’Ospedale di Troia, pieno di feriti arrivati da Foggia.
Le buone suore del Preziosissimo Sangue si sono adoprate a fare quanto era nelle loro possibilità, anche suturando ferite e curando lacerazioni.
Continuai per Villa Luigi Pedone, ove mi furono apprestate fraterne attenzioni. Accettai della frutta e dell’acqua, sempre acqua. Ciò che era di “rosso” o di simile, suscitava in me forte impressione in quanto mi richiamava alla mente i… tanti Caduti!
Mi fu offerta ospitalità per riposarmi la notte: ma desideravo andare in convento, nella mia celletta. Inoltre avevo un impegno con il Prefetto dal quale mi recai verso le 22. In succinto gli esposi lo stato in cui si trovava la Città: le incalcolabili rovine, il pericolo di contagio e quindi l’urgenza di raccogliere ancora i corpi di tanti caduti rimasti insepolti…
… Davanti alla prefettura era raccolta tanta povera gente, nuclei familiari completi, povere donne, uomini anziani, bambini, tutti avevano fagotti, scatoloni, sacchetti pieni di indumenti e d’altro; erano in attesa d’essere prelevati e portati in zone ignote, meno esposte ad eventuali attacchi aerei!
L’oscurità era totale e si respirava un’aria pesante per le nuvole di polvere che vagavano basse sotto un cielo nero, che di tanto in tanto si accendeva di bagliori per il sinistro scoppio di bombe inesplose e per il perdurare degli incendi e il ritorno di fiamma dai depositi della Ferrovia.
… in quel mentre mi accorsi da un’esclamazione di sdegno e sofferenza, che un ignobile individuo, approfittando delle tenebre e dello stato di depressione di una ragazza, tentava… importunarla! Mi girai di scatto e al mio: “Cos’è?” l’importuno, chiamandomi per nome, disse: “Questa ragazza non ha notizie dei suoi, sto a dirle una buona parola…”; la sottrassi alla sua vicinanza; e poichè sul camion avevano preso posto la mamma e le sorelle dell’Agente P.S. Antonio Paolucci, che mi avevano riconosciuto dalla voce e salutato, affidai loro la povera ragazza, della quale ignoro il nome. Il camion prese la direzione del Subappennino. Un altro era pronto ed un terzo ancora. Tutti desideravano partire, uscire fuori dalla bolgia che si rivestiva sempre più di sangue!
Aggiungo una noticina. Nella celebrazione del primo anniversario del 22 luglio 1943, ebbi a ricordare e scrivere: ” Molti, per vero miracolo, furono salvi! Moltissimi ebbero ed hanno tuttora le loro membra stimmatizzate! Molti, moltissimi caddero colpiti, spezzati, smembrati sotto la pioggia delle bombe e delle mitragliere. Tutti avemmo l’impressione, per non dire la certezza che quel giorno dovesse essere l’ultimo! “.
… Raggiunta la mia celletta,avvertivo il sonno, ma quando la testa, appesantita, si ripiegava sulle braccia, mi svegliavo di soprassalto, con apprensione e angoscia, perchè avevo il saio e le maniche ancora bagnate del sangue di tanti feriti e di tanti morti da me raccolti! Mi risollevavo dicendo a me stesso: “Non sei stato tu a versarlo!…” E pregavo per gli Innocenti, caduti per l’ingordigia di potere di dissennati dittatori.