Browse By

La Villa Comunale

6 likes [ssba]
La fontana negli anni 30

Il pronao negli anni 30

“… perchè gli storici a venire potessero avere fonti precise cui rivolgere ed attingere con certezza di date e di fatti, convinti come siamo che non si sarà fatto mai abbastanza per la nostra Foggia in tale campo…”, è quanto scrive Giulio Cifarelli nella prefazione all’opuscolo “Squarci di vita foggiana” stampato in Foggia presso la tipografia “Il Rinnovamento” il 25 agosto 1958, dove l’autore, Mario Menduni, raccoglie una serie di piccoli e interessanti saggi pubblicati fra il marzo 1947 e luglio 1956 su “Il Corriere di Foggia” prima e su “Il Gazzettino Dauno” in seguito, in una rubrica che porta lo stesso titolo dell’opuscolo.

Il saggio che interessa l’argomento trattato porta il titolo “Contro la soppressione dei giardini pubblici di Foggia”, pubblicato il 10 novembre 1947 su “Il Corriere di Foggia”, ed è l’occasione per l’autore di ripercorrere la storia della “Villa comunale”.

A distanza di sessant’anni, le preoccupazioni del Menduni, per alcuni versi, sembrano ancora attuali, se non proprio con riferimento alla “Villa comunale”, ma più in generale alle vicende urbanistiche che hanno interessato la nostra città. Oggi si parla di “Parco urbano” e “Orto botanico” da creare nell’area dell’ex Ippodromo, ma tante sono state le mire e i tentativi di cementificare pure quel sito.

In un altra pubblicazione di Urbano Marano, studioso di cose locali, insegnante alle Scuole “San Giovanni Bosco” di Foggia, dal titolo “PIETRE PAROLE BRONZI – La villa di Foggia e i suoi monumenti”, Franco Leone Editore – 1982 1^ edizione / 1984 2^ edizione, ancora la storia della “Villa comunale”, ma con particolare attenzione “alle sculture ospitate nel maggiore dei giardini pubblici di Foggia”, soprattutto statue, bronzi, basso ed altorilievi di “uomini illustri, cui Foggia ha dato i natali e che l’hanno onorata con la loro opera o con la loro attiva testimonianza”: biografie precise e dettagliate, eventi d’epoca, notizie curiose e gustose.

Trattando solo l’argomento sulla “Villa comunale”, accennando al resto ed estrapolando alcune notizie, brevi e interessanti, ma almeno per me nuove e degne di separata trattazione, tenterò un collage dei due lavori, lì dove uno integra l’altro e nell’insieme danno più completezza all’argomento.

Iniziamo con le “preoccupazioni” di Mario Menduni.

 “Discutendo sullo sviluppo urbanistico della città di Foggia, da qualche tempo si ventila la progettazione di nuove costruzioni edili che dovrebbero sorgere su aree cedute dal Comune. Si parla – tra l’altro – di una fantastica trasformazione dell’attuale Villa Comunale in una moderna arteria alberata e fiancheggiata da imponenti palazzi, viali, prati, ispirandosi addirittura ad un grandioso parco come il Valentino di Torino. E fin qui siamo d’accordo. Ma la questione rovente sulla quale noi foggiani non possiamo fare a meno di sorvolare e che, al contrario, sosterremo col più fiero accanimento, è quando nell’aria aleggia l’dea di voler sopprimere i nostri giardini pubblici, orgoglio di tutta Foggia, attrazione dei forestieri, per farne sorgere altri chi sa dove e …. quando.

     “Confessiamo che l’argomento è delicato e riconosciamo anche che solo i tecnici, unici competenti, possono polemizzare e sostenere questa o quell’altra tesi. Però, poichè la Villa Comunale ha anch’essa la sua storia, noi ci limitiamo solamente a riportarne un sunto, riservato per coloro che oggi dimostrano apertamente d’ignorarla.

“I giardini pubblici di Foggia, erroneamente definiti “Villa Comunale”, devono la loro origine al 1820. Creati su un’area di oltre 1000 metri di lunghezza e 50 circa di larghezza, sono costituiti da una duplice fila di alberi che si immettono in un boschetto a forma di labirinto. I lavori di sterro vennero eseguiti per lo spontaneo concorso di numerosi proprietari locali che, a loro spese, provvidero per l’impiego degli uomini, materiali e mezzi di trasporto. Lo scopo di tale iniziativa fu di risanare tutta quella zona malsana e trasformarla in un luogo di ricreazione, riposo e pubblico passeggio.

