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Vita e leggenda di un bandito

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Pietro Mancino (Vita e leggenda di un bandito)

Di Pietro Mancino, vissuto nella prima parte del 1600, trascrivo “L’istoria della vita e della morte di Pietro Mancino capo di banditi”, una composizione del 1700 di un cantore popolare, tale Donato Antonio De Martino, che con essa prolungò i ricordi delle sue gesta per tutto il 1800.

La fonte è una pubblicazione del 1985 di A. Vitulli, “Vita e leggenda del bandito Pietro Mancino”, e da essa riprendo ancora qualche notizia sul personaggio.

Non si sa dove sia esattamente nato Pietro Mancino, ma è sicuramente di “queste parti”. Lo dimostra la sua profonda conoscenza dei luoghi e la sua preferenza per gli stessi per portare a termine le sue temerarie azioni. Lo stesso Vitulli, nel testo, più volte lo indica come “bandito foggiano”.

Pietro Mancino organizza e porta a termine una serie di rapine e ricatti soprattutto in territorio di Capitanata: estorce 10.000 scudi al Vescovo di Troia, 6.000 ducati a un massaro di Torremaggiore, e 12.000 al principe di San Severo. E’ famoso per i suoi travestimenti, a volte si erge a difesa dei più deboli e sverna con la sua banda sulla costa slava dove è “barone”, per poi tornare in primavera in Puglia.

Proprio per la temerarietà delle sue gesta, fu assunto a servizio di una delle due parti politiche del tempo. Per i contatti e le azioni conseguenti percorse lo “Stivale” in lungo ed in largo. Fu nominato colonnello della cavalleria sabauda e nel 1636 gli fu affidato il compito di impadronirsi di Foggia e delle notevoli ricchezze della sua Dogana, di Manfredonia e di Monte Sant’Angelo per provocare la caduta del governo spagnolo, a cui darà filo da torcere, ma che si impegnerà al massimo per catturare il bandito “Pedro Manchino”.

Ma anche la fine di Pietro Mancino non è nota. Catturato, viene imbarcato a Viareggio su una galera diretta a Napoli dove lo attende la condanna. E’ il settembre 1637, di quella galera e di Pietro Mancino non se ne saprà più niente. Così la leggenda potrà continuare ad alimentarsi.

L’ISTORIA DELLA VITA E DELLA MORTE DI PIETRO MANCINO CAPO DI BANDITI
 
Io canto li ricatti e il grand’ardire
del Gran Pietro Mancino fuoruscito,
quanti nemici lui fece morire,
in questo tempo, ch’egli fu bandito.
Perdonatemi Muse in questo dire,
se non vi chiamo dall’Elicona sito,
che parlando di quel nelle mie carte
è Bellona la Musa, Apollo e Marte.
 
Dirò come si diede alla campagna,
che inganni usò, che astuzia, ed arte
come si ribellò al Re di Spagna,
seguitando lo strepito di Marte.
E se la Musa mia non m’inganna,
io v’anderò contando parte in parte,
come fu invitto, valoroso e forte

e che vita menò sino alla morte.

In tempo di Giovanni D’Oria, Signori,
fu il primo omicidio che commise,
e per evitar i futuri errori,
di Bandito sentensa su sè mise,
perchè con proditorj furori
a un suo amico che gli fu scortese,
l’ebbe a mezzòdì Pietro ammazzato,
e perciò fu fatto egli Fuorgiudicato.
 
Un valoroso e saggio Caporale,
che Marzio per nome era chiamato,
vedendo, che costui volea far male
con la squadra l’ha perseguitato,
a Pietro la forza  non li  vale,
chè avea paura d’essere pigliato,
e per salvar la testa e la sua vita,
fece da Puglia subito partita.
 
Avea inteso da un certo corriero,
che venia da Napoli a gran volo,
che le Galere di Malta, ed era vero,
eran due giorni, che stavan in mare,
subito Pietro in questa fa pensiero,
ad un nemico suo dar morte e duolo:
l’ammazzò appunto all’Ave Maria.
All’istessa ora a Napoli s’invia.
 
Giunto; si assenta sopra la Galera,
e andò a Malta alla conclusione,
ed era armato per le sue chimere,
da Cavlieri e nobili persone.
Pietro con sue solite maniere,
accadde un giorno che fe questione,
e qui si pose in testa una corona,
che ammazzò il Capitan della padrona.
 
Di Malta si partì senza tardare
e venne a Regno con un Brigantino
con Giuseppe Pittore Molfettare,
con quel s’accompagnò per il cammino
andorono prima a Barletta a sbarcare
per ammazzare Don Paolo Agostino,
ch’era nemico suo, poco lotano
d’una terra chiamata Montalbano.
 
