La transumanza
Sin dalle origini la pastorizia ha avuto caratteristica nomade e migrante, alla ricerca di acque e pascoli naturali. Pratica costante della pastorizia migrante è l’alpeggio, praticato nelle zone del Nord Italia, dalla pianura verso i pascoli montani durante la buona stagione, altra è la transumanza, tipica delle regioni centro-meridionali del nostro Paese, che consiste nella migrazione periodica, quasi esclusivamente ovini, dal monte al piano (ottobre-giugno) attraverso millenarie vie erbose dette Trazzere in Sicilia, Tratturi nel resto delle altre regioni meridionali.
La transumanza non fu un fenomeno solo del Mezzogiorno italiano; essa comprendeva l’intera area mediterranea e aveva il suo centro in Spagna dove l’allevamento transumante, già praticato nel VI e VII sec. d.C., percorreva i tratturi dai Pirenei alle pianure meridionali della Mancia, dell’Estremadura e del Guadalquivir, fino ad essere poi sistematicamente favorita con la costituzione di una grande organizzazione chiamata “mesta” o “meseta”, che durò dal 1272 al 1836.
L’allevamento transumante fu tuttavia comune all’Italia meridionale, già prima dell’epoca romana, ai Carpazi, ai Balcani, all’Algeria, alla Corsica, alla Provenza, alla Svizzera, alla Germania meridionale, alla Scozia e al lontano Cile.
Per quanto più da vicino ci riguarda, le origini della Transumanza e l’asservimento delle terre del Tavoliere alla pastorizia sono remotissime: già nel primo secolo a.C. Varrone Reatino, nel De re rustica, registra l’obbligo per i pastori del Sannio di denunciare il numero degli armenti introdotti nella pianura di Puglia e di corrispondere un tributo.
Nel 1115 i Normanni emanano una Costituzione che istituisce un regime particolare per i pascoli, dettando agevolazioni e privilegi a favore dei pastori.
In seguito Federico II, pur predisponendo misure per l’agricoltura e incoraggiando la coltura della vite e dell’olivo, non manca di tutelare e valorizzare i pascoli, riordinando l’amministrazione della mena delle pecore.
Pari cura e attenzione hanno Carlo I d’Angiò e i suoi successori per la conservazione dei pascoli pugliesi, fonte di notevoli entrate fiscali.
Giovanna II, salita sul trono di Napoli nel 1414, ripristina la Costituzione normanna, sottoponendo l’affitto dei terreni a pascolo dei privati a rigidi vincoli e autorizzazioni e dispone che i pastori siano affidati ad una giurisdizione particolare, con un foro privilegiato e due giudici speciali.
Re Alfonso d’Aragona riforma l’istituto e riordina tutte le precedenti disposizioni; col diploma del 1° agosto 1477, da campo di Tivoli, emana la prammatica della Dogana Menae Pecudum Apulie, confermando le consuetudini affermatesi nelle province di Penne, Capitanata e Terra di Bari e nominando il suo collaboratore Francesco Montlubar Doganiere a vita e Procuratore speciale del Re.
Il Montlubar, avvalendosi degli ampi poteri del suo mandato, aggiunge al regio demanio altri pascoli, presi in fitto a tempo indeterminato da baroni, Università (Comuni) e Luoghi Pii ed estende l’affrancamento non solo agli animali, ma alle pecore, alle suppellettili e alle mercanzie.
Il Tavoliere viene diviso in 23 locazioni, a cui se ne aggiungono altre 20, dette dei poveri, per i bisogni dei piccoli allevatori, spesso vessati dai locati più ricchi con la subconcessione dei pascoli a prezzi proibitivi.
Ciascuna locazione è divisa in poste, mentre ai margini del comprensorio si reperiscono tre vasti territori, i riposi, destinati alla sosta delle greggi in attesa della ripartizione ed assegnazione degli erbaggi.
Con l’istituzione della locazione d’Otranto e con la Doganella d’Abruzzo, che però dal 1650 avrà amministrazione autonoma, il territorio della Dogana arriva a comprendere una regione vastissima, che abbraccia le pianure e le pendici che vanno dal Leccese su fino al Teramano.
Le vie erbose che attraversano fittamente questa regione prendono il nome di tratturi, bracci di tratturi, tratturelli. I tratturi costituiscono le arterie principali di questo complesso sistema viario. Larghi 60 passi, 111 metri, collegano l’Aquila al Tavoliere, Celano con Lucera, Alfidena ed Ascoli Satriano con diramazioni fino a Lecce. Complessivamente la Dogana asserve una superficie enorme di territorio, valutata nel 1548 in 15641 carra (312.820 versure; una versura = 1,2345 ettari) e 18.000 carra verso la metà del 1700.