 

     Conferma, precisa e aggiunge Urbano Marano: “I cittadini godono di tale privilegio sin dalla primavera del 1820. Fu realizzato dall’Intendente di Capitanata (Prefetto del tempo) Nicola Intonti, su progetto degli ingegneri Luigi Oberty e Camillo de Tommaso, nel giro di pochi mesi giacchè i lavori, iniziati il 12 gennaio 1820, furono ultimati nel mese di maggio dello stesso anno”.

Forniamo le misure dell’epoca della “Villa comunale” così come riportate dal Marano: “larga palmi duecentoventi (m. 58,20) e lunga due terzi di miglio (m. 1.284)”

Prosegue Menduni: “Ma appena qualche anno dopo, per incuria, i giardini vennero trascurati e quindi abbandonati. Nel 1824, per volere dell’allora Intendente Santangelo (Cav. Nicola, precisa il Marano), si provvide alla rinascita dell’amena località. L’ingresso ai giardini fu dotato di un magnifico prospetto, su progetto dell’architetto Luigi Oberty, e venne costruito sotto la direzione dell’ing. Camillo De Tommaso. Esso è tutto simile a quello del teatro Marcello dell’antica Roma, formato da un porticato rettilineo sorretto da ventotto grandi colonne di ordine dorico su doppia fila, con due casine agli estremi, ed il tutto sormontato da un cornicione su cui s’alza un attico adibito a terrazzo. Il passaggio dell’intercolonnato era provvisto di ringhiera di ferro che aprivano tre ingressi”.

 

“Altri lavori furono inoltre eseguiti per l’abbellimento dei giardini. La lunga figura del terreno venne abbreviata e ridotta a  quasi 800 metri di lunghezza. I viali resi più spaziosi, specialmente quello centrale; sorsero poi aiuole, prati, piante varie, statue, vasche, fontane a getto (particolarmente ammirata quella del Mercurio), serre e piccole cascate. E’ da notare che la cancellata di ferro che cingeva l’intera Villa – rimossa da pochi anni [“poi donata alla patria”, precisa il Marano (per la fusione e costruzione di armi da guerra)] ed attualmente [1947] in via di rifacimento – anticamente circoscriveva la Villa Reale di Napoli [Borbone – Regno delle Due Sicilie] e parte di essa venne poi acquistata dal Municipio di Foggia”.

Riprendiamo altri particolari dal Marano: “Il prospetto, detto propileo o pronao, venne però realizzato soltanto nel 1827 dagli ingegneri Oberty e De Tommaso, grazie soprattutto al sindaco Tommasantonio Celentano, che molte volte si recò a Napoli per avere l’autorizzazione dal governo”.”

“Ai lati del porticato, dalla cui volta pendevano numerosi artistici lampadari, vi sono due locali [“due casine” le chiama il Menduni]: quello di destra era e tuttora è utilizzato a sala di esposizione, quello di sinistra un tempo era adibito a bar pasticceria, mentre oggi è occupato dagli uffici A.T.A.F.”.

“Esternamente ai due locali, sul fronte di piazza Cavour, vi erano quattro finestre, due per parte, le quali furono trasformate a nicchie per ospitare le statue dei sovrani borbonici: Francesco I, Elisabetta, Ferdinando II e Maria Teresa, opere degli artisti Tacca e Angelini, allievi del famoso scultore Antonio Canova. Le statue, poi, per la sopraggiunta unità d’Italia, furono sistemate al secondo piano del Teatro “Umberto Giordano”, nel Salone del Circolo Dauno (oggi Salone di rappresentanza “Fedora”) e scoperte il 10 novembre 1867, giorno dell’inaugurazione del Circolo”.

Non sarebbe cosa riprovevole o sbagliata riportare quelle quattro statue, se esistono ancora, nel loro sito originale, la “Villa comunale” ne guadagnerebbe. Visto che la riscoperta delle allegorie del ventennio fascista sugli scaloni del Municipio di Foggia non ha provocato alcun risentimento, che l’Unità d’Italia è stata fatta, che gli italiani sono a buon punto e le vicissitudini di casa Savoia, anche i Borboni, a mio avviso, non fanno più paura; tenuto conto che, nel bene e nel male, hanno governato questa terra (Ex Regno delle Due Sicilie) per più tempo degli stessi Savoia, risparmiandoci anche qualche guerra.

Continuiamo con il Marano: “A ridosso dei due locali furono, poi, edificate due elegantissime e simmetriche palazzine le quali hanno l’ingresso secondario nella villa e quello principale in via L. Scillitani e in via Galliani”.

