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Paolo Sabetta

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sabbetta1Quest’uomo, lucidissimo sino alla morte, avvenuta nell’estate del 2008, viene spesso accostato al personaggio di Perlasca il quale, inventatosi ambasciatore spagnolo a Budapest, riuscì a salvare miglaia di ebrei ungheresi.

Paolo Sabbetta, originario di Cerignola e foggiano di adozione, ha salvato tante vite umane durante i nove mesi di occupazione tedesca a Roma.

In quel periodo, nella azienda alle porte della capitale, cominciarono ad arrivare giovani che si proponevano come agricoltori, come guardiani di mucche, come pastori: erano i soldati sbandati dopo la firma dell’armistizio che cercavano di sfuggire alle deportazioni.
Era il 31 Maggio del 1944, il nostro Eroe viveva a Monterotondo, nei pressi della Capitale, e lavorava appunto come dirigente dell’Istituto Zootecnico nella tenuta di Tormancina. La ‘cittadella degli eroi’, come lui la definisce, era un’area di oltre milleduecento ettari in cui viveva una comunità di duecento famiglie che ospitava circa ottanta rifugiati.
Alle soglie della fuga dall’Italia, i tedeschi gli chiesero di procurare bestiame e uomini, che avrebbero dovuto accompagnare i cavalli insieme ai fuggiaschi al confine con la Germania.
Le famiglie pregarono Sabbetta di non lasciare andare quei ragazzi e lui escogitò uno stratagemma: la mattina del primo Giugno, invece dei venti uomini presentò venti certificati medici. In pratica quando i tedeschi gli avevano ordinato di procurare venti unità e del bestiame, non chiamò i capi famiglia, ma scelse dei giovani.  Sarebbero morti tutti, anche se i nazisti assicuravano che una volta varcato il confine li avrebbero resi liberi. Disse allora a quei giovani di correre dai medici a Tormancina e di farsi scrivere venti certificati. Così fecero. E così si salvarono.
Non è ben chiaro cosa successe nella stanza del quartier generale tedesco, poiché  Paolo Sabetta ricorda solo di aver perso i sensi, probabilmente per la tensione, forse fu picchiato, sicuramente sarebbe potuto essere fucilato, ma invece i tedeschi ebbero compassione di quell’uomo e lo lasciarono.
L’intera Comunità di Tormancina si coalizzò contro gli occupanti, mettendo in atto tutta una serie di espedienti, sotterfugi, stratagemmi, per nascondere ai nazisti civili, militari, italiani e alleati, beni mobili e immobili di proprietà dello Stato Italiano. Una vera e propria beffa alimentata da un insopprimibile spirito di libertà e indipendenza. Per ostacolare l’azione degli occupanti le famiglie di Tormancina si inventarono di tutto: maiali “parcheggiati” nelle grotte prossime alla tenuta, latte sottratto alle mucche di notte per nutrire i partigiani alla macchia, 400 quintali di grano e 300 di avena occultati in un silos, mobili, attrezzi, olio e masserizie murati nei locali sotterranei.
Paolo Sabbetta ha ricevuto una medaglia al valor militare nel 1994 dal Presidente Ciampi, ma nulla hanno ottenuto gli ottanta uomini valorosi che, insieme a lui, hanno salvato migliaia di vite umane. Neanche la cittadinanza onoraria del comune di Monterotondo, dove è tuttora ubicata la stessa tenuta di oltre sessanta anni fa. L’anziano eroe ha combattuto sino alla fine affinchè venisse concesso anche a loro un riconoscimento ed una visibilità per quanto fecero e rischiarono insieme a lui.
Quando si parla di resistenza al nazifascismo, si intende comunemente la lotta partigiana armata. Tutte le altre azioni di resistenza popolare non sono state prese mai in considerazione e quindi riconosciute formalmente dall’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia). Paolo Sabbetta, insieme al professor Palomba, dirigente scolastico dell’Istituto ‘Giannone’ di Foggia, e a due storici che vivono a Roma, i professori Guidotti e Giannini, stanno facendo di tutto per il riconoscimento della resistenza popolare non violenta.

Fino alla fine dei suoi giorni Paolo Sabbetta viveva completamente da solo,  affetto da cecità parziale, un’invalidità che gli permetteva di vedere solo ombre e che in pratica paralizzava ogni sua attività, non consentendogli l’autosufficienza sia in casa che fuori.  «Se dovessi pagare qualcuno per assistermi tutti i giorni – affermò qualche anno fa ad un emittente televisiva locale – non avrei più un soldo per andare avanti. Per fortuna, o per sfortuna, sono ancora lucido, ma, dal momento che non vedo quasi nulla, ho bisogno di chi mi accompagni, di chi scriva o legga per me, altrimenti sono condannato a vegetare sul divano».  E quindi alla fine sono stati i foggiani, la gente comune ad aiutare l’anziano eroe: si è fatta strada la solidarietà spontanea del vicinato, il passaparola che si è esteso tra persone di buona volontà che dedicavano parte del loro tempo al cav. Sabetta;

Presso l’abitazione di Sabbetta, sede del comitato “Il tempo e la memoria” è stata inaugurata una mostra dal titolo “La resistenza non armata”: vi si trovano libri, fotografie, cartine geografiche e pupazzi in gesso abilmente scolpiti da Paolo Sabbetta il Perlasca foggiano in questo fantastico ‘museo di cose e di vita´ allestito, senza pensarci due volte, proprio nella sua abitazione.
Insomma esisteva a Foggia un eroe ancora vivo e combattiero.

Insomma un uomo che ha rappresentato una testimonianza vera, vivente delle atrocità della guerra che ha continuato a combattere per ottenere, negli ultimi anni della sua vita, il diritto di vivere dignitosamente senza dover sempre ricorrere alla signora della porta accanto.