Il massiccio sostegno dato alla pastorizia, le agevolazioni e i privilegi di natura giuridica ed economica, l’alienazione di larga parte del patrimonio agricolo, finiscono ben presto per provocare lo spopolamento delle campagne. Sono abbandonati molti casali e molte masserie, le strade deperiscono; le acque, non più regolate dall’uomo, diventano stagnanti e portatrici di malattie. Una situazione disastrosa che provoca molti squilibri e arretratezze, i cui pesanti effetti si faranno e si fanno sentire fino ai giorni nostri.
Alcuni dati
L’intera consistenza tratturale oggi risulterebbe costituita da una rete di oltre 3.100 chilometri di strade, estese, nel complesso, circa ha. 21.000, alla fine dell’800 la rete dei tratturi nella sola provincia di Foggia era di 370 chilometri.
Da notizie saltuarie ed un po’ approssimative si ricava, invece, l’entità della transumanza in numero di capi transitati:
Anno 1440 capi 2.500.000
Anno 1461 capi 900.000
Anno 1474 capi 1.700.000
Anno 1494 capi 1.700.000
Anno 1540 capi 1.050.000
Anno 1556 capi 1.057.780
Anno 1574 capi 3.000.000
Anno 1592 capi 3.747.000
Anno 1602 capi 4.700.000
Anno 1604 capi 5.500.000
Anno 1610 capi 2.000.000
Anno 1612 capi 580.000
Anno 1649 capi 1.200.000
Anno 1733 capi 850.000
Anno 1793 capi 750.000
Anno 1808 capi 700.000
Anno 1815 capi 950.000
Anno 1840 capi 1.200.000
Anno 1860 capi 760.000
Anno 1877 capi 730.000
Anno 1951 capi 400.000
Anno 1958 capi 205.000
I dati del 1602 e 1604 paiono eccessivi, effetto certo di esagerate professazioni di numero di capi per ottenere maggiori superfici in assegnazione, mentre la repentina riduzione del 1610 venne causata da una epidemia del bestiame, e quella del 1612 da un inverno particolarmente rigido al quale molti animali non sopravvissero. Dal 1840 il numero dei capi è andato sempre decrescendo.
Mentre, da altra fonte, si ricavano i dati sulla lana “infondacata” a Foggia negli appositi locali, appunto fondaci, e le quotazioni della “voce”, cioè del prezzo ufficiale di riferimento per le operazioni creditizie:
Anno Lana(rubbi) Prezzo(ducati)
1801 72.551 –
1805 89.601 –
1810 63.598 8,40
1815 63.925 8,30
1820 75.506 7,12
1825 62,221 6,65
1830 65.771 5,97
1840 91.352 6,57
1845 86.120 8,42
(Il rubbio corrisponde a 8,9 Kg.)
L’amministrazione della Dogana
Il Doganiere ha autorità assoluta in materia, civile, criminale e amministrativa su tutto il vasto territorio della Dogana: un potere, nel Regno, secondo solo a quello del Re. Al suo cospetto i locati professano in segreto il numero dei capi di bestiame da condurre al pascolo, a lui spetta l’emanazione dei bandi, è il Doganiere che fissa i prezzi e fa riparare o costruire opere pubbliche.
Il Doganiere è affiancato, nella stanza del Tribunale doganale o della Ruota, dal Credenziere, l’avvocato procuratore del fisco che cura il registro degli animali professati, dall’Uditore, giudice ordinario civile e penale e dal Mastrodatti con funzioni di segretario o cancelliere.
La carica di Doganiere, come pure quella dei suoi più stretti collaboratori, è per molto tempo rilasciata al miglior offerente; circostanza, questa, che non manca di avere un notevole peso sulla diffusa corruttela e nel malgoverno che distinguono l’amministrazione della Dogana.
Completano la gerarchia della Dogana i vari Scrivani del Regio Patrimonio, delle Passate, delle Terre Salde, della Percettoria o Ricevitoria. Agli uffici amministrativi e fiscali è annessa la Banca dei Cambi.
Il Doganiere ha alle proprie dipendenze i Lupi della Dogana, cavallari incaricati di sorvegliare il territorio delle locazioni, i famiglie i ragazzi che spesso non mancano, nel loro piccolo, di distribuire la loro personale dose di vessazioni sui locati i quali, consociati nella Universitas o Generalità dei pastori, sono costretti a proteggersi, oltre che dalle Università e dai baroni, danneggiati dai provvedimenti della Dogana, anche dalle stesse autorità, che pur dovrebbero tutelarli.
