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Vincenzo Lanza

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Vincenzio Lanza – di parenti umilissimi per la sola forza d’ingegno e di studi – si elevò a nosologo e clinico –  non più uguagliato – Presidente alla sua facoltà –  nel Congresso scientifico del 1845 e deputato al Parlamento – esulò condannato nel capo con indignazione unica dell’universale

Questo è scritto sul basamento della statua che il comune di Foggia eresse allo scienziato e che era situata nell’omonima piazza, ora intitolata ad Umberto Giordano, sino alla fine degli anni Venti quando fu spostata nella villa comunale per far posto al monumento ai Caduti della Grande guerra. Quindi nell’attuale piazza Giordano, un tempo piazza Lanza,c’è stata dapprima la statua di Lanza, poi il Monumento ai Caduti e, quando quest’ultimo è stato trasferito nell’attuale dimora in Piazza Italia alla fine degli anni cinquanta, la piazza è stata intitolata a Umberto Giordano con relativa posa in opera delle statue riguardanti il musicista foggiano. Oggi Vincenzo Lanza è ormai quasi dimenticato e, a ricordarci di lui, è rimasto il Liceo Classico a lui dedicato: eppure molti onori aveva avuto a Foggia soprattutto in vita.

Vincenzio, come preferiva farsi chiamare, nacque a Foggia l’8 maggio del 1784 da Filippo e Rachele Fiore (il padre era originario di Roseto Valfortore e la mamma era di Foggia); si stabilirono a Foggia perchè alle dipendenze del Barone don Antonio Saggese. Vincenzo fu battezzato nella chiesa di S.Tommaso Apostolo come riportato nella lapide all’interno della chiesa (foto alla fine della pagina). Iniziò gli studi prima a Roseto, poi a Foggia seguendo anche studi di filologia, filosofia e matematica nel seminario di Ariano. All’età di quindici anni, vista la buona disposizione verso gli studi, viene mandato, con l’aiuto del Barone Saggese, a Napoli per intraprendere gli studi giuridici; ma, andando contro il volere del padre che sognava per lui la carriera di avvocato, lascia quegli studi per intraprendere quelli di medicina. Siamo ai primi anni dell’800, subito dopo la tragedia della Repubblica partenopea e Vincenzo Lanza, sotto la guida di eminenti professori, termina gli studi di Medicina e, grazie all’interessamento del prof. Domenico Cotugno, ebbe la possibilità di aprire una Clinica Medica privata in un ospedale napoletano e di insegnare nella sua abitazione privata in via Pignasecca n° 61. A soli 24 anni pubblicò la sua prima opera in Fisiologia nella quale dimostrò che “la scienza della vita deve essere composta non solo da quella del dinamismo, ma dalla composizione chimica e della organizzazione dei viventi”.

Durante il periodo nel quale operò nell’Ospedale degli “Incurabili” produsse numerose pubblicazioni tra le quali si ricordano “lezioni di Clinica medica”, “Istituzioni di Clinica Medica”, “Aforismi di Clinica”, “Giornale clinico del tifo petecchiale” e “Sperimenti sulla petecchiale corrente in Napoli”.

Nel gennaio del 1815 Vincenzo Lanza viene nominato professore aggiunto e nel novembre dell’anno successivo da aggiunto provvisorio diviene aggiunto stabile ed ottiene la “proprietà della cattedra”. Per Lanza tutto era l’ammalato, tutto consisteva nello studio dei fenomeni morbosi e nella maniera più adatta per curarli. Questo nuovo modo di fare il medico per quei tempi determinò il suo successo che si concretizzò con il decreto che rese pubblica la sua clinica con il nome di “Clinica dei nuovi esperimenti”. Nel 1831 fu nominato professore titolare della seconda cattedra di Medicina pratica dell’università. Durante l’epidemia di colera del 1836-37 fece parte di varie commissioni che studiarono provvedimenti curativi e preventivi. Cessata l’epidemia che aveva causato non poche vittime nel regno,  il Lanza tornò a scrivere e a pubblicare il suo più importante lavoro: “Nosologia positiva”, in 5 volumi, che vide la luce tra il 1841 e il 1845, accolta con estremo interesse nel mondo medico di allora perché diretta a sottrarre l’arte curativa dal dominio degli ipotetici e degli empirici come ampiamente registrò la stampa dell’epoca.

