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Vecchi bar e osterie

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Nel 1897 in corso Vittorio Emanuele (di fronte ai Magazzini Standa) nacque una birreria: vi si poteva giocare a carte e a biliardo. Dopo l’apertura della birreria, il caffè S.Marco di Leonardo De Salvia subì la Farinaperdita di molti clienti e verso il 1900 da corso Garibaldi si trasferì in piazza del Lago e di lì a qualche anno il proprietario De Salvia, chiamato il mago della gelateria, si trasferì in piazza Lanza (attuale piazza Giordano) e chiamò il suo caffè con il nuovo nome: Roma. Nel 1880 Paolo Lombardi aprì un elegante Caffè-pasticceria nei pianterreni del palazzo Notari avendo come barista un calabrese, Giacomo D’Alessandro. Quando Paolo Lombardi decise la chiusura del locale, il barista aprì di fronte, esattamente nel 1888 il “Caffè Strasburgo” che diventò in poco tempo il miglior bar di Foggia. Un altro caffè in corso Vittorio Emanuele fu quello di Gaetano Telesforo, il “Gambrinus” che offriva ai suoi clienti anche un’orchestrina con la quale spesso si esibiva un bravo violinista: Umberto Russo”. Purtroppo questo caffè ebbe vita breve. Da ricordare inoltre la pasticceria e gelateria Aniello Farina inaugurata nel 1889 in corso Vittorio Emanuele (la relativa foto è del 1931). All’inizio del XX secolo nacque in piazza Cavour, angolo via Lanza, un altro bar che per decenni è rimasto a Foggia uno dei più frequentati e punto di riferimento per incontri e appuntamenti, senza alcun dubbio il migliore della città, il Bar Cavour.

da “Fette di Anguria” – Nicola Bonante – Foggia 1995

Il bar Cavour!

Cinquanta e passa anni firmati da un nostro pluriquotidiano passaggio nel posto che ci ha visti prima studenti poi professionisti o imprenditori o artigiani, e infine, ahimè, pensionati o… peggio.

Un bar che, con un po’ d’immaginazione, per la posizione dei due ingressi, potevi vederlo come due occhi sulla città.

Due begli occhi, in verità.

Puntati su tutto quanto avveniva e pronti ad esprimere la gioia od il dolore che l’occasione di volta in volta pretendeva.

Non è retorica! Un bar che, io sostenevo, non dovesse rispettare il turno di chiusura settimanale tant’era forte il pugno allo stomaco che ti sentivi quando, dimenticato il giorno della settimana, vi ci arrivavi e lo trovavi chiuso.

Eppure di bar immediatamente vicini ve ne erano. Eppure non è che non avessimo da protestare ora per questo ora per altro motivo.

Povero don Salvatore! Ricordo quando mi sorprese a sifonare miscela dalla sua Vespa. Ero io ad alzare la voce per sostenere che non era giusto che lui tenesse il serbatoio pieno ed io neanche una goccia. Allungavo il discorso senza smettere di tirare benzina. La rabbia più forte era per la fiducia tradita nell’essere riuscito ad avere proprio da lui la bottiglia in prestito. Allora le bottiglie valevano. Si pagava la cauzione.

E prima di lui, povero don Peppino! Dovevamo averne fatta una grossa assai per costringerlo alla diffida in Questura. Ma noi frequentavamo il bar come nulla fosse successo. Solo qualche guardata in cagnesco. Non seppe trattenersi. Mi chiamò in disparte e con affettuosa condiscendenza mi confidò che il mio nome non l’aveva messo nella lista. Finì tutto nel nulla.

Quante ne hanno dovuto sopportare! Si arrivava spesso oltre i limiti col solo risultato che non li si salutava per un po’ senza che questo determinasse il non frequentare regolarmente il bar.

Don Salvatore! capace o incapace. Fortunato o sfortunato. Ma sicuramente un “signore” in debito con la sorte per aver avuto quella moglie.

Un pilastro indistruttibile a cui la Natura aveva fatto il dono di non conoscere espressioni del volto che non fossero in sorriso. E motivi per essere nera di rabbia nella conduzione di quella azienda-famiglia, in verità non è che non ce ne fossero. Niente! La faccia scura la lasciava nel retrobottega.

Mi piace ricopiare, a questo punto, una di quelle esternazioni in dialetto che mi diletto a scrivere, perchè del ’93, quando della chiusura non sapevo assolutamente niente.

U bar Cavour

Ci stann i buch

 tant’eij u timp

che sim stat ferm

nnanz a quilli port!

U vint da stà vij?

E nuij a l’ata port!

U sol da quà? E nuij

a l’ombr da l’atu lat!

A pr-senz era continua

cum’a s-nt-nell nnanz

a caserma Mial.

Mant-navam u palazz!

Parev che, si p- nu mument

nun ci stess nisciun,

scuffulav e t’abbushkav

a S-lvanuccij n-cap.

e t- par nint nu vr-ccion

cum’e quill?

P-ppin, Pinuccij, Italuccij.

V-tuccij, B-n-ditt e Rafanill.

Orest, Pasquin e Fant-fant.

E po’?

Renz, Arnald e Lelluccij.

Mò f-narrij a list?

Ci vuless na jurnat

e na nuttat san.

Nun ci stev differenz

d- r-cchezz e d- struzion!

Là s- passav n’esam!

O dint o for!

Quist nnanz’a port. Int’o bigliard

ci stev-n i rinforz.

Ch Gigin che s-gnav i punt

e Don M-chel che facev allit’

pur chi mur quann nun ci

stev V-tuccio Pranzo,

Tatonn putev pur murì

ma da là dint nun ci srad-cav manch si

chiamav i carab-nir.

Iss stutav a luce?

E nuij stavam a scurij.

Nun t-niv i sold pu cafè?

E t’arrubbav nu ciucculatin.

Aviva ji o c-n-matò?

E Salvator t- mpr-stav i sold.

Perciò!

Pur si hanna cagnà iv -rgion

a’adda c-rcà u permess a nuij.

U bar Cavour eij u nustr

e guaij a chi ciu tocch.

(Nicola Bonante)

Le osterie del passato da ricordare sono: Osteria Matarrese dietro la chiesa di S.Lorenzo, l’Osteria di Mariuccia Zingone dietro la chiesa di S.Stefano, l’Osteria di Serafina Muollo in via Pasquale Fuiani, l’Osteria Cola de Santis in via S.Maria della Neve, l’Osteria Papone in corso Giannone, l’Osteria Tommasino in via Barra, l’Osteria Peppuzzo in via Manzoni.