[La prima, ex sede di Circoscrizione comunale, la seconda, detta Palazzetto dell’Arte con “Sala Grigia” per esposizioni al piano terra e “Sala Rosa” al primo piano per convegni].

Il Marano ci ricorda ancora: “….furono impiantate meravigliose fontane come la Fontana del “Mercurio”, la “Fontana delle Rane”, la “Fontana delle Palme”, la “Fontana del Pezzente” o “Cascatella”…. (Laddove terminano i giardini fu creato un laghetto artificiale, abbellito di pietre vesuviane e da una Cascatella le cui acque scendevano da un piccolo poggio – M. Menduni)…. ed altre tanto che per alimentarle, mancando ancora l’acqua corrente, si dovette ricorrere alla installazione di serbatoi e pozzi artesiani”.

In una nota alla “Fontana del Mercurio”, il Marano riporta: “L’artistica statua in grandezza naturale del ‘Mercurio’, reggente un lampadario a gas, di sera illuminava la farmacia del dott. Augusto Della Martora  che era ubicata ai numeri 136 e 138 di Corso Vittorio Emanuele II. Verso la fine del secolo il proprietario morì e, siccome non aveva eredi, il ‘Mercurio’ fu donato all’Amministrazione comunale che lo collocò al centro della villa e poi nel boschetto, dove venne distrutto dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale”.

Veduta della Villa negli anni 80

Veduta della Villa negli anni 80

“Fu costruita a centro dei lunghi viali, una piattaforma onde ospitare gli orchestrali che il giovedì, la domenica e in occasioni di festività religiose, civili e nazionali allietavano i cittadini con le loro esecuzioni e una palazzina stile 900 per alloggio al custode. Inoltre furono sistemati molti sedili, venne sostituita la vecchia illuminazione a gas con quella elettrica, furono pavimentati i maggiori viali e piazzali, fu provveduto alla sistemazione dello scolo delle acque, furono disposte meravigliose statue, come quella della “Sapienza”, diversi monumenti, come quello a Giuseppe Rosati, Vincenzo Lanza, Lorenzo Scillitani, Saverio Altamura, Celestino Galliani, Francesco Ricciardi, un pino dedicato ad Arnaldo Mussolini, ecc. ecc. Dinanzi al prospetto di piazza Cavour furono sistemati due “pili” monumentali in pietra levigata di Trani e bronzo, opere dello scultore Antonio Bassi, su cui i giorni festivi venivano issati il tricolore e il drappo recante i colori della città”.

“I ‘Pili’ col tempo furono tolti per agevolare la viabilità, ma intanto i tempi cambiavano e ai signorotti che prima affollavano la bella villa si sostituivano i borghesi, i quali, non smentendo i primi, vi si attardavano fino ad ora inoltrata specialmente nella stagione estiva”.

Riprendiamo dal Menduni: “Su questa collinetta, eretta all’ingresso del boschetto e dominante l’antistante laghetto, si scorge un tempietto in stile jonico, circondato da colonne, costruito nel 1827, sotto cui venne poi collocato il busto in marmo al grande agronomo e letterato foggiano Giuseppe Rosati”

“L’annesso boschetto, creato nel 1822,… [Dal Marano: “… venne attuato nel 1822 dall’Intendente Biagio Zurlo, il quale si avvalse dell’esperienza di un provetto giardiniere di Napoli, Felice Giordano, che eseguì il disegno e diresse i lavori]…. abbraccia una notevole estensione di terreno: in esso si elevano, si addensano alberi rigogliosi e fronzuti, in mezzo ai quali s’intrecciano vie tortuose, stradicciuole, tra fontane, rigagnoli, ponticelli, clivi, grotte e sculture d’apparente antichità, esattamente cioè come i giardini inglesi. In fondo a detta selva, su un clivo ombreggiato da cipressi, vi è una specie di romitorio, luogo di pace e di riposo, sulla cui soglia una volta esisteva una statua di eremita – che prese poi il nome di “U pezzente” – assiso a leggere”.

“Tale eremo era sormontato da una porta (da tempo distrutta) ove sull’arco di essa un tempo si leggeva:

Fratel vivi a te stesso e di cittade

Fuggi l’insopportabile rumore;

Osservi se star devi in societade

Del silenzio le leggi e del pudore

Limiti i tuoi desir, la sobrietade

Ama, e ragion la guida sia del core;

Segui prudenza e quando ad uom conviene

Sii tardo in giudicar, pronto in far bene.

