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U’ cuncertìne fuggiàne

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Il concertino rientra a pieno titolo fra le tradizioni della vecchia Foggia. Una chitarra, quella c.d. francese, acustica, da non confondere con la chitarra battente, un mandolino ed eventualmente una voce ben impostata per cantare, questa la base minima e indispensabile, ma già sufficiente, perchè di concertino si potesse parlare.

I ruoli ben definiti: accompagnamento per la chitarra, controcanto, parti soliste, “svisature” e scherzetti musicali per il mandolino, poi, la voce, nei pezzi cantati, intorno e a supporto della quale si fondeva l’armonia dei cordofoni.

I componenti del concertino erano sempre di sesso maschile, e la presenza di un violino “nobilitava” la situazione. Il mandolino ed il violino si alternavano negli assòli, supplendo alla eventuale mancanza di un cantante. E mentre il violino o il mandolino “cantava”, e la chitarra accompagnava, l’altro strumento “ricamava” sotto al primo fino ad anticipare la successiva frase musicale, ma ritrovandosi perfettamente all’appuntamento quando questa iniziava. E lo stacco-attacco fra l’una e l’altra frase, maggiormente veniva avvertito dal pubblico in ascolto, e maggior vigore metteva ai suonatori, quando il pezzo passava dalla tonalità minore a quella maggiore, per il ritornello ad esempio, oppure in una mazurca o in una polca si passava da una tonalità minore ad una maggiore ma diversa attraverso la c.d. “settima” di quest’ultima, per poi tornare a quella originaria.

Nel nostro concertino tradizionale, difficilmente era presente una fisarmonica o un contrabbasso, strumenti più costosi, voluminosi e pesanti, difficili da trasportare, così come non c’erano strumenti idiofoni o idiofoni a percussione di sorta, quali nacchere, tamburelli, cembali, ecc. Ho sentito parlare, ma non ho mai visto nè ascoltato, di un altro strumento a corda, u’ catarròne (il chitarrone), se ne trova anche menzione nel “Dizionario comparato del dialetto foggiano” di Antonio Sereno. Probabilmente si trattava di una chitarra di dimensioni più grandi di quella normale in cui i suoni bassi erano più accentuati, insomma sostituiva il contrabbasso. Se ne può avere un’idea guardando gli strumenti a corda usati nelle formazioni tradizionali messicane.

Sto parlando dei primi anni ’50 del 1900, e questi sono i ricordi e i racconti che mi ha lasciato mio padre, suonatore di chitarra, da giovane in concertini organizzati, poi in quelli improvvisati. A questa eredità vanno aggiunte una chitarra del costo, all’epoca, di lire 5.000 e un mandolino pagato lire 6.000, acquistati presso il negozio di “Nasillo”, o “Radionasillo”, a Foggia, in Via Arpi. Probabilmente se non l’unico (negozio), il più fornito. Strumenti che con i ricordi, i racconti e gli episodi conservo ancora gelosamente.

Ma già alla metà di quegli anni si poteva assistere a contaminazioni strumentali, a volte musicali, del tipico concertino foggiano. La presenza degli americani nel dopoguerra, oltre a nuovi ritmi, aveva facilitato l’approccio ad altri strumenti, che però preferivano adattarsi alla tradizione. Così ho sentito il sassofono alternarsi con il mandolino negli assòli, e la chitarra banjo a sei corde unirsi all’accompagnamento con quella nostra tradizionale.

Ma fermiamoci ” o’ cuncertìne fuggiàne “. Poteva essere di “professionisti”, nel senso di componenti che oltre la loro normale attività quotidiana, per secondo lavoro, si prestavano, compensati,  a suonare negli sposalizi, i cui festeggiamenti, all’epoca, si svolgevano in casa, prendendo in prestito le sedie per gli ospiti dai vicini di casa, fra più passate di bicchierini di rosolio alternate a quelle di pastarelle, tutto già preparato in casa, poi un po’ di confetti per il buon’augurio. Il pranzo, se c’era, era solo per gli sposi, a festa [u’ festìne – u’ festàcchije] finita, quando tutti erano andati via. Le poche disponibilità economiche dell’epoca, gli ambienti ristretti in cui si festeggiava, erano già i primi motivi che portavano il concertino ad essere composto da pochi elementi, con strumenti leggeri, poco ingombranti e facilmente trasportabili.