Avea Pietro fatta committiva,
di quindici compagni di mal razza,
intanto a Montalbano esso arriva,
stava D. Paolo in mezzo alla piazza,
subitamente di vita lo priva,
e dopo quello il suo creato ammazza,
e fatto questo presero la via
coi suoi compagni verso Schiavonìa.
 
Questa, Signori, fu la prima volta,
che Pietro venne e vidde Schiavonìa:
in dove varia gente ebbe raccolta,
unendola con la sua compagnia,
e tutti uniti in Puglia fè rivolta
che della gente non si conoscia,
e colà commetteva de’ baratti,
dove poteva far de’ buoni ricatti.
 
Avea un suo nemico capitale,
quale per nome si chiamava Cola,
ed a Santo Nicola allo Casale
Pietro ve lo colse alla tagliola,
li disse “amico non ti faccio male”
con un pugnale li passò la gola,
poi disse alle compagni: “ora vi giuro,

ch’adesso camminiamo più sicuro”.

Aggi un’amico qui da basso
ed è valente Medico, e Dottore
voglio che partiamo passo passo,
e che l’andiamo a far un po’ d’onore”.
Giunsero colà senza fracasso;
a quella casa alle ventidue ore,
Pietro toccò la porta, e lo chiamaie
e disse “medico mio come staie”.
 
“Toccami questo polso nu tantillo,
vedi, che febbre tengo, e che ti pare”
lo medico toccò, e disse a chillo,
“Signor voi state in buonissimo stato”
“Eh, che tu non lo conosci lo vorzillo,
ch’è quello, amico, che mi sta malato,
io ho bisogno di tremila scudi,
che per altro effetto noi semo venuti”.
 
Rispose quello “Signore mio caro
abbi a sapere che non ne ho tanti”
replicò Pietro “non esser avaro,
che saccio, che li avesti li contanti”.
Intanto li compagni lo legarono,
dicendo “proverai tormenti, e pianti.”
Il medico vedendoli ostinati,
gli fece dare tremila ducati.
 
Dopo si parte verso Santo Marco,
ch’è una terra di là poco lontano,
giunse e si mette ad aspettar al varco
un massaro che stava in quello piano.
Questo veniva di denaro carico
ma erano cavalli, e non è vano;
gli disse Pietro “non ti dongo intoppo,
questi cavalli ti pesano troppo.
 
Voglio io aiutarli a portare
per non farti sentir tanto tormento,
ma quando sarai a casa hai da cagnare,
quanti son questi in moneta d’argento”.
Disse il massaro “che vi ho da dare,
Signore mio, che vi farò contento”,
Pietro rispose “pè sta cortesia,
due mila scudi e va per la tua via”.
 
Con cinque mila scudi s’incammina,
Pietro con tutta la sua compagnia,
e se ne andiede dritto alla marina,
e poi s’imbarcò per la Schiavonìa,
giunse dove arrivar si destina,
con li compagni lo bottin spartia,
disse “st’inverno qui ci riposiamo,
che a primavera in Puglia ritorniamo”.
 
Era di Pietro la sua nominata
sparsa per tutto, e n’avea paura,
c’ogni terra di Puglia, ogni contrada
non si teneva di Pietro sicura.
In Schiavonia una terra si ha comprata
come fusse Signore di natura,
che si facea chiamar Signor Barone,
da compagni e da ogni Schiavone.
 
Avea dato ad intendere alla gente,
che quando si partiva da Schiavonia,
che fusse Signore alto e possente,
veniva in Puglia e all’entrata ch’avia
non era come gl’altri sconoscente,
con li compagni, e con chi lo serviva
e per un minimo atto di favore
faceca a tutti duplicato onore.
 
Passò l’inverno, e venne primavera,
che son più lunghe e belle le giornate
Pietro disse con sua vaga cera
alli compagni “state preparati
alla partenza” con bella maniera,
“andiamo in Puglia a cogliere l’entrate,
che il tempo si viene a maturare,
e monsignore me lo deve dare”.
 
Appena Pietro questo ebbe avvisato
ch’ogni Compagno l’armi si prepara
e poichè vidde ognuno ordinato
cercò licenza alla parte più cara
ed altri marinai ha comandato,
che presto a mare lo legno si vara,
mentre si mostra lo tempo sereno,
per gire in Puglia a pigliar terreno.
 
Si parte Pietro con la commitiva
e venne in Puglia a tempo scordato
e subito che sotto Troja arrivae,
che due masserie ebbe abbruciate.
Monsignor di collera ruggiva,
subito dov’è Pietro ebbe mandato
che farli tanti strazi non dovea,

che gli mandava, quello che volea.

