Browse By

Un bimbo foggiano negli anni 70

3 likes [ssba]

Coloro i quali oggi hanno circa 50 anni, hanno vissuto a Foggia un’infanzia ed un’adolescenza spensierata, trascorsa in allegria, anche se i ricordi sono fortemente offuscati per il tanto tempo trascorso e per una città completamente trasformata. Cominciamo a dire che i bambini passavano tutto il loro tempo libero nel cortile del palazzo quando c’era, oppure comunque si divertivano in mezzo alla strada; nessuno di noi andava in palestra, alla scuola calcio o in piscina perché la nostra palestra era la strada. Anche la televisione, con i soli due canali della Rai, offriva poco ai bambini se non alle 16,30 “La TV dei piccini” e alle 17,00 “La Tv dei ragazzi”. Il resto della giornata si trascorreva appunto con gli amichetti del palazzo: il primo scendeva dopo aver fatto i compiti, citofonava agli altri e in pochissimo tempo ci si ritrovava tutti per strada. A condizionare la composizione delle comitive di bimbi, ci aveva pensato la scuola pubblica che, avendo istituito i doppi turni, determinava gli orari dei compiti a casa e quindi il poter disporre del tempo libero: si andava a scuola o regolarmente la mattina ma, a mesi alterni, si entrava anche subito dopo pranzo lasciando agli alunni, se a posto con i compiti dalla sera prima, di poter disporre della mattinata libera; succedeva quindi che con alcuni compagni, se sistemati in turni diversi, ci si vedeva solo la domenica a messa. Ma torniamo alla vita in strada: mentre la bambine si riunivano per chiacchierare e per giocare alla “campana”, per i maschietti il rito era giocare soprattutto a pallone: da sempre, il proprietario del pallone (in linea di massima era definito “figlio di papà”) doveva giocare per forza; quindi ci si contava, si “menava il tocco” tra i due capitani e si cominciavano a formare le due squadre con i ragazzi scelti alternativamente: se si era in numero dispari, si giocava sempre a pallone ma a “coppie e rigori” un gioco che prevedeva un unico portiere e due squadre, mentre quando si era in pochi si potevano prevedere le porte piccoline e i portieri “volanti”, portieri che avevano la facoltà di non stare fermi a difesa della porta ma potevano scendere a giocare con tutti gli altri; quando invece si era in numero giusto, i giocatori più scarsi, definiti tutt’oggi ancora “cessi”, erano coloro che giocavano in porta e molti, se ne facevano una ragione facendo credere a tutti che la scelta del ruolo era una scelta convinta; le porte si realizzavano con i massi e i cappotti e  le litigate più frequenti avvenivano quando si doveva stabilire se il tiro era alto o se era entrato in porta o se il portiere aveva commesso “frichigno” che era il fallo di mano fuori dall’area di rigore. Comunque le partite duravano ore ed ore fin quando una delle mamme non cominciava a gridare dal balcone e a quel punto o si decideva di assegnare la vittoria o ci si dava appuntamento per la giornata successiva per la rivincita o per continuare l’incontro.

Altro passatempo molto diffuso tra i bambini di allora era il gioco delle “biglie” che spesso vedeva come campo di battaglia il cortile della scuola elementare soprattutto quando si entrava di pomeriggio e ci si dava appuntamento almeno mezz’ora prima, almeno per quello che riguardava le scuole “San Pio X” e “Garibaldi” che erano le scuole da me frequentate:  quindi ci si divertiva a formare i “caccio” e a sfidarsi con le varie palline, le nerine, le mezzanelle, le mastacchiotte e le “kocis” sempre attenti a non farsi sfidare dai più capaci che potevano vincerti tutte le biglie facendoti tornare a casa pure con l’onta di essere stato “spapalato”.  