“In continuazione del boschetto c’era l’Orto Botanico – più tardi migliorato e sovvenzionato dall’allora fiorente Società Economica di Capitanata – arricchito di serre per la coltivazione di fiori rarissimi e per l’esperimento di varie specie di piante come il cotone, la sulla, il bromo, la barbabietola bianca ecc. Al centro di esso fu collocata anche una macchinetta udometrica, sorretta da una colonnina, per la misurazione della quantità media di pioggia cadente sulla città. Nel 1834 si rese anche famoso per l’industria dei bachi da seta e per una importantissima filanda”.

“L’ingresso all’Orto Botanico era formato da diverse porte su una delle quali era scritto:

MINERVAE NON PRIAPO

HORTULUS HIC SACER

HIC JUVENTUTEM LINNAEUS

HIC AESCULAPIUM CHIRON

DOCET

  1. D. MDCCCXXXVII

“Negli anni successivi i Giardini pubblici furono costantemente abbelliti e rinnovati;vennero colà allestite le prime Mostre Agricole-Industriali oltre a tante manifestazioni artistiche-culturali: teatro all’aperto, proiezioni cinematografiche, esposizioni artistiche, parchi dei divertimenti, estrazioni di lotterie”.

“Quando nel 1932 alla nostra città fu dato un novello profilo con importanti lavori eseguiti nelle principali arterie, i Giardini pubblici subirono una radicale trasformazione. Ivi furono rifatte le aiuole armoniosamente decorate da fiori multicolori, i viali ripuliti e cilindrati, gli alberi simmetricamente inquadrati, e le vasche, le fontanine zampillanti, i monumenti le grida gioconde dei nostri bimbi, il riposo delle mamme, le balie, tricicli e automobiline, tutto contribuiva a rendere al Villa luogo di delizia e festoso, luogo di ricreazione”.

“Cosa n’è rimasto adesso? [L’epoca è il 1947] La sera, particolarmente nella torrida stagione stiva, molta gente è costretta a riposarsi sui tronconi delle colonne del rimanente porticato che ha poi tutto l’aspetto di un rudere dell’antica Roma. E di questi miseri avanzi che pur essi conobbero gli orrori della guerra, ancora macchiati di sangue di tante innocenti vittime immolate in quel funesto mattino di luglio [1943], oggi si vuol distruggere le orme!”

“E’ necessario invece iniziare subito l’opera di ricostruzione del classico pronao conservando, possibilmente, l’originale linea architettonica in ogni suo particolare. Successivamente si dovrà procedere al completamento della cancellata che circoscrive la Villa stessa; ripristinare decorosamente le aiuole, curare l’alberazione e la floricoltura, bitumare i viali di accesso, creare nuove fontanine e tutto quanto occorre per un ritorno decoroso dei giardini all’antico splendore. E poichè si parla di abbellimento, vorremmo avanzare una proposta che per la sua pratica e facile attuazione potrebbe senz’altro essere accettata dalle autorità comunali”.

Il suggerimento del Menduni è di riporare nella Villa il busto in bronzo del pittore concittadino Saverio Altamura, “u capacchione”, opera insigne dello scultore Achille D’Orsi, per quanto, al momento se ne ignori la fine che abbia fatto, quelli in pietra vulcanica scolpiti sempre dal D’Orsi e raffiguranti Ferdinando Galliani e Francesco Ricciardi, nonchè quello in bronzo di Lorenzo Scillitani. Il primo risulta scomparso, gli altri ancora con i segni dei colpi di mitraglia. Ancora il busto dello storico garganico Pietro Giannone e i monumenti in marmo pregisto di Carrara raffiguranti Ferdinando II, Francesco I e la regina Isabella di Borbone, i primi due opera dello scultore Tito Angelini datati 1836.

Conclude il Menduni: “Di fronte, quindi, a tante incoraggianti prospettive, sentiamo il dovere di sostenere perchè i Giardini pubblici di Foggia risorgano nella loro primitiva bellezza. Noi figli di questa martoriata Città, col più alto senso civico e spirito di abnegazione dobbiamo cooperare all’opera di ricostruzione che l’Amministrazione Comunale, con sforzi veramente ammirevoli, svolge in tutti i settori”.