L’Universitas dei pastori elegge tre Sindaci Deputati Generali che assistono il Doganiere nelle cause interessanti i locati ed esercitano la tutela della “categoria” attraverso petizioni, suppliche, patrocini in giudizio.
E’ uno status d’altra parte ambito quello del locato, se è vero che molti pastori, che pastori non sono, arrivano a professare una sola pecora per sottrarsi alla giurisdizione ordinaria e per rientrare in quella specialissima della Dogana.
Alle dipendenze del Doganiere, a tutela dell’ordine, sono inoltre un tenente e ventotto soldati, mentre i vari compassatori(agrimensori) e pesatori di lana, pur non dipendendo dalla Dogana, sono autorizzati ad esercitare la loro attività dietro rilascio di apposita patente e dopo un severo esame.
I Locati
Erano i proprietari delle greggi che, una volta iscritti nel registro della Dogana, pagavano un canone annuo per l’uso dei pascoli , la fida.
Erano tenuti a vendere a Foggia i prodotti della pastorizia (lana, formaggi, agnelli, capretti) per pagare con il ricavato la fida.
La vendita veniva effettuata nella grande Fiera di Foggia che iniziava intorno all’8 maggio. I locati non potevano tornare nei loro paesi senza esibire il Nulla osta della Dogana.
Privilegi dei locati
– Esenti dal pagamento delle tasse di passaggio nell’attraversamento delle terre dei feudatari;
– Prezzo del sale inferiore a quello di mercato;
– Esenzione dal pagamento del dazio per i viveri che recavano con sé per il sostentamento;
– Elezione di propri rappresentanti presso i Magistrati ed il Sovrano:
– Privilegio del foro, potevano essere giudicati soltanto dai giudici della Dogana di Foggia dovunque si fosse verificato il reato penale o civile.
La sede della Dogana
La Dogana ha inizialmente sede a Lucera e poi a Serracapriola, sede destinata però solo alla conta delle pecore; nel 1468 si trasferisce a Foggia, in un edificio che affaccia sulla “strada maestra di Pozzo Rotondo” (Piazza Federico II). L’edificio, a tre piani fuori terra e cantinati, ha muri di spessore considerevole, al piano terra trovano posto le scuderie e la rimessa della carrozza del Governatore, il Corpo di Guardia e le carceri (carcere criminale, nuovo carcere dei locati, carcere della corsea, carcere delle donne, carcere di S. Francesco e carcere di S. Antonio). Al primo piano la Sala delle Udienze del Governatore e il grande Salone dei locati o del teatro, l’alloggio del Governatore, i servizi di cucina e dispensa, la segreteria e il libromaggiore, la percettoria, il Tribunale con cui comunica la stanza della Ruota (sorta di camera di consiglio), la stanza della Corda (dove gli inquisiti sono energicamente interrogati) e la cappella. Al secondo piano vi sono gli archivi della Dogana, mentre i sottotetti sono adibiti a granai.
Il violento terremoto del 1731 compromise sensibilmente il Palazzo della Dogana, e mentre si valutava l’opportunità di affrontare una spesa notevole per le modifiche ed il consolidamento rispetto ad una ipotesi di ricostruzione, il 23 aprile 1733 il Presidente Governatore marchese Ruoti acquista da Mons. Giovanni Pietro Faccolli, vescovo di Troia, il seminario, sito in località Madonnella, appena fuori da Porta Reale. In quel sito risultano già tirati su i locali terranei, una chiesa con atrio, uno scalone a tenaglia e pochi altri ambienti,
il primo piano è costituito invece da una grande libreria e dalle stanzette dei seminaristi. Il corpo principale di fabbrica si affaccia sull’attuale Via Schiraldi. La struttura muraria a doppia fodera, in tufi all’interno, in mattoni all’esterno, non verrà modificata con la costruzione del Nuovo Palazzo della Dogana, che solo nel 1776, fra un susseguirsi di ampliamenti e rimaneggiamenti troverà il suo definitivo assetto.
La fine della Dogana
Nel 1778, Ferdinando IV di Borbone, decide di ridurre in Collegio il Tribunale e di affiancare un secondo Uditore alle autorità doganali, nel tentativo di rimettere sotto controllo una situazione amministrativa e giudiziaria sempre più caotica.
Alla fine del XVIII secolo la Dogana vive stancamente e disordinatamente gli ultimi anni della sua vita. Gli abusi crescenti, l’avvento del brigantaggio, l’instabilità del Governo centrale, hanno ridotto il Tavoliere a terra di frontiera. Nel tentativo di porre un freno alla decadenza dell’istituzione, Ferdinando di Borbone, nel 1804, dà avvio ad un progetto di riforma attraverso la censuazione e, nell’anno successivo, concede l’affrancazione dei canoni al quattro per cento sulle terre demaniali poste coltura.
