Voci popolari per strade e vicoli
‘A mènde, u’ putrusìne e l’agghijetìlle, tre còse nu turnèse!!! (La menta, il prezzemolo e l’aglio fresco, tre cose per un tornese)
‘U pèsce ìnde a’ carròzze, tùtte da fòre ‘sta sère, tènghe i quìlle addurènde addurènde!!! (Le lumache – ciammaruchèlle – tutte fuori dal guscio questa sera, tengo gli involtini di carne di cavallo – brasciòle – odorosi odorosi)
N:B: Siccome per ragioni di igiene era proibito vendere per strada gli involtini di carne di cavallo, i venditori li propagandavano col termine dialettale “i quìlle”, come a dire: tengo pure quelle cose la, ce sìme capìte!!??
Ije me mètte o’ pìzze ‘a strede e sènde addòre ‘i cartellàte!!! (Io mi metto all’angolo della strada e sento l’odore delle cartellate)
Accattàteve u’ capetòne de Lèsene, pùre crùde se pòte magnà!!! (Compratevi il capitone di Lesina, pure crudo si può mangiare ……… tanta è la sua bontà)
I fenucchìlle ijànghe, i fenucchìlle ijànghe!!! (I finocchielli bianchi, i finocchielli bianchi)
N:B: L’aggettivo bianco sta per vantarne anche la tenerezza e la sapidità
‘I fichedìgne a pagnòtte!!! (I fichi d’india grossi come una pagnotta di pane)
I cardùne attannùte!!! (I cardoni bianchi,freschi e croccanti)
I peperùsce nen so’ fòrte, ma dòlce e rùsce, so’ tùste e nen sò’ mùsce!!! (I peperoni non sono piccanti, ma dolci e rossi, sono duri, stà per freschi, e non sono mosci)
I cìveze ca nève, i cìveze ca nève!!! (I gelsi bianchi, i gelsi bianchi)
‘I ciammaruchèlle, i pìsce ‘nda carròzze!!! (Le lumachine, i pesci nella carrozza)
N.B. Per carrozza va inteso il guscio della lumaca
I fùnge du vòsche!!! (Funghi di bosco)
Erve ‘mmesc’kàte pùije fa ‘na bona magnàte!!! (Verdure miste, di campagna, ne puoi fare una buona mangiata)
N.B. Dette pure “frònne ammìsc’ke”
I cardungìlle ijànghe!!! (I cardoncelli – piccoli cardi – bianchi)
I marasciùlle!!! (Verdura amarognola e con effetti lassativi, si dice che quelli raccolti sotto la vigna siano migliori)
‘I ijète selvàteche pe affenà u’ sànghe!!! (Le bietole selvatiche, di campagna, per purificare il sange)
‘I catalògne spegàte pe u’ fèghete malàte!!! (Le catalogne spigate fanno bene a chi ha problemi di fegato)
I fiurìlle da fa frìtte e ‘nduràte!!! (I fiori di zucca da fare fritti e indorati nell’uovo)
‘A rùchele chi bùche addòre pùre quànne èije còtte!!! (La ruchetta o rucola, con le foglie bucherellate profuma anche dopo la cottura)
N.B. Veramente quest’erbetta quando ha le foglie bucherellate viene ritenuta di scarto perchè attaccata da parassiti, più coriacea e dal sapore forte, ma proprio quest’ultima caratteristica veniva esaltata dai venditori.
Acce e vasenecòle pe dà chiù sapòre!!! (Sedano e basilico per dare più sapore)
I diavelìlle pe fà arrezzà i capìlle!!! (I peperoncini picccanti per far rizzare i capelli in testa…. tanto sono forti)
‘I cimamerèlle!!! (Verdura di campo diuretica e lassativa più dolce dei “marasciùle”)
I rafanìlle!!! (I ravanelli)
Nu sòle ‘a pàlme, uèh facìte pàce!!! (Con un soldo, la domenica delle Palme, a Pasqua, si poteva far pace, recuperando un rapporto amicale o parentale interrotto, con lo scambio di un rametto d’ulivo)
‘I catalògne spegàte chi fàfe vànne magnate!!! (Le catalogne spigate vanno mangiate con le fave)
Salatìlle, so’ salàte i salatìlle!!! (Lupini, sono saporiti i lupini)
‘I scagghiùzze càvede càvede!!! (Gli scagliozzi caldi caldi. Frittelle di farina di granturco impastata e fatta riposare, mangiate calde calde e abbondantemente salate)
N.B. Era il grido che si sentiva lanciare di sera nei vicoli e nelle strade da un ragazzo che portava a tracolla un contenitore di stagno, come un semicilindro dove conservava il prodotto al caldo che poi offriva agli acquirenti in un cartoccio, nu cùppe, di carta gialle non prima di averli sapientamente cosparsi di sale che fuoriusciva da un cilindro metallico, bucherellato, che aveva nell’altra mano)
‘I frònne, chi tène ‘i frònne, scòrze de melòne!! (Gli avanzi di verdura, le foglie, le bucce di melone, era quello che l’uomo col carretto, passando di strada in strada, chiedeva per integrare l’alimentazione del suo bestiame bovino, equino o ovino che fosse.)