La pubblicazione di Urbano Marano, così come l’intitolazione dà a intendere: “PIETRE PAROLE BRONZI – La Villa di Foggia e i suoi monumenti”, per buona parte diventa un percorso guidato e commentato, con precise ed esaustive monografie, sui personaggi immortalati da statue e busti collocati nel grande parco cittadino. Se ne riporta un minimo accenno per ognuno, così come ha fatto l’autore “procedendo lungo il viale di destra e poi tornando a ritroso su quello di sinistra”:

Emilio Francesco Paolo Perrone (1843-1916) Sindaco di Foggia, Presidente Amm.ne Prov.le e della Camera di Commercio, Senatore del Regno;

Carlo Celentani Ungaro (1869-1955) Ingegnere, esperto in opere di bonifica agraria ed idraulica, insegnante, Assessore ai LL.PP. del Comune di Foggia;

– Antonio Mendolicchio (1915-1941) Medaglia d’oro alla memoria concessa dal Ministero della Guerra nel 1942;

Vincenzo e Luigi Biondi rispettivamente del 1924 e 1927, partigiani del Gruppo “Bande del Colle S. Marco”, morti in combattimento contro i tedeschi nell’ottobre del 1943;

Vincenzo Lanza (1784-1860) il “principe dei medici”, nosologo e clinico, eletto deputato nel 1848;

Moisè Maldacea (1822-1898) Uno dei “Mille”;

Lorenzo Scillitani (1827-1880) Sindaco di Foggia, Presidente Consiglio Provinciale, Deputato al Parlamento, grande benefattore;

Francesco Rotundi (1885-1945) Ingegnere, Capitano del Genio navale, progettista navale;

Ora, entriamo nel boschetto della Villa comunale, sempre accompagnati dal racconto del Marano, ma attraverso un’altra chiave di lettura che può essere così sintetizzata: “La Villa e i bombardamenti del 1943”.

2006 - interno Villa

2006 – interno Villa

Infatti, scrive il Marano: “… le incursioni aeree del 1943 non risparmiarono nemmeno la villa, la quale il giorno del 22 luglio venne duramente colpita dal lancio delle bombe delle ‘ fortezze volanti ‘; quel giorno, un memorabile giovedi [dopo i bombardamenti] tra le aiuole distrutte, tra gli alberi divelti e tra le profonde buche scavate dalle bombe giacevano, immersi in pozze di sange, molti feriti che invocavano aiuto e corpi esamini di civili e militari; quel giorno le micidiali bombe centrarono il propileo, la Fontana delle palme, il bar-pasticceria, che detto comunemente chalèt era frequentato da molti avventori soprattutto quando – essendo l’unico locale pubblico di Foggia fornito di una radio – veniva trasmessa la partita della locale squadra di calcio in trasferta, i vari stands e giostre del del Luna park e il Villaggio del Soldaro, costituito da due padiglioni – dove le donne fasciste distribuivano gratuitamente ai militari il materiale da scrivere – nei pressi della rotonda, la quale, arredata con tavoli e panche, era stata trasformata in sala di lettura. Anche in questo locale erano presenti le donne fasciste per essere d’aiuto ai militari analfabeti”.

[Nel 1947, scrive il Menduni: “sui tronconi delle colonne del rimanente porticato…. e di questi miseri avanzi che pur essi conobbero gli orrori della guerra…”]

“A guerra conclusa”, prosegue il Marano, “s’iniziò la ricostruzione e i lavori per il ripristino della villa cominciarono nel 1950 con la riedificazione del propileo che, per esigenze urbanistiche, venne allineato al Palazzo dell’Acquedotto, cioè arretrato di quindici metri”.

In una nota, Urbano Marano, a proposito della distrutta ‘ Fontana delle Palme ‘ ricorda: “Era la prima, la più bella, che s’incontrava nella villa dopo aver varcato l’ingresso principale ed era così chiamata perchè ai lati della grande vasca, che conteneva al centro un piatto concavo nel quale zampillava l’acqua, vegetavano quattro maestose palme. Essa fu colpita da una bomba di grosso calibro che cadde proprio al centro della fontana – nel piatto concavo – e, siccome non esplose, si attese l’arrivo di un artificiere per disinnescarla… [Ma, dopo otto giorni, quando Foggia fu nuovamente bombardata] … centrarono di nuovo il piatto concavo della vasca con una seconda bomba che fece esplodere anche la prima. Fu la fine….”.

Circa le conseguenze dei bombardamenti sul boschetto della Villa, il Marano scrive: “Alla distruzione del boschetto, purtroppo contribuì anche l’atto vandalico di molti cittadini, i quali, quando rientrarono dalle località nelle quali avevano trovato rifugio, non avendo combustibile per cuocere il cibo, si rifornivano quotidianamente di legna prendendo anche i rami da quegli alberi che miracolosamente erano sfuggiti alla furia bellica”.