Ma siamo ormai all’epilogo della storia della Dogana: nel 1806 ritornano i francesi e Giuseppe Bonaparte, il 21 maggio, sopprime la Dogana e il 1° settembre decreta la divisione di tutte le terre demaniali, baronali, ecclesiastiche e comunali e la concessione in fitto, dietro la corresponsione di un canone annuo, agli attuali beneficiari, cioè ai locati.
Nel 1808 Gioacchino Murat destina l’ufficio della Dogana a sede del Tribunale di prima istanza e del Tribunale criminale; ma, per contrasti tra il Mastriogiurato e l’Intendente del tempo, si decide, di trasferire il Tribunale a Lucera. Mentre il contenzioso presente presso il Tribunale della Dogana passa alla competenza dei Giudici ordinari, si istituisce la Giunte del Tavoliere, col compito di provvedere alla censuazione delle terre. Il controllo della procedura di divisione delle terre è affidato ai consigli di intendenza; i comuni, poi, provvederanno ad assegnare le quote ai singoli.
Gli eccessivi oneri posti a carico dei censuari, tuttavia, limitano la portata, gli effetti dei provvedimenti adottati e, al tempo stesso, confinano in una condizione di ancora maggiore miseria le plebi rurali ed i terrazzani in particolare.
Dopo la parentesi murattiana, Ferdinando I di Borbone riduce a quattro le locazioni e, con vari provvedimenti, aumenta la pressione fiscale sui censuari, col risultato di ricomprimere lo sviluppo agricolo e di far ricadere l’intera economia del territorio in una situazione gravissima.
Palazzo Dogana assume il nome di Palazzo del Tavoliere e poi di Palazzo dell’Intendenza. L’enorme patrimonio di archivio della Dogana viene disperso e trascurato. Il 26 febbraio 1865 il giovane Parlamento nazionale sancisce la soppressione dell’Amministrazione del Tavoliere, fiscalmente avida e di nessuna utilità per l’economia del territorio.
Cabale e tratturi
I tratturi dovevano essere larghi 60 passi napoletani (111 metri) per consentire e sopportare il movimento di migliaia e migliaia di ovini che si spostavano quasi contemporaneamente (l’ingresso nel Tavoliere avveniva per tutti alla stessa data, 15 ottobre). Le vie erbose dovevano assicurare l’alimentazione al bestiame transumante il cui viaggio durava in media circa due settimane, e la loro ampiezza serviva anche ad evitare facili e possibili sconfinamenti sui terreni limitrofi a volte coltivati; una motivazione a questo numero così strano (mt. 111) viene da una ipotesi argomentata e suggestiva, che si rifà all’uso, dai tempi più remoti, di inserire nelle costruzioni e nei manufatti delle miniaturizzazioni cosmiche, nel rispetto di una sorta di culto che era invalso per la Terra e per il Cielo. Praticamente, prendendo a base la lunghezza dell’equatore terrestre, 40.000 chilometri, e considerando che l’equatore in quanto circonferenza misura al centro un angolo di 360 gradi, se dividiamo 40.000 chilometri per 360° avremo che un grado è lungo 111 chilometri.
Il Tratturo del Re
Era il tratturo più importante perchè di comunicazione con i pascoli del Gran Sasso e degli altipiani sottostanti, oltre che per le sue diramazioni che servivano molto bene a snellire il “traffico” convogliandolo in parte verso i pascoli della Maiella e del Morrone. Con la sua lunghezza di 243,527 chilometri conduceva da Foggia all’Aquila.
Dai monti al piano
La masseria (transumante), ad esempio di tremila pecore, divisa nelle sue otto o dieci morre, parte all’alba. In testa sono le sue redini di tre muli in fila, carichi delle reti, delle tende, delle coperte, dei pioli per le reti, delle provviste di via, degli utensili per fare il cacio.
Ogni morra segue l’altra a breve distanza, i grandi cani bianchi ai lati, il pastore e il pastoricchio l’uno in coda, l’altro avanti al gregge, accelerando il passo dove il pascolo è magro, ritardandolo dove esso è abbondante. Essa percorre nelle sue sei o sette ore di cammino ininterrotto, in media 15 chilometri come tappa giornaliera, poi sosta.