‘A mennèzze, ‘a mennèzze!!! (Era il grido che lanciava ad alta voce l’uomo addetto alla raccolta mentre entrava nel portone di uno stabile a più piani per dare tempo alle donne di casa di mettere fuori ” ‘u cùcce da mennèzze “. L’uomo portava sulle spalle un grosso sacco di grossolana tela o cuoio e chi poteva dirlo!! Saliva le scale, come un fulmine, a quattro a quattro, ma all’epoca di immondizia se ne faceva veramente poca, forse con un sacco faceva quattro o cinque grossi condomini. Il suo stato, poverino, indescrivibile, tutt’uno con il sacco. Ne abbiamo avuto di eroi, e chi li ricorda più!!??
U’ putrusìne sèmpe ce vòle!!! (Il prezzemolo occorre sempre, non guasta mai)
Givinò amma tagghijà!!! (Giovanotto vogliamo tagliare!!!) Con questo richiamo la venditrice di fichi d’ndia richiamava l’attenzione dei passanti. Un banchetto di legno, di fianco alla chiesa del Carmine vecchio, il “traino” con le “stanghe” rivolte verso il cielo e pieno di ceste ricome di frutti maturi e spinosi, una “lamparella” ad olio o acetilene per rischiarare appena il “quadretto”, ” ‘na sfèrre ” (coltello) per incidere i frutti, uno straccio forse, mani nere, callose dove erano le spine a scontrarsi ed avere la peggio, ma tanta abilità, perchè quando la gara fra i magiatori di fichi d’india aveva inizio l’atuzia del venditore stava nella rapidità di rifornire i concorrenti in competizione. Ul taglio in testa al frutto, uno “in culo”, il terzo di traverso, per lungo che metteva i due precedenti in comunicazione, poi due dita di una mano prendevano un lembo già inciso della buccia, due l’altro, qualcuno sotto al frutto faceva una lieve pressione, tre secondi, ed erano, fatemi passare la similitudine, come parti cesarei in continuazione dove ogni nato non riusciva a dare neanche il primo vagito perchè la gara era in atto. Alla fine si contavano le bucce di fichi d’india accantonate e chi ne aveva mangiate di meno pagava tutto.
Tosse!!! – Qualcuno lo ricorderà ancora quell’uomo che periodicamente si metteva con la sua bancarella sul Viale della stazione, all’altezza dell’attuale sede della Banca d’Italia. Vestiva alla “turca”, con un fez rigido di colore bianco in testa, baffi neri rivolti verso il basso, vendeva delle caramelline bianche, come dei confettini che “servivano” appunto a calmare la tosse. Il suo richiamo non era gridato, ma sommesso e discreto.
Rròbbe vìcchije, fìrre vicchije – Così andava gridando lo stracciarolo, il robbivecchi e/o raccoglitore di ferraglie dell’epoca spingendo il suo carrettino per le strade. All’epoca si riciclava tutto, fino allo spasimo, rientrava nell’economia familiare, domestica. Quindi si contrattava per avere in cambio qualche lira, o si barattava con piatti e bicchieri. I ragazzi erano dediti a raccogliere e conservare ferro vecchio da dare in cambio per biglie di vetro.
Gelatti!!! – Non so a Foggia, ma nelle borgate circostanti negli anni ’50 il gelato “arrivava in bicicletta”. Una specie di carrozzino, come la metà di una barca, dalla prua a metà diciamo, con due grosse ruote laterali, e dietro, per spingerlo mezza bicicletta, una ruota e sellino. Nel carrozzino tutto bianco, con qualche ghirigoro azzurro, affondavano due grossi contenitori, tenuti al fresco da barre (stecche) di ghiaccio celate nel ventre del trabiccolo. Due soli gusti, limone o cioccolato, cinque lire il cono piccolo, dieci il grande. Due colpi da un fischietto di latta schiacciato e bitonale ed poi il richiamo:
Gelatti!!! Con la consonante “g” che veniva pronunciata in maniera ancora più dolce, quasi “j”.
(a cura di Raffaele De Seneen)