Così come il concertino poteva essere chiamato per portare la serenata alla donna amata: per confermare i propri sentimenti d’amore a fidanzamento ufficiale in corso, o l’ultima sera, prima del giorno del matrimonio [ ‘a spartènze ], ancora, in occasione della partenza per la leva militare, oppure aveva lo scopo di proporre per la prima volta il proprio innammoramento ad una ragazza.- In quest’ultimo caso la situazione poteva evolversi solo in due modi: o la serenata era gradita perchè quella forma di corteggiamento e dichiarazione veniva accettata, così come gradito e accettato risultava l’innammorato proponente, e il tutto si concludeva, il più delle volte, con la ragazza che si affacciava alla finestra o al balcone, e qualcuno che scendeva in strada per offrire del vino ai musicanti; altrimenti, e in caso contrario, ci si poteva aspettare reazioni di vario genere. Da imposte che rimanevano chiuse o venivano chiuse con molto fracasso, a secchiate d’acqua ed urla di sdegno, fino all’affronto personale. Ecco che in quelle occasioni la leggerezza degli strumenti e la loro facile trasportabilità potevano assicurare una fuga più veloce. Quest’ultima ipotesi poteva concretizzarsi anche in caso di serenate “a dispetto”, se si era ricevuto un precedente rifiuto dalla donna o dai genitori, o il fidanzamento in corso era stato interrotto, alle parole d’amore venivano sostituiti doppisensi e sberleffi.

L’altro tipo di concertino che ricordo, era quello che si formava spontaneamente, fra vecchi amici che si ritrovavano e che, fra un bicchiere di vino e un “T’arrecùrde Tatò?” [Ti ricordi Antonio?] “M’arrecòrde Geggì!” [Mi ricordo Luigi], fermavano il tempo e lo ripercorrevano a ritroso suonando e cantando. A volte ancora nell’ambito familiare più ristretto, o nelle occasioni che la famiglia allargata si riuniva; si portavano e si tiravano fuori gli strumenti quando il pranzo volgeva al termine, le donne iniziavano a sparecchiare la tavola, i bambini erano stati assolti dall’obbligo di stare seduti composti, quello era il momento in cui iniziava il revival. Il vino non mancava mai, qualcuno diceva: “Per aggiustare e schiarire la voce”, qualche secondo per accordare gli strumenti e……..”musica maestro!”. Immancabilmente era il momento che sulla tavola venivano portate le fave fresche [u’ sopatàvele] , se di primavera-estate, oppure nocelline, castagne e fave secche, semi di zucca, ecc. [ ‘a scurzìme ] nel periodo autunno-inverno.

Di televisione non se ne parlava ancora all’epoca, niente locali di svago, di evasione e divertimento, le diffuse difficoltà economiche del dopoguerra facevano del concertino un gran divertimento, una forte e interessante attrazione, motivo di unione e socializzazione.

Ma chi erano i suonatori, gli strumentisti? All’epoca era consuetudine trovare nella bottega del barbiere, del sarto o del ciabattino uno strumento musicale a corda, chitarra o mandolino. L’artigiano, quando non era impegnato nel lavoro, strimpellava e non di rado qualche cliente-amico lì presente si univa, e gli altri, tutt’intorno ad ascoltare. Non ho mai visto componenti di concertino leggere spartiti musicali durante le loro esibizioni; la maggior parte, a mio avviso, vista l’epoca, l’estrazione sociale, il basso grado di alfabetizzazione generale, non aveva studiato musica, forse ne conosceva pochissimi rudimenti, suonava, come si dice in gergo “a orecchio”. Cioè gente con una predisposizione naturale per la musica e “un orecchio musicale”, autodidatta, che aveva “rubato” l’arte guardando e chiedendo agli altri, esercitandosi molto.

Suonare “a orecchio”, e chi usa questa tecnica lo può confermare, significa, per chi suona uno strumento di accompagnamento come la chitarra, capire e intercettare, durante l’esecuzione di un pezzo, i diversi accordi che vanno a sostenere la parte solista; per quest’ultima invece, un suonatore di mandolino ad esempio, volare con i polpastrelli della mano sinistra sulla tastiera dello strumento alla ricerca dei toni e dei semitoni che compongono il brano da eseguire, “alla cieca” si potrebbe dire, senza ausilio di spartito musicale.

Capitava a volte, durante l’esibizione di un concertino, che qualcuno dei presenti si offrisse (o venisse sollecitato) per cantare una canzone, oppure un intermezzo fatto da un “macchiettista”, professionista o improvvisato, che proponeva canti a doppio senso, piccole parodie e scenette soprattutto in dialetto. Così il repertorio di classici napoletani, mazurche, polche e cumparsite, veniva arricchito per la delizia di tutti.

Sicuramente “cuncertìne” è il nostro diminutivo dialettale della parola concerto (bandistico), l’etimo sta pure nel verbo concertare, e qui, per le cose dette e vissute, trovo la più forte assonanza con le nostre piccole formazioni musicali, nella capacità di concertare con molto spirito di improvvisazione e iniziativa. Il nostro concertino si poteva formare anche al momento, fra persone che per la prima volta si trovavano a suonare insieme. (a cura di Raffaele De Seneen)

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Ascolta il concertino tratto da una vecchia audiocassetta degli anni 70