Le reti sono piantate. L’accampamento è in ordine, perchè muli e butteri hanno preceduto la masseria di qualche ora. Si mungono le pecore, si contano, entrano in un recinto. I fuochi di campo si accendono e si confeziona il cacio di passo (magro prodotto che appartiene ai pastori). Al tramonto, il massaro dà l’ordine del sonno. All’alba seguente, il cammino riprende, i butteri caricano sui muli stoviglie, tende e reti e così di tappa in tappa, scambiando prodotti sulla via, rifornendosi di sale, di pane e vendendo il cacio di passo, l’armento dopo 16 o 17 giorni che è partito dalle alte pendici dei monti che fanno corona alla conca dell’Aquila, raggiunge le poste dell’Ofanto e del Candelaro.
(Da una indagine ministeriale dei primi anni del Novecento)
La giornata del pastore
– Ore 4.30 si alzava dal SACCONE (tela cucita contenete paglia)
– fino alle 8.30 MUNGITURA mattutina
– Ore 8.30 COLAZIONE (pancotto, pane e formaggio, pane e lardo di maiale)
– Ore 9.00 via col gregge lontano dal CASONE, con la SPARA (fazzoletto contenente pane e companatico) della merenda, con in mano la lunga PIROCCA di ornello (legno tipo frassino) per incitare gli animali.
Nel CASONE intanto si provvedeva a seguire le MASCIOTTE (forme di cacio) fresche da salare ed arieggiare per l’essiccamento, a mettere ordine nel CACIARO (stanzone adatto alla conservazione), a ricambiare sull’ARCICLOCCO (palo di legno) leMESCISCHE (pezzi di carne ovina o caprina essiccata al sole) e i PRESAMI (il caglio rappreso), a controllare il GIACCIO (recinto per le mandrie).
– Al tramonto ritorno delle pecore e seconda mungitura, bollitura del latte nel CACCAVO per fare i formaggi, mentre nelCUTTURO bolliva la minestra, unico piatto caldo della giornata.
L’inverno di Puglia era fatto così, ripetitivo e assillante, isolante e deprimente, in una campagna piatta e insidiata da paludi malariche.
La giornata della crusta
Era la giornata di libertà concessa al pastore per preparare le proprie cose prima della partenza per il paese di origine, anzi per la montagna, dove i disagi del PROCOJO (capanna bassa e tozza, quadrangolare, costruita con pietre a secco), erano attenuati dai periodici ritorni in famiglia, a valle, con la QUINDICINA (ogni 15 giorni passati in montagna, tre giorni a casa) che seguiva la festa della REMNUTA, il giorno di riposo spettante al pastore al ritorno dalla Puglia.
Il ritorno
Dopo la Fiera di Foggia, la MASSERIA tornava a casa. Rispetto alla CALATA autunnale il passo era allegro e spedito. L’incubo era finito.
La SCASATA si ripete, si mette tutto in ordine, si conta il bestiame, si divide in MORRE e all’alba si lascia la POSTA assegnata (l’erbaggio) per riprendere il tratturo:
Le MORRE sfilano una dietro l’altra,
le CAPRE in testa,
i MONTONI seguono,
le PECORE DI CORPO poi,
(pecore fellate, ciavarre, carfagne, gentili, insolite, solite, mosce, pagliarole)
le SALMERIE in coda all’armento.
Così ad ogni RIPOSO, stazioni provvidenziali del gigantesco sistema viario della transumanza, si approntano gli STAZZI, i recinti formati da corde e reti.
Alle porte del paese di origine il ritorno superava la dimensione del lieto evento personale e familiare per diventare un pubblico tripudio, un’autentica festa di popolo. I figli dei pastori d’Abruzzo nascono a marzo.
L’indomani la MASSERIA sale sulla montagna. La prima munta mattutina viene portata alla casa della padrona e la PATRONA ne fa la GIUNCATA (cagliata fatta di ricotta e siero), le SALMERIE sono partite in anticipo per porre un po’ in ordine il GIACCIO. Il tratturo è finito PER GRAZIA DI DIO.
Alcuni vecchi versi in dialetto abruzzese offrono bene l’idea dei sentimenti che intercorrono fra il pastore e la sua amata, ma anche degli interessi che comunque lo legano al proprio gregge:
Nen vòglie cchiù la pècura guardà,
pe ‘st’ucchi de mericula rimirà.
Vattènne che nen pòzze remenì,
tu vu cchiù bène alla pèura ch’a mmi.
A ti nen te ce pozza retruvà,
le pècura me dànne da campà.
Agricoltori e pastori, due mondi a confronto
I rapporti fra agricoltori pugliesi e pastori abbruzzesi non furono sempre sereni. Esigenze diverse e contrapposte li spingevano a tenersi d’occhio l’un l’altro.
Gli agricoltori avevano bisogno di altre terre da dissodare e mettere a coltura, così mal consideravano la pastorizia e a volte “rompevano” il tratturo, ne abusavano, i pastori avrebbero voluto più erbaggi a loro disposizione e, non sempre casuali risultavano gli sconfinamenti delle greggi nei seminati.