Il trenino della villa per la gioia di tanti bambini

Il trenino della villa per la gioia di tanti bambini

I bambini di allora avevano poche occasioni per scambiarsi chiacchiere con le bambine in quanto le classi erano rigidamente o maschili o femminili ed anche i giochi raramente coinvolgevano maschietti e femminucce insieme: gli unici momenti di incontro si svolgevano al catechismo che si svolgeva solitamente dopo la messa dei ragazzi la domenica: io frequentavo la parrocchia di San Pio X, guidata da don Rosario e la messa dei ragazzi si celebrava la mattina alle 10. Subito dopo che il sacerdote aveva pronunciato: “… andate in pace!” chiamava a raccolta tutti i presenti  per andare nella sala del catechismo; qualche ragazzino un po’ più furbetto riusciva a scappare durante la “comunione”, ma il buon don Rosario era sempre attento e alla messa successiva richiamava sonoramente, ovviamente davanti a tutti, coloro che avevano  marinato il catechismo. La maggior parte di noi bambini invece andavamo al catechismo, ovviamente non tanto per conoscere la vita di Cristo, ma magari per farci notare dalla ragazzina che conoscevamo a mala pena magari perché ci sentivamo eleganti per via dell’abito della domenica e così riuscivamo a fare anche i simpatici; ovviamente non eravamo mai contraccambiati ma vivevamo nell’illusione che così non fosse e aspettavamo la domenica successiva: erano le nostre prime ed ingenue cotte, quelle che magari ti restano tutta una vita a tal punto che magari da adulto riesci ad incontrare quella tua coetanea, magari di meravigli delle tue scelte di allora, anche perché la vedi bruttina ma forse quell’incontro riesce ancora a suscitarti quel sentimento puro e sincero.  Subito dopo la messa si andava all’edicola ad investire la “paghetta” ricevuta dal papà al mattino in bustine dei calciatori: tutti intorno i bambini che chiedevano di fare cambio, che stabilivano il “prezzo” di calciatori considerati “difficili” e la cui sola vista ti faceva sentire male, ti faceva provare il più bieco sentimento di invidia; quanti bambini della mia generazione hanno lasciato incompleta la propria raccolta per il mitico Pizzaballa del Verona. Il rito dell’edicola si consumava in pochissimo tempo perché la domenica, intorno alle 11,30 c’era il rito di andare con le famiglie alla villa o più precisamente al “parco giochi” della villa anche per accontentare i fratellini più piccoli: c’era una folla di bambini e si aspettava il turno per salire su un’ altalena o per divertirsi sullo scivolo; quello era il giorno in cui, proprio perché accompagnati dai genitori, si era autorizzati a tornare a casa tutti sporchi anche se con il vestito della domenica.Qualche volta si aveva anche la fortuna di farsi un giro sul trenino, o guidare le macchinine elettriche situate quasi all’ingresso della villa oppure di farsi comprare uno dei mitici palloncini che si vendevano davanti al pronao. La domenica continuava con il pranzo dai nonni che spesso doveva essere rapido per permettere ai nostri papà di poter andare a vedere le partite del Foggia. Ovviamente noi bambini non potevamo disertare un appuntamento così coinvolgente: ricordo le curve e la gradinata con i tavoloni montati sui “tubi innocenti” e la corsa che si faceva per occupare le zone più alte per poter vedere meglio la partita. Ricordo le imprecazioni dei grandi compreso il mio papà, l’emozione dei gol del Foggia che determinavano una spaventosa oscillazione dei tavoloni della gradinata che sembravano dovessero crollare da un momento all’altro. Era bello tornare a casa quando la nostra squadra vinceva ma era altrettanto triste passare la serata della domenica quando le cose non erano andate bene e si pensava quasi con angoscia alla settimana che stava per cominciare.

Poi ovviamente i ricordi non possono non tener conto della vita trascorsa tra i banchi della scuola elementare, il grembiule blu, il fioccone rosso e lo scudetto sul petto che indicava la classe. Il maestro, questa figura rigida, intransigente che con autorità e qualche scappellotto ti indicava la via per crescere. Noi tutti siamo cresciuti con quegli insegnamenti, in quelle aule abbiamo imparato il rispetto per gli altri, per il maestro che rappresentava l’autorità ma anche per il bidello che abbiamo imparato a considerare e ad amare con una persona di famiglia. C’era poi la sana complicità con il tuo amico di banco, il tuo primo vero amico, colui che ti aiutava quando eri in difficoltà e con il quale cercavi di instaurare spesso un legame anche fuori dalla scuola, magari nell’occasione di qualche compleanno o di una qualsiasi altra ricorrenza. La scuola elementare è stata la nostra prima occasione per socializzare, per capire quella che sarebbe stata la nostra vita in futuro, quella che ci ha insegnato a trattare e a parlare con il compagno più umile, meno abbiente, proveniente da famiglie di operai e magari riuscire a condividere giochi e quant’altro anche con figli di professionisti e grandi commercianti: la nostra scuola ci ha insegnato a volerci bene tutti insieme ed a vivere un’infanzia serena senza complessi e vergogne di alcun tipo.

Ma forse il giorno più importante di quei bambini a quei tempi, era rappresentato dal giorno della “Prima Comunione”. In quel giorno ti sentivi al centro dell’attenzione, cominciavi a capire che stavi diventando grande e quella era la prima occasione in cui vedevi la tua mamma, la tua nonna piangere di gioia. Ricordo quel giorno nella chiesa di San Pio X, la processione di noi bimbi vestiti con il saio mentre le femminucce sembravano piccole sposine; l’emozione della gente intorno a te, la tua paura di dimenticare tutto quello che avevi minuziosamente preparato nei giorni precedenti, i canti, le letture. Poi ovviamente andava tutto bene, ti sentivi orgoglioso e fiero davanti al fotografo, godevi per l’abbraccio dei parenti,  mentre il rinfresco, i regali completavano la cornice: che giorno straordinario! Che soddisfazione di essere stato il solo protagonista di quella festa tra zii, cugini e amici!

Beh io non so se i bambini di oggi, con mille impegni, con i cortili sempre più rari, con le strade sempre più affollate, con programmi televisivi a tutte le ore del giorno, con giochi elettronici sempre più sofisticati e graficamente sempre più vicini al mondo reale, si divertono più di quanto ci siamo “addicreati” noi; di certo abbiamo vissuto un’infanzia diversa, abbiamo sin da piccoli conosciuto i valori che puoi imparare solo con il confronto con gli altri, con i tuoi coetanei, con le loro diversità sociali. Una cosa è certa, la vita in quegli anni e i ricordi indelebili che albergano nella mia mente, non li rinnegherei per nessun’altra cosa al mondo.

(ved. anche La domenica dei bambini foggiani negli anni 70)