Rispose Pietro “dite a Monsignore,
ch’è poco male quello che ho fatto,
ma se vuole levare qualche errore,
dodicimila scudi è lo riscatto”.
Subito ritotnò l’Ambasciatore,
dell’imbasciata riferì lo fatto,
e Monsignore per levar li guai,
dodici mila scudi li mandai.
 
Pietro li mandò in Schiavonìa,
cercando di farne un altro maggiore,
e fatto questo si prese la via,
ed un massaro di Torre Maggiore,
volse la mala sorte orrenda, e ria,
che lo massaro con molto furore
ne avea mandati via i suoi creati;
e per gran sdegno non l’avea pagati.
 
Pietro l’affronta, e disse “dove andate!”
e quelli rispose, “Signore,
con un massaro tutti semo stati,
ma non ci paga, e ce ne caccia fuore”.
Rispose: “Ora là m’accompagnate,
ch’io lo pagherò di tanto errore
mostratemi dove abita, ch’io lo veda,
chi tiene li garzoni e non li paga”.
 
Giunto là Pietro trovò lo massaro;
e disse “come va, brutto poltrone
per che causa tu ti mostri avaro
con questi afflitti e miseri garzoni,
per vita mia, che ti costerà caro,
voglio, che mo’ li paghi di cianfroni,
e dopo ti darò la penitenza,
che senza paga li deste licenza”.
 
In sua presenza li fece pagare,
Pietro li afflitti e miseri famigli
dopo pagati ne li fece andare,
Perchè molti, avevano, moglie e figli.
A lo massaro si venne a voltare,
e disse “amico all’ultimo periglio,
io venni come Giudice commesso,
voglio seimila scudi per l’accesso”.
 
Non potè lo massaro replicare
perchè vedea Pietro incrudelito,
e li compagni, con il lor parlare,
che Pietro Mancino è conosciuto,
subitamente ce li fe contare
d’argento, non ci fur doppi, nè scudi,
e Pietro li fece mettere, e non fallo,
dentro un sacchetto sopra d’un cavallo.
 
Dopo di ciò Pietro mandò a dire,
al Principe di Santo Severo,
che avea necessario per partire
diecimila scudi a dirvi il vero,
“io giuro il Cielo, che lo farò pentire”
il principe rispose troppo altero,
essendo quello a Pietro riferito,
d’ira e di rabbi mosicossi il dito.
 
E disse “giuro da Pietro Mancino,
che contro questo Principe sì ingrato,
e mai mi partirò da sto confino,
finchè l’avrò distrutto e rivinato”.
Fu quello riferito al convicino
del Principe che stava ritirato,
per non veder qualche eccesso rio
li mandò il ricatto, e subito partio.
 
Ma per dimostrare Pietro più prove,
che non si sazia mai di ricattare,
trovando nuove a stuzie, e cose nuove
per certi giorni si venne a celare,
e poi vestito da Monaco si move,
verso Troja si mise a camminare
e fece dire con maniere strani,
ch’era Provincial de’ Francescani.
 
Non più di sei compagni s’ha portato,
solo per gire innanzi a Monsignore,
che dallo giorno che l’ha ricattato,
avea spedito molta gente fore,
che così Pietro Mancino monacato
smontò al palazzo senza aver timore
come provincial de’ Francescani,
che a Monsignor vuol baciar le mani.
 
Entrato Pietro, saglie per le scale
ma prima avvisa tutti li compagni
ch’ognun stia lesto se succede male
“e nessun da me non si scompagni”
e così entrando da provinciale,
Disse “Signore, acciocchè non v’inganni
lo Monaco non son di tal confino,
ma nominato son Pietro Mancino.
 
Non sia nessuno, che si muov’a niente
che sarete ammazzati tutti quanti,
qui non ci vonno scritture o strumenti,
voglio tremila scudi di contanti,
e se tu troppo tardi, avverti e senti,
ti porto in Schiavonìa verso Levante”.
Lo Vescovo vedendo questo caso,

li diede tremila scudi co’ no vaso.

Si parte Pietro ed andò a ricattare
lo Barone chiamato de lo Sito,
ma questo colpo non potea avanzare
stando il Baron di gente guarnito
Pietro, che niente gli potette fare,
trovandosi arraggiato e incrudelito,
per farli danno, e per donargli guai,
cento cinquanta vacche l’ammazzai.
 