Gli agricoltori locali, nella “loro” terra dovevano sopportare i privilegi che la legge particolare riconosceva solo ai locati e che nel complesso e per l’epoca non erano poca cosa:
“Nel Tavoliere lo stesso pane, lo stesso vino e lo stesso sale che i pastori compravano a prezzi fortemente agevolati dovevavo essre pagati a tariffa intera dalle popolazioni locali”. Ancora, i locati, cioè i fittuari dei pascoli: “Franchi et immuni di tutte sorti di gabelle, datii, passi, ponti e schafe” sono esenti anche dai diritti proibitivi a vantaggio della feudalità locale, possono portare armi, provvedersi liberamente di “legna, paglia, acqua e falascina per fare i pagliari in qualunque luogo stiano per esser cose necessarie non meno che per il proprio uso, che per i capomandri….”, usare l’acqua di “qualsivoglia fiume o altra acqua” atta al bagno delle pecore “nel tempo che si devono tosare non ostante che stia dett’acqua dentro i demanii di qualsiasi barone” inoltre, i locati non possone essere “eseguiti per qualsiasi causa civile o criminale, anche per li pagamenti fiscali, negli animali della Dogana” cioè non possono subire il pignoramento degli animali che conducono in Puglia.
Il conflitto è aspro, a volte accadono fatti di sangue sui quali si sorvola privilegiando quegli aspetti meno cruenti attraverso i quali i gruppi sociali si percepiscono:
Quannu lu pecuraru va alla messa
ci crede d’ purtà la morra ‘ppress!
Po’ ce vota ‘face ‘lu campanare:
che bella staccia p’ fa lu pagliare.
Ci ficca dint’, vede l’autare:
che ‘bbella chianca p’ pesà lu sale.
Dialetto di San Giovanni R.
(Quando il pastore va a messa pensa di portarsi anche il gergge! Poi si volge verso il campanile: che bel palo per fare il pagliaio. Entra nella chiesa, vede l’altare: che bella pietra per pesare il sale)
Abbrile mie curtese
‘mprestami nu jurn’
de lo tu mese
pe’ fà murì li pècure
a lu ‘bbruzzese.
Una titpica espressione dialettale foggiana che si pronuncia incontrando una persona elegantemente vestita è invece:
“E’ ‘ngàppete ‘u’ ‘bbruzzèse!”
con la quale si allude alle rapide fortune che si possono fare con contraenti commercialmente ingenui, tali venivano ritenuti i pastori abruzzezi.
Mentre, arrivò l’epoca, nonostante la transumanza fosse una pratica in declino, dell’affermazione del primato abruzzese sulla “Daunia vassalla”, che inviava ogni anno, con i pastori che risalivano le montagne verso i pascoli estivi, i suoi “umili tributi” all'<Abruzzo signore> (pasta, nocciole secche, fichi, capperi, barili di semola, lana).
I tratturi oggi
I tratturi, da sempre soggetti a leggi di tutela in quanto destinati ad uso pubblico, sono sempre stati amministrati con regime pubblicistico che è proprio dei beni demaniali.
I tratturi sono quindi inalienabili e imprescrittibili, sfuggono, cioè, sotto ogni aspetto alla usucapione e alla prescrizione. Neanche la cessazione della loro destinazione, foss’anche per desuetudine, può intaccare la loro integrità se non interviene un atto di sclassificazione, vale a dire un passaggio dall’elenco dei beni demaniali a quello dei beni patrimoniali (proprietà privata) dello Stato. Eventuali usi diversi e temporanei, mai modificativi dello stato dei fatti, vengono assentiti solo con atto di concessione amministrativa, atto monocratico, unilaterale, che impegna solo il concessionario.
In epoca più recente, sotto il nuovo Regno d’Italia, l’amministrazione dei tratturi, anche delle parti ricadenti nelle regioni cointeressate, Abruzzi e Molise, rimase sempre a Foggia in capo alla Direzione di Reintegra dei Regi Tratturi del Regno d’Italia, poi passò al Commissariato per la Reintegra dei Tratturi alle dirette dipendenze di un dicastero ministeriale. Ed infine, per effetto del D.P.R. 616/77, le funzioni amministrative inerenti i tratturi vennero conferite alle Regioni competenti per territorio.
“I tratturi, in quanto monumento delle storia economica e sociale del territorio pugliese interessato dalle migrazioni stagionali degli armenti e in quanto testimonianza archeologica di insediamenti di varia epoca, vengono conservati al demanio armentizio regionale di cui all’articolo 1 della legge regionale 9 giugno 1980, n. 67 e costituiscono il <Parco Tratturi della Puglia>”.