[Giustificabili o meno i fatti, è la cronaca del tempo]

E sul boschetto ancora “PIETRE PAROLE BRONZI”. Si è già detto che nella caverna artificiale ricavata sotto la collinetta, dietro la cascatella, era collocata una scultura in terracotta d’autore ignoto raffigurante un uomo che, essendo in abiti dimessi, dai foggiani era denominato ‘ U pezzènte da ville ‘ (dal Marano). [della scultura rimossa probabilmente nell’immediato dopoguerra non se ne sa più niente]. Mentre, il Marano dà per presente all’epoca [1982] il ‘ Piedistallo di Pietro Giannone ‘ in pietra vesuviana su cui il 22 giugno 1913, nell’atrio dell’Istituto Tecnico ‘P. Giannone’ ubicato presso la cattedrale, in Piazza De Santis, occupato attualmente dalle Scuole Elementari “G. Pascoli” veniva inaugurato il busto in bronzo di Pietro Giannone, opera insigne di Luigi De Luca, professore di Scultura nel Regio Istituto di Belle Arti di Napoli.

[Nel tempo il busto del Giannone seguì gli spostamenti dell’istituto a lui intitolato, mentre il piedistallo fu collocato nel boschetto].

Prosegue il Marano: “Sulla parte anteriore del piedistallo è scolpito uno stemma simbolico: una spada e una pastorale, in mezzo a cui, sostenuto dalla mano, scende un filo a piombo. Intorno allo stemma è inciso il seguente motto: Tentat in angustis medium prudentia callem (Tenta nelle avversità una via di mezzo con prudenza). Sotto lo stemma è scolpita la seguente epigrafe, dettata dal prof. Umberto Tria, ordinario di Lettere italiane dell’epoca:

PIETRO GIANNONE

GLORIA DI QUESTA TERRA

CON TENACE VIRTU’ LATINA

PROPUGNO’

CONTRO SECOLARI AVVERSARI

LE RAGIONI DI NOSTRA VITA CIVILE

IL REGIO ISTITUTO TECNICO

CHE DEL NOME DI LUI

SI ONORA

MCMXIII

Ancora nel boschetto, il Marano segnala: “due blocchi di pietra simmetrica, che si trovano ai due lati del viottolo che dolcemente sale sulla collinetta dov’è il busto in bronzo di Giuseppe Rosati, non sono altro che le eleganti fontane simboliche, opera dello scultore tranese Antonio Bassi, che un tempo non lontano adornavano i lati della breve ed ampia scalinata del Mercato Coperto ‘ Arpi ‘ in Piazza Mercato. Esse, assieme al Mercato Coperto al minuto e primo mercato rionale, vennero inaugurate il 28 ottobre 1931. Non si conosce il motivo per il quale le fontanelle del Mercato coperto ‘ Arpi ‘  furono smantellate e trasportate nel boschetto”.

Da ultimo “Il tempietto”, così descritto dal Marano: “Sulla sommità della collinetta vi è il tempietto in stile ionico, le cui otto colonne, sorreggenti la cupoletta, un tempo racchiudevano un piedistallo  recante sulla parte anteriore i titoli acquisiti dal grande Giuseppe Rosati”.

“In seguito, nel 1839, l’Amministrazione comunale del tempo, su detto piedistallo, eresse allo stesso Rosati un busto in marmo di autore ignoto. Tale busto fu oggetto di atti vandalici e pertanto negli anni 1920/25 venne sostituito da un altro busto in pietra dello scultore [foggiano] Beniamino Natola. Ma anche questo monumento venne danneggiato dalla furia bellica del 1943 e pertanto sostituito nel 1966 da un busto in bronzo modellato dallo scultore Salvatore Postiglione”.

Sulla parte anteriore del piedistallo si legge la seguente iscrizione:

GIUSEPPE ROSATI

FOGGIA 1753 – 1814

ASTRONOMO – GEOGRAFICO

MEDICO – AGRONOMO

G.T. GIORDANI 1814

mentre su quella posteriore:

Maggio 1966

Per voto cittadino il Comune pose

questo bronzo di S. Postiglione. Qui dove

la minicipalità, avendo il 1827 elevato

il tempio al Rosati, il 1839 vi collocò

la sua effige marmorea, che la furia

bellica del 1943 distrusse

 

  (Raffaele De Seneen)


(ved.anche Una passeggiata in villa)