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Storie di donne foggiane

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L’8 marzo si celebra in tutto il mondo la “Festa della donna” che riconosce un ruolo importante e paritario alla donna, dopo secoli e secoli di sottomissione alla egemonia maschilista. Ebbene, la scelta di questa data viene ricondotta al ricordo di un rogo in una fabbrica di New York, la Cotton, avvenuto nel 1908, evento nel quale morirono numerose donne rimaste prigioniere nella fabbrica che amdava distruggendosi.
Stranamente, a Foggia, un centro del sud che, nel XIX, non brillava certo per l’attenzione che la sua comunità dedicava alla figura femminile, ci furono degli episodi che videro la donna protagonista anche di proteste o addirittura di principi di rivoluzione che, mediamente, a quei tempi, erano legate a figure maschili. Ed eravamo molto prima del 1908.
Per esempio, nella via Maddalena, esisteva un Conservatorio con annessa chiesa dedicata a Maria S.S. della Maddalena, nel quale venivano ricoverate le donne pentite, cioè quelle che erano rinsavite dalla prostituzione. Le donne pentite erano addette alla lavorazione della pasta a mano e alla confezione dei guanti ma subito dopo furono impiegate anche nella costituenda filanda per la dipanatura della seta. Il lavoro, molto produttivo, era anche abbastanza faticoso ed una donna, tale Agnese Mastracchio, si ammalò gravemente; tutte le sue compagne, il 14 febbraio 1849, si astennero dal lavoro sostenendo di non poter operare in un ambiente surriscaldato dalle stufe, calore necessario per provocare la morte delle crisalidi, ma contestarono soprattutto il fatto di dover stare sempre con le mani nell’acqua calda per liberare i bozzoli della sericina e per ricercare il capofilo. Questa protesta, singolare perché vide le donne protestare molti anni prima di una loro vera e completa emancipazione, ebbe delle importanti conseguenze: l’anno seguente la filanda della Maddalena chiuse i battenti e le macchine furono rimosse e trasferite in uno dei locali del porticato della villa.
Un altro episodio della storia foggiana che vide protagonista una donna in una azione eroica è quello legato alla figura di Filomena Cicchetti; questa donna, conosciuta come “zia Monica”, il 28 aprile 1898 guidò una piccola folla al Palazzo Dogana, sede della Prefettura e dell’Ispettorato della Pubblica Sicurezza. Il Prefetto, dr. Donati, promise provvedimenti urgenti, mentre il sindaco, Emilio Perrone, cercava di calmare gli animi.
Purtroppo, la folla aumentava sempre di più e all’improvviso zia Monica gridò: “Andiamo al Municipio”. Il Palazzo di Città che si trovava in Via Arpi era protetto dai soldati del 78° reggimento fanteria di stanza a Foggia e il loro capitano, Bonfanti, ebbe da Roma l’ordine di sparare sulla folla, ma si rifiutò. Fu arrestato, degradato e condannato a tre mesi di carcere militare a Gaeta.
Nell’occasione il Municipio fu distrutto da un incendio, poi furono svuotati i Magazzini Generali, distrutti i casotti del dazio. Fu chiamata la “Rivoluzione della fame”, per lo stato di miseria del popolo foggiano. La goccia che fece traboccare il vaso fu un ingiustificato aumento del prezzo del pane, unico alimento del povero.
Infine è bene ricordare che nel 1946, nell’anno in cui fu dato il diritto di voto anche alle donne, alle elezioni comunali foggiane, ancor prima della istituzione delle “Quote rosa”, furono tre le donne elette al consiglio comunale, cosa di non poco conto considerando sempre che la mentalità e il livello socio-culturale medio non era quello che poteva certamente favorire l’emancipazione femminile; queste le donne elette: Anna Matera Di Lauro eletta tra le fila del Partito Socialista con 5327 voti, Emilia Da Lima tra quelle del Partito Comunista con 4730 voti ed infine Antonietta Acquaviva, democristiana, con 4335 preferenze.