Così recita l’articolo 1 della Legge regionale 23 dicembre 2003, n. 28 in materia di “Disposizioni delle funzioni amministrative in materia di tratturi”.
Oggi, la consistenza originaria dei tratturi risulta di molto ridimensionata, al loro posto ci sono anche grosse strade di comunicazione, pezzi consistenti sono rimasti inglobati nei centri urbani (tronchi urbani), un esempio è il Tratturello Foggia-Ordona-Lavello, attuale Via Giardino in prosecuzione di Via San Lorenzo, che portava appunto a San Lorenzo in Carmignano. I tracciati dei tratti più impervi, delle nostre zone collinari, sono individuabili solo con carte alla mano, poi strette e lunghe strisce residuali ai bordi degli originali tracciati concesse per passaggi o in coltivazione ai privati, rispettivi proprietari frontisti.
L’Ufficio Parco Tratturi in Foggia, che ha sostituito il precedente Ufficio Demanio e Patrimonio della Regione Puglia, ne cura l’amministrazione su tutto il territorio regionale. Fra le altre cose, questo ufficio, sta curando (non è mai troppo tardi!!) un progetto che riporti alla luce, ridando vita, il tracciato di un vecchio tratturo che porta da Foggia verso zona Incoronata.
La carta dei tratturi
Dalla “Carta dei tratturi, tratturelli, bracci e riposi”, in Scala 1 : 500.000, aggiornata dal Commissariato per la reintegra dei tratturi di Foggia nel 1959 sulla precedente edizione del 1911, si rilevano:
N° 14 tratturi
N° 71 tratturelli
N° 13 bracci
N° 9 riposi
Questi, quelli passanti per Foggia:
Tratturi
Aquila-Foggia; Lanciano-Cupello; Foggia-Ofanto; Foggia-Campolato
Tratturelli
Foggia-Camporeale; Foggia Castelluccio dei Sauri; Foggia-Ascoli-Lavello; Foggia-Ordona-Lavello; Foggia-Tressanti-Barletta; Foggia-Zapponeta; Foggia-Castiglione; Foggia-Sannicandro.
Dizionario di alcuni termini del linguaggio della Dogana
Allistamento – Antica tassa imposta sugli animali grossi in proporzione diretta alla distanza dei luoghi d’origine dalla Puglia
Bracci – Vie di comunicazione tra più tratturelli
Capomassa – Capo di un gruppo di pastori con terreno a pascolo in comune
Ciavarra e Ciavarro – Agnella e agnello di un anno
Compassatori – Agrimensori incaricati della misura di pascoli e fondi
Compasso – Misura di pascoli e fondi e relativo strumento
Disordine – Coltivazione di una superficie minore o maggiore di quella presa in fitto. Coltivazione abusiva di terre destinate a pascolo o di porzioni di tratturi
Dispensazione – Distribuzione di erbaggi straordinari insoliti
Erbacci straordinari insoliti – Pascoli di proprietà privata su cui la Dogana aveva diritto di prelazione nell’affitto del pascolo invernale
Erbacci straordinari soliti – Pascoli aggiuntivi alle locazioni e sottoposti allo stesso vincolo sin dal 1447
Erba statonica – Pascolo estivo, dall’8 maggio al 29 settembre
Erba vernotica – Pascolo invernale, dal 30 settembre al 7 maggio
Fellata – Pecora di due anni
Fida – Importo dell’affitto annuale che i pastori pagavano alla Dogana per ogni capo di bestiame piccolo o grande che scendeva d’inverno ai pascoli fiscali di Puglia. Veniva valutato in modo diverso nei vari sistemi di gestione del Tavoliere
Locati – Pastori situati con le relative greggi nei pascoli fiscali di Puglia dietro pagamento di un affitto annuo detto fida
Locazione – Grande estensione di terreno fiscale in cui durante l’inverno sostavano le pecore
Locazione generale – Pascolo per pastori del Regno o stranieri
Locazione particolare – Superficie riservata al bestiame di feudatari e grandi proprietari
Massaro di pecore – Capo dei pastori di un armento piuttosto numeroso; tutelava gli interessi del padrone ed era abilitato ad effettuare pagamenti
Masseria armentizia – Allevamento di pecore, buoi, vacche, cavalli, porci
Mezzana – Appezzamento di terreno adibito a pascolo die buoi destinati alla lavorzione della terra; aveva l’estensione di un quinto della superficie coltivata
Mezzanella – Appezzamento di terreno adibito a pascolo unito alle terre a coltura per il sostentamento degli animali da lavoro; corrispondeva a meno di un quinto della superficie coltivata
Morra – Gregge di ovini di numero non inferiore a 200-250 capi
