La pagina di un diario
Mia madre, Faustina Caputo Petrozzi, era impiegata nelle Officine Materiale Mobile delle ferrovie, unica donna del compartimento Bari-Foggia. Era rimasta vedova di mio padre nel 1936. Io ero figlia unica e nel ’43 avevo 10 anni.
La mattina del 22.7.1943, mentre io ero sfollata con una zia a San Giovanni Rotondo, lei si trovava a Foggia negli uffici situati oltre i binari della stazione ferroviaria. Nel suo diario c’è il resoconto della giornata che io trascrivo fedelmente.
“22 luglio 1943
Un bombardamento terroristico a tappeto con mitragliamento si è questa mattina scatenato sulla nostra città e principalmente sul Viale XXIV Maggio, stazione e quartieri adiacenti: molti fabbricati crollati e bruciati, assai le vittime cadute per il mitragliamento eseguito a bassissima quota (circa 10000). E’ guerra, mi si dice, ma la guerra deve svolgersi in determinate zone e territori e non tra la povera folla inerme che non trova come difendersi e senza alcuna pietà perisce.
L’apice della civiltà ci ha portati a simili conseguenze. Ormai abbrutimento di anime, incoscienza e dico anche vigliaccheria pongono l’umanità in così basso rango da spregiarlo di ogni elevata considerazione.
Alle 9 e mezza è suonata la sirena; come folle mi sono precipitata per le scale dell’ufficio diretta al rifugio. L’agitazione, la paura, la corsa mi facevano sentire il cuore in gola e il respiro, accorciandosi sempre più, m’ impediva perfino di camminare. Che terrore! Gente che scappava in tutte le direzioni, grida di bambini, lamenti d’infermi, imprecazioni, preghiere! … Come Dio ha voluto sono riuscita ad infilarmi nel rifugio dell’acquedotto dove ho incontrato Lina, Serse, Gigia, Mucelli, De Filippis. Abbiamo avuto appena il tempo di salutarci che già la tremenda bufera si è scatenata. Pareva che tutto l’edificio ci crollasse addosso: polvere, terriccio, fumo. Un buio pesto, dovuto allo spegnersi delle lampade, non ci faceva vedere più nulla: grida, preghiere, invocazioni, pianti disperati di bambini, sprezzo e odio senza remissione contro gli artefici di tanta rovina. Tre ondate consecutive hanno vagliato le nostre povere forze. Finalmente si è fatto un po’ di luce aprendo una porte di accesso ad un cortile interno del fabbricato. Altre scene di pietà! Mamme in cerca dei loro bambini, appelli disperati (molti senza risposta), abbracci fra i ritrovati scampati….tutto un mare di dolore, di lacrime, di pene. Quello che è avvenuto poi nella strada è da non potersi descrivere. Io, fortunatamente, non sono stata testimone oculare perché dal rifugio, entrata alle ore 9.30, ne sono uscita alle 16 ossia dopo che il gran numero di morti e feriti colpiti dal mitragliamento era già stato raccolto e distribuito nei diversi ospedali. Fra i tanti colpiti disgraziatamente segno il collega Michele Strazzullo che dall’ufficio, volendo raggiungere la sua abitazione in Via IV Novembre, è stato ucciso da schegge sotto il pronao della Villa Comunale. Ha lasciato nel più straziante dolore la moglie e tre figlioletti. Il suo ricordo sarà sempre vivo tra noi che l’apprezzammo per le sue non comuni doti morali, intellettuali e come ottimo marito e padre affettuosissimo.
Sola come ebete, dopo un frettoloso saluto con Lina e Serse in Piazza Cavour, mi sono recata da zia Teresina dove tutti erano in ansia per me. Appena rifattami ho cercato di raggiungere a piedi, a 5 km dal cavalcavia, l’autobus per recarmi a San Giovanni. Dopo una lunga sosta l’autobus si è messo in moto giungendo a destinazione quando il cielo si era già oscurato. A San Giovanni una folla enorme di gente in lascrime attendeva di ritorno la propria persona cara che per fortuna era scampata alla morte. Confuse tra tutta quella gente in attesa c’erano, in spasmodica ansia, Adria e Annamaria. Scorgerci e chiamarci è stato un attimo solamente. Il pensiero è volato al Signore ringraziandolo per averci fatto ancora una volta ritrovare”.
(a cura di Annamaria Petrozzi)