Per tanti, e tanti danni che avea fatti
la Puglia tutta rivoltata s’era
ognun si lamenta de’ ricatti;
Ascoli, S. Severo, Foggia, Lucera,
Berletta, e Manfredonia sono sfatti
Melfi, Venosa, Lavello, e Matera,
Dulgito, S. Agata, Orsara e Troja,
Gravina e Spinazzola ebbero noja.
 
Dopo da Commissario si partia
Pietro con i compagni per lo piano
Pietro di ricattare arde, e desia
lo gra Baron di Pescolanciano,
con questa bella astuzia s’invia,
arrivò Pietro e gli toccò la  mano,
e disse “signor Barone tu non vedi
or non son Commissario come credi,
 
e son Pietro Mancino tuo creato,
e vedi quanti poveri compagni,
siamo a sto loco appunto arrivato,
acciò signor mio non ti sparagni
perchè mi trovo un poco spedato
che mali tempi son, mali guadagni,
io voglio quattromila ducati”,
e per finirla gli furono dati.
 
Così per tutti quanti li paesi
andavan molte Squadre, e Caporali
per avre Pietro in mano e li tornesi,
e Pietro se ne ride, e fa gran mali.
Incontrò un Caporale, ch’era Leccese,
e Pietro non conosceva, questi tali,
che domandando a noi, e ognun lo sgarra,
dicendo “andiamo contro Paolo Marra”.
 
Dopo tanti ricatti Pietro fatti
per tutti li massari di Candela,
che ricco e sazio di tanti ricatti,
verso Venezia drizzò la vela,
e là da Capitano, fece i patti
fece una compagnia e non si cela,
e mentre siede là questa persona
si stese a ricattar sino ad Ancona.
 
Parte non v’era dove praticava,
che non fosse stimato e riverito,
nè mancò lo guidato lui pigliava,
acciò della Corte non fosse tradito,
tristo lo luogo dov’esso arrivava,
se qualcuno riccone avea sentito,
ch’avesse argenteria e qualche gioia,
dicea, che ne volea la parte soja.
 
Stiè Pietro un’anno e mezzo ritirato
e di denari si vedea mancare,
com’era solito suo, fu ritornato,
dove soleva, in Puglia, a ricattare,
e da un fedel suo amico fu avvisato,
che alla Ginestra un tal suo compare
lo sta apettando con gioia e con festa
con tradiemento per farli la festa.
 
Questo compar di Pietro seco tenne
tre giorni, un caporal assai celato;
per lo quale effetto era venuto
acciò ch’avesse Pietro ivi ammazzato
Pietro partissi come sconosciuto,
e quando alla Ginestra fu arrivato,
si pigliò le pecore, e la lana,
come fa un commissario di Dogana.
 
E dopo disse, Pietro allo pastore,
come quello, che pecore ricetta:
“Va corri mo’, e chiama il tuo Signore
dilli, che il Commissario l’aspetta”,
quello chiamollo e venne con furore,
Pietro senza cavarsi la berretta,
gli disse “ben venuto Sor Compare,
avemo un certo conto insieme  a fare.
 
So che ti sei fatto traditore,
che mi cerchi vendere e comprare
come Giuda tradì nostro Signore,
così tu cerchi di farmi ammazzare”.
Quello negando lo commesso errore
Pietro rispose “non mi replicare,
mandatemi a pigliar seimila scudi,

perchè li traditor vanno chiaruti”.

Dopo che lo Compare ha ricattato
delli seimila scudi di contanti;
se n’andò a Melfi, dov’era aspettato,
da un Signore, che l’amava tanto
là stiede tre settimane ritirato,
facendo mascherare tutti quanti
con li compagni suoi dandosi spasso,
in balli e suoni facendo fracasso.
 
E poi da Melfi un giorno partito
per ritrovare in Napoli il fratello
e giunto alla Città con gran desio,
con allegrezza lui abbracciò quello,
ed alla Carità sempre dormìo,
non fu mai conosciuto da ribelle,
che tanti modi, e tanti gesti avea,
che travestito non si conoscea.
 
Era Pietro di colore sbano,
che nello viso pochi peli avea,
e tanto da vicino, e da lontano
quando volea non si conoscea,
nessuno mai lo potè aver in mano,
e mentre là con il fratello stea,
cercò licenza un giorno, e se n’andai,
ma prima mille scudi li lasciai.
 
V’era un Signore di casa Gualtiero,
Gentiluomo, e molto suo nemico;
di poi si parte con animo fiero,
per ammazzare lo notaro a Vico,
che sempre contro lui col mal pensiero
li mandò gente, e prima l’era amico
arrivò a Vico, con tormento amaro,
di mezzo giorno ammazzò il notaro.
 