Musciali – Pascoli riservati alle pecore mosce
Passata – Autorizzazione concessa ai pastori per consentire loro di raggiungere con le greggi le locazioni e poste assegnate e successivamente, scaduto il termine di affitto, di uscirne per ritornare alla residenza abituale
Pastoricchio – Giovame scapolo con mansioni di guardiania alle dipendenze dei pastori
Pecore carpagne – Pecore dalla lana ruvida
Pecore gentili – Pecore dalla lana sottile
Pecore insolite – Pecore che non scendevano in Puglia tutti gli anni
Pecore mosce – Pecore dalla lana lunga e grossa per materassi
Pecore pagliarole – Pecore che restavano in Abruzzo e trascorrevano l’inverno nei pagliai
Pecore professate – Pecore rilevate al Doganiere con il sistema della professazione
Pecore solite – Pecore che scendevano in Puglia ogni anno
Pesatori di lana – Incaricato dalla Dogana provvedeva a pesare la lana che i pastori depositavano nei fondaci a Foggia
Pezza – Piccolo appezzamento di terreno sia a pascolo che a coltura
Portata o Terra di portata – Terreno coltivato con sitema tradizionale di rotazione quinquennale con due anni di coltivazione a cereali e due a riposo; nei due anni di riposo era lasciato a pascolo delle greggi
Possedibile – Numero di pecore che potevano essere contenute in una posta o locazione
Posta – Porzione di locazione, riparata dal vento, posta a solatìo, in leggera pendenza, ove gli ovini passavano la notte o i giorni più freddi
Posta fissa – Posta che veniva assegnata, per ragioni speciali, sempre agli stessi greggi
Posta frattosa – Posta con macchie di arbusti (fratte)
Postaioli – Rappresentanti eletti a tutelare gli interessi dei pastori riuniti in una posta
Professazione – Fu il sistema che sostituì l’altro della numerazione dei capi di bestiame, prescritto da Alfonso I D’Aragona, e fu introdotto nel 1533 dal Doganiere Ferrante di Sangro. Mentre col sistema della numerazione la fida corrispondeva al numero dei capi da immettere nei pascoli doganali, con la professazione (dichiarazione) era consentito chiedere pascolo per un numero di animali maggiore di quello reale, e pagando una fida più alta si ottenevano maggiori erbaggi
Reintegra – Misurazione dei terreni del Tavoliere eseguita da personale qualificato (regi agrimensori o compassatori) allo scopo di eliminare eventuali occupazioni abusive
Riposi autunnali – Vaste estensioni di pascolo ove il bestiame sostava in attesa dell’assegnazione della locazione o posta. I riposi funzionavano anche da posti di controllo e di blocco delle greggi per la conta dei capi e quindi la riscossione della fida
Riposi laterali – Estensioni di pascolo poste a fianco dei tratturi per consentire la sosta delle greggi durante il cammino
Rivela – Dichiarazione del numero di pecore che il locato, vigendo il sistema della professazione, intendeva immettere nel Tavoliere
Saldo – Terreno incolto adibito soltanto ad uso di pascolo
Specorare – Cessare dall’attività di allevatore di pecore per mortalità di animali o per vendita del gregge
Sterpe – Pecore e vacche che non davano latte
Terre in perpetuum – Fondi di origine privata dei quali fin dal secolo XV la Dogana con contratto si assicurò in perpetuo gli erbaggi
Terreni azionali – Terreni a pascolo o a coltura appartenenti a luoghi pii
Terre salde a coltura – Terreni che un tempo destinati a pascolo venivano fittati per coltura
Tratturo – Via erbosa che serviva per la trasmigrazione delle greggi, in origine calles pubblicae, mentre i privilegi di cui godevano i pastori furono chiamati Tractoria nei codici di Giustiniano e Teodosio. Così anche queste vie assunsero la denominazione di tractoria, indi tracturi per alterazione fonetica dialettale
Zurracchio – Capretto di un anno
Zurro – Caprone
(Fonti: Le lunghe vie erbose (Tratturi e pastori del Sud) di Italo Palasciano – Capone editore – 1999 – Tra Abruzzo e Puglia (La transumanza dopo la Dogana) di Saverio Russo – FrancoAngeli Storia – 2002 – Tribunale civile di Bari “Vertenza Demanio contro Calderoni-Martini – Avv. Carmine Carbone – STEB – 1915 – Opuscolo “Palazzo Dogana” a cura Provincia Foggia e Cenacolo Culturale ‘Contardo Ferrini’)
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