Il fatto di provenire da una famiglia umile, maturò in lui una coscienza fondamentalmente liberale che lo porterà  ad entrare in politica. Nel 1848 il popolo, nella regione italica, era in fermento ed i vari sovrani erano stati costretti ad emanare carte costituzionali che di fatto limitavano il loro potere. Il 18 aprile nel regno delle Due Sicilie si tengono le elezioni politiche e, con la fama acquisita in quel di Napoli, per Vincenzo Lanza non fu difficile essere eletto deputato. Ma al momento del giuramento relativo al loro mandato parlamentare, i deputati si interrogarono sulla formula inerente il giuramento stesso: c’era chi non voleva giurare fedeltà al sovrano, chi non voleva riconoscere la religione cattolica come la religione di Stato e soprattutto chi addirittura voleva quella Assemblea come costituente, finalizzata addirittura alla trasformazione del governo da monarchico a repubblicano. Il Lanza, nel frattempo vice – presidente del parlamento dichiara che “… il re è una sola persona,; ma noi altri, benchè non siamo che cento, siamo sette milioni, perchè rappresentiamo il Paese intero”.

A ciò si aggiunse un manifesto di ringraziamento rivolto alla Guardia Nazionale, contraria al pensiero e ai progetti del sovrano,del quale fu ritenuto responsabile proprio Vincenzo Lanza. Tutto ciò rappresenterà la dichiarazione di guerra degli eletti nei confronti del re e la notte del 14 maggio il popolo è alle barricate; la mattina del 15 tuona il cannone, il Parlamento nomina un Comitato di sicurezza tra i cui membri figura il medico foggiano. La rivolta è soffocata nel sangue. Successivamente il re Ferdinando II sciolse il Parlamento ma al tempo stesso fece liberare i circa 600 prigionieri di quei giorni. Il 15 giugno si tennero nuove elezioni e vennero eletti praticamente gli stessi deputati del 18 aprile ma il re prima osteggiò apertamente questo nuovo Parlamento e poi, con decreto del 12 maggio del 1849, lo sciolse definitivamente. Lanza abbandonò Napoli alla volta di Genova per evitare l’arresto in conseguenza del suo appoggio alla Guardia nazionale. Le Gran Corti Criminali in tutto il regno imbastirono migliaia di processi a carico dei liberali o presunti tali. Quella di Napoli, abilitata a giudicare i fatti del 15 maggio, con decisione del 7 giugno e 16 luglio 1851 «…ordinò un supplemento d’istruzione e il procedimento in contumacia contro gli accusati fuggiti (…) e il 20 agosto 1853 pronunziò la condanna a morte per 22 di essi  tra i quali il Lanza» A nulla valsero le suppliche della moglie Clelia e dei sei figli, rimasti a Napoli, dirette al re per un atto di clemenza. Solo nel 1856, per l’intervento della Czar di Russia e della Regina di Inghilterra, Ferdinando II, con delibera del consiglio di Stato del 30 luglio, concesse la grazia al medico foggiano e il permesso di tornare nel regno dove don Vincenzio continuò a lavorare, nonostante avesse superato i settant’anni, circondato dall’affetto familiare e dall’incondizionata stima dei colleghi.

Nel gennaio del 1859 Ferdinando II fu colpito da un’infezione purulenta che lo portò ad aggravarsi nei mesi successivi. Al suo capezzale furono chiamati i migliori medici e chirurghi di quei tempi ma la situazione appariva disperata. La Corte, vista la estrema gravità del momento, consultò anche il Lanza ma non gli permise di visitare il paziente ma di esprimere il parere sulla relazione del medico di Corte. Il Lanza espresse il suo parere: “Il Re starà bene, fatelo nutrire con latte di donna”. Al dott. Rosati che scoppiò a ridere aggiunse: “Non si ride davanti a Vincenzo Lanza; Ferdinando morrà”. Ritornato a Napoli ai familiari dichiarò: “Io ebbi dal Re un passaporto di esilio e sono tornato, ma con quello rilasciatogli da me non vi è speranza di ritorno”.

Vincenzo Lanza morì di apoplessia nella sua casa di via Toledo a Napoli il 3 aprile del 1860.


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La statua, restaurata, viene riconsegnata alla città il 22 aprile 2016