Scontrò un dì la squadra di Madonna,
quest’è una squadra molto nominata
e però Pietro sta volta la sgarra
perchè un compagno prese qualla strada,
dentro lo bosco di Marzocco l’ingarra,
dicendo Pietro “sta mala jornata,
niente m’importa se non perditor,
ch’un altra volta sarò vincitore”.
 
Dopo scontrò l’Alfiero di Morcone
poco lontano al Ponte di Bovino,
e Pietro spara a guisa di Leone,
e l’Alfiero ammazzò sopra il cammino,
visto ch’era l’Alfiero compagnone,
ne restò Pietro misero e tapino
non pensando di fare tanto male,

credeva che fosse qualche Caporale.

Ma lo Barone, ch’era già nemico
a quest’Alfiero perchè lo molesta,
mandò a dire a Pietro per un’amico,
che li mandasse secreto la testa,
che seimila scudi, come dico,
gli mandarai con gioia, e con festa
perchè cotesto Alfiero di Morcone
avea seimila scudi di taglione.
 
Rispose Pietro “la voglio mandare
al Barone la testa dell’Alfiero,
ma voglio prima in mano lo denare”
acciocchè non mutasse il pensiero,
vennero li contanti: come appare
e Pietro per la fè del Cavaliero
trovò un castrato e poi lo scanna,
la testa gli taglia e quella le manna.
 
Vedendo Pietro, che in ogni confine
stavano gente di grande ardimento
s’invia per la parte di Avellino;
andò a Montevergine al Convento,
a salutare la Madre Divina,
poi disse a’ Padri “non abbiate spavento
voglio una veste di provinciale,
per gir fuori di Regno, e non far male”.
 
Li padri, ch’anno Pietro conosciuto,
subito un vestito l’hanno dato,
e da provinciale fu vestito,
che pareva un monaco garbato,
e così dal Regno se ne fu partuto,
ed andò a Roma, e si fu accomodato,
perchè era di magnanima creanza
ove serviva l’Ambasciator di Franza.
 
L’ambasciatore di Spagna sentendo
questo bandito tanto nominato,
andò cercando di far questa prova,
acciocchè Pietro restasse ammazzato,
e lui ne fu avvisato, e non li giova
che stasse in casa di quel potentato,
subitamente si pigliò licenza,
 e se n’andò alla volta di Fiorenza.
 
Poco vi dimorò dentro Livorno,
che non li parse buona quella parte,
e benchè stasse di grandezza adorno,
verso Savoja subito si parte,
e questo Generale il primo giorno
avendo inteso di Pietro le carte,
ch’era uomo di gran valenteria,
Capitano lo fè fare di cavalleria.
 
Mentre che stava Pietro riposato
si rappresenta l’ora della morte,
subitamente cascò ammalato,
dentro Torino dove stea la Corte
benchè nullo mai fuorgiudicato
avesse avuto tal fortuna, e sorte,
come Pietro morisse al suo letto
nè in mano della Corte con dispetto.
 
A Pietro intanto lo male aggravava
ed esso stesso se lo conoscia,
giorno e notte chiamava, e pregava
per Avvocata la Vergine Maria,
perchè sempre lo Sabato guardava,
e mai non peccava in fede mia,
dicendo “o Madre delli peccatori,
perdono a me delli passati errori!
 
Sotto la scorta Tua, spero Signora,
di aver il Purgatorio, e non l’Inferno,
in questa mia felice ed ultima ora,
godere alfin il Paradiso eterno.
Degnati o Madre Santa, e lell’Aurora
scamparmi dalle furie d’Averno,
per li meriti tuoi, Madre Maria,
spero d’aver la salute mia”.
 
Con San Giuseppe, ed altri avvocati,
de’ quali Pietro sempre era divoto,
tutti in aiuto suo ebbe chiamati,
per sua difesa nell’ultimo fiato
così ebbe li giorni trapassati
dentro Torino, siccome m’è noto
ed io Donat’Antonio di Martino
feci l’istoria di Pietro Mancino.
 
Pietro Mancino se ne fe gran male,
grossi ricatti e grand’uccisione,
non era cogl’amici mai rivale,
ed avea in se qualche divozione,
mai fece assassini questo tale
sol delli nemici fè distruzione,
li ricchi ricattò con gran dispetti,
ma sempre amico fu de’ poveretti.
 
Però Signori, che avete ascoltato
la vita, e morte di Pietro Mancino
non sia nessuno, che stia fidato
di far male per niun camino,
benchè a Pietro li dimostrò lo fato
in favore la sorte e lo destino
che alli banditi il lor fin si nota,
il collo in terra, la forca e la rota.